Questo articolo inaugura una rubrica che si occuperà di Iran, stato che negli ultimi anni ha compiuto una significativa ascesa sul sistema internazionale, divenendo un interlocutore legittimo sul piano globale nel 2015 tramite l’accordo sul nucleare, e attore principe del grande gioco mediorientale. Una rubrica che analizzerà la postura internazionale dell’Iran e le mosse che l’establishment del paese cercheranno di mettere in atto per contrastare la strategia statunitense della nuova amministrazione Trump, che ha collocato Teheran nel novero dei paesi che minano gli interessi Usa in Medio Oriente.
Perchè una rubrica?
L’Iran dal 2015 è prepotentemente rientrato sotto l’attenzione dei media internazionali: le trattative per l’accordo sul nucleare hanno riacceso l’interesse nei confronti della Repubblica Islamica, e durante i primi mesi che hanno seguito l’accordo si è registrata un’impennata di trattazioni scientifiche sul futuro del paese. Tutti questi scenari vertevano su un’unica conclusione: un Iran sempre più integrato nel sistema internazionale, grazie alla fine delle sanzioni e all’apertura statunitense portata avanti dall’amministrazione Obama. Le previsioni erano supportate dalla maggior parte dei sondaggi americani, che prevedevano una netta vittoria della democratica Clinton in continuità con la precedente amministrazione democratica.
L’inaspettata vittoria del tycoon Donald Trump ha cambiato gli scenari.
L’Iran oggi riveste un ruolo estremamente importante all’interno delle dinamiche internazionali: la nuova amministrazione statunitense lo ha inserito a tutti gli effetti in una sorta di lista di stati canaglia 2.0.
Sin dalla campagna elettorale, volta a demolire tutto ciò che era stato fatto da Obama, Donald Trump si è scagliato più volte contro l’Iran e l’accordo sul nucleare. Accordo che il candidato repubblicano non ha esitato a bollare come uno dei peggiori firmati nella storia americana.
Inoltre la pubblicazione della National Strategy Security del 2017, primo documento strategico della nuova amministrazione Trump, ha sancito il ritorno dell’Iran nella dialettica dello “stato nemico” per gli interessi americani in Medio Oriente, al pari dell'”ideologia jihadista”, della quale secondo la NSS ’17, l’Iran è lo stato “sponsor mondiale”.
Quindi, l’uscita unilaterale degli Stati Uniti dal JCPOA, annunciata lo scorso maggio da Trump, altro non è che lo scontato epilogo di una strategia politica ben chiara e definita da parte degli Stati Uniti, che puntano a ridimensionare il ruolo iraniano nella regione in favore degli storici alleati, Arabia Saudita e Israele.
Ultimo in ordine cronologico è il documento (https://www.whitehouse.gov/wp-content/uploads/2018/10/NSCT.pdf) che illustra la nuova strategia antiterrorismo degli Stati Uniti, pubblicato giovedì 4 ottobre: l’Iran viene citato ben 10 volte, sempre come stato principale nel finanziamento al terrorismo mondiale, a causa dei suoi legami con la milizia di Hezbollah, e come primario nemico per gli Usa. Una notevole differenza rispetto all’ultima strategia antiterrorismo approvata da Washington nel 2011, sotto l’amministrazione Obama, dove veniva indicata come minaccia principale Al Qaeda, mentre l’Iran era nominato una sola volta nella penultima pagina del documento.
Oltre al ruolo di potenza revisionista dell’ordine internazionale affibbiatogli dagli Stati Uniti, Teheran rappresenta anche uno dei principali casi esemplificativi del raffreddamento dei rapporti tra le istituzioni europee e la nuova amministrazione Usa.
I principali stati europei intendono salvaguardare l’accordo sul nucleare, frutto di lunghe trattative tra le parti, e hanno mal digerito la decisione unilaterale di Trump di uscire dal JCPOA. Inoltre le nuove sanzioni varate dall’amministrazione statunitense, che colpiscono chiunque decida di far affari con Teheran, hanno provocato la perdita di importanti commesse per grandi multinazionali europee. Per questo i maggiori leader europei si sono affrettati a chiarire, all’indomani dell’uscita degli Usa dall’accordo, la volontà di salvaguardare a tutti i costi l’intesa siglata nel 2015. “Rimarremo vincolati a questo accordo”, dichiarava Angela Merkel lo scorso maggio. Macron, a margine del Consiglio di Sicurezza dell’Onu din fine settembre, ha sottolineato il “disaccordo con Trump sull’affare iraniano”, ribadendo che “l’Iran ha rispettato tutte le disposizioni previste dall’intesa sul nucleare”.
