Il mercato illegale che si sta rafforzando al confine colombiano-venezuelano è il traffico di esseri umani e le principali vittime sono i migranti venezuelani. Fuggono dal loro Paese per salvare le loro vite e in Colombia finiscono per trovare la morte: le donne vengono violentate, maltrattate, intrappolate in reti di trafficanti, scomparse o assassinate; gruppi armati e membri delle forze di sicurezza di entrambi i paesi ne hanno fatto un bottino.
Il Venezuela continua ad affrontare una grave crisi politica, cominciata alla fine del 2015 ed aggravatasi nel 2019 quando il leader dell’opposizione, Juan Guaidó, si è proclamato presidente in carica, dichiarando Maduro colpevole di aver usurpato la carica presidenziale a seguito di una controversa elezione. Ad aggravare un simile contesto politico concorrono diversi problemi economico-sociali che hanno determinato una crisi umanitaria senza precedenti. La crisi migratoria spicca tra le conseguenze della decadenza del Venezuela.
Alla fine del 2019, il numero di venezuelani espatriati ha raggiunto ufficialmente la soglia di 4,5 milioni di persone che fuggono dalle persecuzioni politiche, dalla povertà, dalla situazione economica sempre più drammatica e dai continui razionamenti di cibo ed energia elettrica, con la conseguenza di essere costretti a trovare condizioni di vita migliori nei Paesi limitrofi. L’esodo ha colpito praticamente tutti i paesi dell’America Latina che non erano pronti a ricevere migliaia di profughi venezuelani. È la Colombia la principale destinazione di una diaspora che supera i cinque milioni di persone in tutto il mondo. Alla fine di marzo, quando è entrata in vigore la quarantena nazionale, la Colombia ospitava 1.809.000 cittadini venezuelani.
In questo scenario, occorre capire l’evoluzione dei rapporti tra i due Paesi soprattutto in relazione ad una tematica così rilevante e significativa come quella della tratta di esseri umani.
Innanzitutto, la frontiera tra Venezuela e Colombia, soprattutto sul versante colombiano, può essere definita come una terra di mezzo profondamente segnata da problemi endemici. Con i suoi duemila e passa chilometri di estensione e spazi difficili da pattugliare, la presenza di gruppi di guerriglieri colombiani, sia legati alle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) sia all’Esercito di liberazione nazionale (Eln), esercita un forte controllo su qualsiasi tipo di traffico: a partire dall’attività quotidiana dei contrabbandieri, dai narcotrafficanti, passando per gli spacciatori di benzina, come di beni di prima necessità, tutti alimenti che in Venezuela sono a basso costo e vengono trafugati per essere rivenduti sul mercato nero del paese vicino, a costi maggiorati. Ovviamente si tratta di manovre illegali che hanno essenzialmente l’obiettivo di aumentare i grandi profitti legati a queste operazioni.
Ipso facto, dal 2015 il Venezuela inizia ad accusare il governo di Bogotá di favorire l’attuazione di tali operazioni, con la conseguenza di dare avvio ad una persistente querelle tra i due Paesi che continua ancora oggi. Il 19 agosto 2015 a San Antonio del Táchira, una città venezuelana alla frontiera con la Colombia, due persone su una moto sparano contro quattro uomini impegnati in un’operazione anticontrabbando. Muoiono tutti. Per tutta risposta, Maduro annuncia la chiusura della frontiera. Tre giorni dopo, il 24 agosto, le autorità venezuelane presentano i risultati di una delle più gravi crisi diplomatiche tra Venezuela e Colombia degli ultimi anni: più di mille colombiani espulsi dal Paese e dieci presunti paramilitari arrestati. Sono passati cinque anni e la frontiera dell’area metropolitana di Cúcuta, in Colombia, è ancora chiusa a tempo indeterminato.
L’inchiesta-denuncia diffusa recentemente da Human Rights Watch riporta un dato abbastanza inquietante: i gruppi armati usano violenze brutali per controllare la vita quotidiana delle persone nella provincia colombiana orientale di Arauca e nel vicino stato venezuelano di Apure. Il rapporto di 64 pagine, documenta le violazioni dell’Esercito di liberazione nazionale (ELN), le forze patriottiche di liberazione nazionale (FPLN) e un gruppo emerso dalle forze armate rivoluzionarie smobilitate della Colombia (FARC). Gli abusi fanno riferimento a omicidi, costrizione al lavoro, reclutamento di minori e stupro, commessi nell’ambito della strategia dei gruppi al fine di controllare la vita sociale, politica ed economica di Arauca e Apure.
