Nell’interessante intervista del 17 dicembre di Jessica Pulsone alla Professoressa Leila El Houssi, docente di Storia e Istituzioni dell’Africa presso l’Università Sapienza di Roma, si ripercorre analiticamente il travaglio politico e sociale della Tunisia a partire dall’inizio delle proteste derivanti dal gesto estremo di Mohamed Bouazizi (commerciante tunisino che si diede alle fiamme nel dicembre 2010), riconosciuto simbolicamente come l’avvio delle cosiddette Primavere Arabe.
Un travaglio che comunque avviò, tra molte difficoltà, un percorso politico riconosciuto a livello internazionale come unica esperienza positiva di assetto istituzionale democratico tra le realtà emerse nel periodo delle rivolte nei Paesi Arabi del 2011.
La via della stabilità democratica ed istituzionale è pertanto, una strada obbligata per garantire al Paese un ruolo di interlocutore affidabile per l’Unione Europea e per gli USA, che, successivamente alle Primavere Arabe, hanno trovato nella Tunisia un partner strategico.
Questa stabilità sarà poi fondamentale anche per le sorti economiche e per la coesione sociale, elementi necessari a consolidare un ruolo di Tunisi nell’area nordafricana e sul piano internazionale, non avendo l’economia tunisina ad oggi la struttura ed il peso di Marocco, Algeria ed Egitto. Il cammino da percorrere sarà lungo e caratterizzato da diversi problemi strutturali da affrontare e risolvere soprattutto con il concorso dei Paesi più sviluppati. In un articolo di Matteo Garavoglia nel numero di novembre 2019 di Limes, sono riportate sinteticamente le principali questioni aperte che stanno condizionando il Paese, ancor prima dell’avvento della pandemia da Covid 19:
“I problemi strutturali riguardano l’economia e le disparità tra regioni costiere ed entroterra. Il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 30%, l’inflazione nel 2018 ha toccato il 4,8% e gli investimenti diretti esteri continuano a incidere troppo – quasi un miliardo di dollari all’anno. Le difficoltà che stanno interessando la Tunisia dalla cosiddetta rivoluzione dei gelsomini hanno portato a un forte aumento del fenomeno migratorio. Tanto che oggi i tunisini hanno superato gli eritrei nel numero di partenze, diventando la comunità più numerosa a raggiungere l’Italia via mare. Secondo i dati del ministero dell’Interno, nel 2019 le partenze sono state circa 2.500”.
Inoltre ci sono una serie di impegni contratti a livello internazionale e obiettivi locali non più rimandabili, a cui il governo dovrà dare una risposta: il prestito di quasi 3 miliardi di dollari definito nel 2016 col Fondo Monetario Internazionale con scadenza ad aprile 2020 (e non ancora completato) e che l’attuale governo “tecnico” presieduto da Hichem Mechichi sta provando a rinegoziare; approvare una serie di riforme per favorire la ripresa della crescita economica stagnante (all’1% nel 2019) e maggiormente rallentata dagli effetti della pandemia; abbattere il tasso di disoccupazione che da circa 10 anni è stabile intorno ad una media del 15%, che, disaggregato, raggiunge dei numeri ancora più preoccupanti (oltre il 34% con picchi fino al 40% nelle regioni più marginalizzate dell’interno e del sud del Paese) tra i giovani, che rappresentano gran parte della popolazione totale. In questo ultimo periodo il governo tunisino sta decidendo, attraverso rischiose politiche di svalutazione del dinaro (la moneta tunisina), di risalire una china particolarmente impegnativa, caratterizzata da una congiuntura mai così negativa.
Ci sarà bisogno pertanto di risorse per sostenere forti investimenti per la modernizzazione e l’innovazione tecnologica dell’industria e della stessa agricoltura, che in Tunisia rappresenta un settore significativo dell’economia nazionale, ancora troppo burocratizzata dal sistema di controllo statale. Inoltre, sarà anche fondamentale il potenziamento delle infrastrutture dei trasporti e dei servizi di pubblica utilità (porti, aeroporti, autostrade, sistema idrico e delle telecomunicazioni).