Il tono di Trump, che ha minacciato “gravi conseguenze” contro chi disattenderà le nuove sanzioni contro l’Iran (che dovrebbero entrare in vigore a inizio novembre), è sembrato un vero e proprio attacco all’Unione Europea, dopo che Federica Mogherini, alto rappresentante per la politica estera dell’UE, aveva dichiarato che l’Unione Europea “è pronta a creare uno strumento autonomo per gli scambi con Teheran”. Un’idea, quella di un’entità legale autonoma europea per salvaguardare l’accordo e la possibilità di non perdere l’interscambio commerciale con la Repubblica Islamica, che è stata ripresa spesso da diversi esponenti dei principali governi dell’Unione.
Sul rapporto con l’Iran, gli interessi tra Bruxelles e Washington sono divergenti, e Teheran punta proprio al rafforzamento delle relazioni con l’UE per proteggersi dalle future sanzioni.
Tutti i firmatari del JCPOA, esclusi gli Stati Uniti, sono favorevoli al mantenimento dell’accordo, e in questo momento la posizione statunitense sembra isolata. Non è escluso che l’obiettivo di Trump sia quello di riuscire a portare a casa un nuovo accordo bilaterale con l’Iran: un percorso che sarebbe coerente con la strategia dell’amministrazione, spinta a mollare qualsiasi approccio multilaterale che rischia di controbilanciare il peso degli Stati Uniti in un’eventuale trattativa.
Un percorso sicuramente non facile, sia per la velata ostruzione europea, che punta a salvaguardare l’accordo esistente, sia, soprattutto, per il rifiuto della controparte iraniana: il governo di Rohani ha sottolineato come la trattativa ci sia già stata, e da parte iraniana siano stati rispettati i patti stipulati. Inoltre l’ala conservatrice a Teheran ha ripreso a premere sull’attuale esecutivo, reo di essere sceso a patti con l’acerrimo nemico statunitense e, nonostante questo, di non esser riuscito a risolvere la delicata situazione economica.
Il punto di vista italiano
Il precedente governo italiano, tramite il ruolo dell’ex ministro dell’Economia Padoan, aveva stipulato un accordo con l’Iran per l’apertura di linee di credito da 5 miliardi di euro per facilitare gli investimenti delle aziende italiane nell’ex Persia. Negli anni precedenti, inoltre, erano stati raggiunti numerosi accordi con Teheran per un valore complessivo di circa 27 miliardi di euro, tra infrastrutture, ferrovie, costruzioni, petrolio, gas, energia elettrica, settore chimico e petrolchimico.
I nuovi risvolti geopolitici dovuti dall’uscita degli Stati Uniti dal JCPOA e le sanzioni statunitensi, hanno di fatto congelato la strada che l’Italia aveva preparato nel proprio rapporto bilaterale con l’Iran: e dire che nel 2017 Roma rappresentava il principale partner di Teheran in Europa, con un interscambio tra i due paesi dal valore di circa 5 miliardi e mezzo di euro, in crescita del quasi 100% rispetto al 2016.
Anche il nuovo governo, nonostante la vicinanza con Washington esemplificata dall’ottimo rapporto che il premier Conte ha dimostrato di avere con Trump, ha sottolineato l’importanza di salvaguardare l’accordo sul nucleare: alla Farnesina sanno che l’Iran può essere un partner economico rilevante, e che l’Italia ha un canale preferenziale nel rapporto con la Repubblica Islamica. Non è un caso che, durante il viaggio a New York per partecipare all’Assemblea dell’ONU, Conte abbia incontrato il premier iraniano Rohani, esprimendo la volontà del governo di mantenere gli accordi presi. Rohani si è dichiarato soddisfatto dell’incontro, e fiducioso sul solido rapporto con i paesi europei.
L’Italia ha l’opportunità di essere il mediatore tra l’Europa e Stati Uniti su diverse tematiche che riguardano il Mediterraneo e il Medio Oriente, e l’Iran può essere una di queste.
Il nome della rubrica
La Via per Isfahan è un romanzo storico che racconta la vita di Ibn Sina, conosciuto in Occidente con il nome di Avicenna. Filosofo, fisico, matematico e medico persiano, ha vissuto a cavallo dell’anno mille in una Persia sotto il dominio arabo, girando in lungo e in largo tra deserti e corti disseminando il suo sapere. Il suo Canone della Medicina è stato il punto di riferimento dell’attività medica anche in Europa fino al 1700.
La rubrica riprende il nome di questo libro, che racchiude le straordinarie avventure di una delle più note figure dell’antica Persia: come i mille saperi trattati e le mille città toccate dal protagonista, l’Osservatorio sull’Iran si promette di affrontare a 360 gradi il discorso sulla “nuova Persia”, offrendo una narrazione plurale tramite il contributo di diversi autori ed esperti. La postura internazionale e il ruolo nella regione, la geopolitica e le strategie militari, la delicata situazione economica. Senza dimenticare gli aspetti culturali di uno degli stati con una delle società civili più giovani e attive del Medio Oriente: non a caso nel 2020 l’Iran sarà il paese ospite del Salone Internazionale del Libro, grande manifestazione che si svolge annualmente a Torino.