In ragione di questo drammatico scenario, il mercato illegale che si sta espandendo al confine tra Venezuela e Colombia è la tratta di persone finalizzata allo sfruttamento sessuale e le migranti venezuelane, purtroppo, ne sono le vittime principali. Le donne se ne vanno per cercare condizioni di vita migliori e nel paese vicino rischiano di morire: subiscono violenza, sono maltrattate, diventano vittime di tratta, spariscono o vengono uccise. I gruppi criminali e le autorità le considerano un bottino. Questa tratta sembra invisibile ed interessa soprattutto la Colombia.
Secondo i dati pubblici del Ministero dell’Interno colombiano, dal 2015 a 2019, il numero delle vittime della tratta di persone identificate in Colombia è aumentato del 23%. Volendo disaggregare le cifre in base alla nazionalità delle vittime, si scopre che la popolazione venezuelana ha partecipato significativamente al totale di questo crimine. Tutte le vittime vengono catturate con l’inganno, con offerte di lavoro fraudolente. Il 52,9% delle vittime identificate ha subito forme di sfruttamento sessuale e il 32,3% è stato obbligato a lavoro forzato. Lo scopo di tale tratta varia anche seconda del sesso: se gli uomini sono fondamentalmente sfruttati per scopi lavorativi, le donne hanno un ruolo più ampio ma con la caratteristica di essere usate per lo sfruttamento sessuale. La maggior parte delle vittime sono giovani donne. Per ogni uomo che è vittima della tratta ci sono almeno tre donne migranti vittime di questo crimine.
Sebbene il reclutamento forzato di giovani e l’attività criminale forzata da parte di gruppi armati illegali o gruppi della criminalità organizzata siano problemi illegali e crescenti, il governo ha avviato un numero irrisorio di procedimenti penali, nel senso che non è stato accusato o condannato alcun membro di gruppi armati per reclutamento di minori. L’assenza di sforzi proattivi per identificare le vittime e la mancanza di protocolli standardizzati, combinata con un’errata interpretazione sistematica della tratta, ha portato all’accontamento della difesa delle vittime della tratta.
Durante l’anno in corso 2020, tuttavia, nonostante il fatto che la Colombia abbia chiuso i suoi confini dal 14 marzo come parte degli sforzi per contenere il virus, le autorità migratorie hanno aperto corridoi umanitari lungo una linea di confine per cercare di limitare questo fenomeno perverso.
Inoltre, un’eventuale riapertura dei ponti che collegano il Venezuela alla Colombia (apertura dei valichi di frontiera con la Colombia nello stato di Tachira, in Venezuela) potrebbe essere un enorme sollievo per migliaia di venezuelani che attraversano incessantemente la Colombia per emigrare via terra o fare scorta di medicinali, cibo e prodotti necessari per la sussistenza.
Decine di migliaia di venezuelani, la maggior parte dei quali vivevano in altri paesi dell’America Latina, stanno tornando in Venezuela a causa della pandemia Covid-19 e del suo impatto economico. Il trattamento riservato dalle autorità venezuelane a circa 100.000 cittadini di ritorno da altri paesi in molti casi è abusivo ed è probabile che amplifichi la trasmissione di Covid-19.
I governi latinoamericani hanno dato avvio al processo di Quito nel 2018, per tracciare una risposta comune all’esodo venezuelano. Nella riunione di ottobre, i paesi membri dovrebbero impegnarsi a proteggere i diritti dei venezuelani nei loro territori e considerare l’adozione di un regime di protezione temporanea regionale per concedere ai venezuelani nei loro territori lo status legale per un periodo di tempo. I funzionari dovrebbero anche cooperare per proteggere i diritti dei rimpatriati e fare pressioni sulle autorità venezuelane per porre fine alle condizioni di quarantena abusive e prendere in considerazione alternative, come la quarantena domestica, ove possibile.
Come detto precedentemente, dal 2014, più di 5 milioni di venezuelani hanno lasciato il loro paese, in fuga da una continua crisi dei diritti umani, umanitaria, politica ed economica. Ma i blocchi legati al Covid-19 in altri paesi dell’America Latina hanno lasciato tantissimi espatriati nella regione in cui si trovavano prima del proliferare della pandemia.
È proprio in questo scenario che i gruppi armati sembrano sentirsi ancora più liberi di operare.
Simone Vitali,
Geopolitica.info