Come il Marocco, anche la Tunisia non è autosufficiente dal punto di vista energetico. Un tema centrale per lo sviluppo economico e la crescita; la Tunisia dovrà saper cogliere le migliori collaborazioni per trovare la strada per ridurre il deficit energetico nazionale. L’attuale assetto delle Società del settore è basato su due aziende principali, tutte e due a controllo pubblico: l’ETAP (la Compagnia petrolifera statale); la STEG, società per l’elettricità e per il gas. La Tunisia, è fortemente collegata all’Algeria sia per gli approvvigionamenti del fabbisogno di gas naturale che per il transito del già citato gasdotto Transmed, che percorre per 350 chilometri il territorio tunisino, la cui proprietà locale è della società a controllo pubblico, Sotugat (Societè Tunisienne du Gazdoc Trans-Tunisien), mentre TTPC (Trans Tunisian Pipeline Company), società al 100% controllata da ENI, ha la funzione primaria di trasportare il gas di origine algerina verso l’Italia. Il governo tunisino ha comunque potenziato gli investimenti per l’esplorazione, la ricerca, la perforazione e la produzione interna di idrocarburi, in particolare di gas naturale. Ai primi di febbraio è entrato in funzione il più grande progetto energetico della Tunisia, il giacimento di gas (con annessa produzione petrolifera) di Nawara, nel governatorato di Tataouine, nel sud del Paese. Un investimento dello Stato da 1,2 miliardi di dollari con una capacità produttiva giornaliera stimata di 2,7 milioni di metri cubi che, nelle previsioni aumenterà la produzione di gas della Tunisia di circa il 50% (nel 2019 la produzione annua tunisina di gas naturale è stata di 1.274.000.000 di metri cubi), riducendo il deficit energetico nazionale del 20% e quello commerciale del 7%; dal sito di Nawara è prevista anche la produzione di 7.000 barili di petrolio (nel 2019 la produzione di petrolio è stato di 39.000 barili/giorno) e 3.200 barili di gas naturale liquefatto (LNG) (Fonte CIA World Factbook). La concessione di Nawara fu assegnata sin dall’inizio delle perforazioni del 2010, dal Ministero dell’Industria tunisino all’ETAP (la Oil Company statale tunisina) e alla società petrolifera austriaca OMV. Nel settore elettrico e della distribuzione del gas naturale la già citata monopolista pubblica STEG, sin dalla sua fondazione nel 1962, ha compiuto enormi sforzi per il potenziamento e la modernizzazione dell’intero sistema della produzione e distribuzione dell’energia elettrica e l’estensione delle reti di distribuzione del gas naturale.
I dati, tratti dal sito ufficiale della STEG, aggiornati al 2018 sono i seguenti:
- il tasso di elettrificazione complessivo è passato dal 21% al 99,8%.
- il tasso di elettrificazione rurale dal 6% al 99,5%
- la capacità installata da 100 MW a 5.076 MW (rispetto a 5.309 MW nel 2017)
- la produzione nazionale da 288 GWh a 19.209 GWh (rispetto ai 19.133 GWh del 2017)
- il consumo di gas dei centri di produzione di energia elettrica è di 3.996 Ktoe (contro 3.949 Ktoe nel 2017)
- il numero di clienti di 183.000 a 4.049.442 (contro i 3.933.454 nel 2017) per l’energia elettrica
- Per quanto riguarda il gas, i consumi hanno raggiunto 5.469 Ktep e il numero di clienti è aumentato da 25.000 a 887.596 (rispetto agli 852.492 del 2017) (dati tratti dal sito ufficiale della STEG)
Nel contesto dello sviluppo dei consumi elettrici la Tunisia sta intensificando la ricerca e gli investimenti nel settore delle Fonti di Energia Rinnovabile, questo anche per mirare ad una maggior autonomia dalle importazioni energetiche degli altri Paesi, in particolare dell’Algeria (il 90% circa della produzione elettrica è assicurata dall’utilizzo di gas algerino), e per migliorare la competitività del Paese. Nel febbraio scorso è stato approvato dal governo tunisino un ultimo decreto per favorire l’autoproduzione di energia elettrica da Fonti Rinnovabili. Già nel marzo 2019, il precedente governo aveva dichiarato l’obiettivo di arrivare a produrre entro il 2030 (obiettivo confermato anche nel programma dell’attuale governo), 3.500 Megawatt di energia elettrica prodotta da rinnovabili.
Ci sono poi altri progetti avviati, alcuni importanti che vedono impegnate anche le aziende italiane ENI e TERNA:
- Il progetto TuNur, promosso dal Governo Tunisino e dalla Fondazione Desertec che si pone l’obiettivo dell’implementazione 825mila eliostati nel deserto Tunisino, riuniti in una centrale solare termodinamica con una potenza di 2 Gigawatt, con l’ambizione, al completamento degli investimenti, di esprimere una potenza sino a 4,5 Gigawatt. Parte dell’energia elettrica prodotta, sarà trasportata verso Malta, Italia e Francia tramite tre distinti cavi sottomarini. Inoltre dai punti di approdo, l’elettricità verrà poi distribuita anche nel Regno Unito, in Germania e Svizzera. Il progetto è stato affidato alla realizzazione di un Consorzio formato al 50% da Nur Energie (controllata da società a capitale UK e USA) e da altri azionisti maltesi e tunisini.
- Progetti per la costruzione di campi eolici a Mornag, nel governatorato di Ben Arous, Jebel Sidi Bchir, Jebel Kochbata e Batiha, nel governatorato di Biserta. Le concessioni per la realizzazione sono state assegnate a quattro aziende straniere: ABO WIND AG (Germania), UPC Tunisia Renewables (Paesi Bassi) e le francesi LUCIA HOLDING e VSB Energies Nouvelles. La capacità prevista è di 120 MW, con un investimento complessivo di 400 milioni di dinari tunisini, pari a 118,6 milioni di euro. L’energia eolica prodotta, sarà venduta alla STEG, che la distribuirà in rete.
- Il progetto ELMED, interconnessione marina attraverso un cavo per 600 MW a corrente continua che collegherà Tunisia ed Italia (Capo Bon Area a Partanna, provincia di Trapani). Il progetto è stato definito attraverso un’intesa siglata nello scorso ottobre 2019 tra i vertici della nostra TERNA e la tunisina STEG. Oltre all’interscambio di energia fra i due paesi, il progetto permetterà alla Tunisia di rafforzarsi nel medio lungo periodo nell’area del Nord Africa, come esportatrice di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.
- I progetti fotovoltaici Tataouine e Adam, affidati ad ENI ed inaugurati a maggio e dicembre 2019. A regime produrranno energia rispettivamente per 5 e 10 MW. Queste realizzazioni sono il frutto di un accordo siglato a novembre 2016 tra ENI e ETAP, che ha l’obiettivo di sostenere lo sviluppo economico, sociale e sostenibile della Tunisia.
Altro interessante progetto di cooperazione italo-tunisina nel campo delle rinnovabili, è il REFAT, promosso dal Ministero dell’Ambiente italiano e dal Ministero dell’Agricoltura tunisino e attuato dal MEDREC, (Centro Mediterraneo per le Energie Rinnovabili), a cui hanno aderito anche i governi di Algeria, Egitto, Libia e Marocco. La missione di MEDREC è quella di sviluppare le competenze regionali attraverso il trasferimento di tecnologie, la formazione di esperti e la diffusione di informazioni nel campo delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica.
La Tunisia pertanto, pur nella difficoltà di consolidamento democratico e nell’attuale fragilità economica, potrà ritagliarsi un ruolo proattivo nella prospettiva del cambio del mix energetico, assumendo la funzione di hub centro mediterraneo nel raccordo tra la sponda meridionale e l’Unione Europea. Una centralità strategica, vista la posizione geografica e lo sviluppo di energie da eolico e solare e la potenziale crescita nello sfruttamento dell’idrogeno verde (prodotto da fonti rinnovabili), che vedrà il Nord Africa tra i territori di maggiore sviluppo di questo gas per scopi energetici.
Sarà interessante seguire l’evoluzione della situazione politica e l’eventuale capacità da parte della classe dirigente di cogliere questa opportunità.
Antonello Assogna,
Fondazione Tarantelli