Con una settimana di anticipo rispetto alla deadline fissata per il 24 maggio è arrivata la (tanto attesa) decisione del regolatore tedesco sull’ipotesi di concedere una deroga alle norme europee per quanto riguarda il Nord Stream 2, così come richiesto dalla compagnia energetica russa Gazprom. Il rifiuto dell’autorità amministrativa tedesca fa esultare (non solo) Unione europea e Polonia, ma si tratta di una vittoria di Pirro: il presidente russo Vladimir Putin difficilmente questa volta rinuncerà alla realizzazione del gasdotto come successo, invece, ai tempi di South Stream.
La richiesta di Gazprom
La Commissione europea ha più volte cercato di ostacolare i piani russi relativi al raddoppio del gasdotto Nord Stream, l’infrastruttura che porterà nel complesso in Europa (o, meglio, in Germania) 110 miliardi di metri cubi di gas russo aggirando il territorio ucraino. E proprio quando Bruxelles, lo scorso anno, sembrava vicina a raggiungere il proprio obiettivo, Francia e Germania, i due paesi principalmente interessati alla realizzazione del gasdotto, hanno raggiunto un compromesso in base al quale la supervisione della nuova direttiva spetta allo stato “nel cui territorio o nelle cui acque territoriali avviene la prima interconnessione” tra la linea di trasmissione proveniente dall’estero e la rete europea. Ben sapendo, ovviamente, che questo Stato è la Germania. Ed è quindi al regolatore tedesco che Gazprom si è rivolta chiedendo la deroga all’applicazione della normativa europea che impone ai gestori delle infrastrutture di permettere l’accesso a società terze anche nei progetti offshore così come la separazione delle attività tra fornitori di gas e proprietari dei gasdotti.
La decisione tedesca
L’orientamento del regolatore tedesco si era intuito quando, alcune settimane fa, aveva ammesso a partecipare alla procedura la compagnia energetica polacca PGNiG, ipotesi contro la quale la stessa Gazprom si era opposta. La Polonia, infatti, è uno dei principali oppositori alla costruzione del gasdotto. L’autorità tedesca ha quindi deciso che Gazprom dovrà attenersi alle disposizioni europee in materia di unbundling, dal momento che il gasdotto non è stato terminato entro il 23 maggio 2019. Una vera e proprio doccia fredda per Mosca, in un momento in cui le relazioni con la Germania sono già particolarmente tese a causa dell’affermazione della cancelliera tedesca Angela Merkel per la quale dietro all’attacco hacker contro il Parlamento tedesco nel 2015 vi sarebbero agenti segreti russi. Ma la decisione tedesca colpisce al cuore anche la stessa politica energetica della Germania, dal momento che il paese è appunto uno dei principali sostenitori della costruzione del Nord Stream 2, che consentirebbe ai consumatori tedeschi di ottenere gas russo ad un prezzo inferiore rispetto agli altri paesi europei.
Chi festeggia
Sono in molti a festeggiare per la decisione del regolatore tedesco. Insieme alla Polonia, che nel frattempo punta anche sulla realizzazione del gasdotto Baltic Pipe per ridurre la propria dipendenza dalle forniture energetiche russe, ci sono alcune istituzioni europee, come Parlamento e Commissione, che da anni puntano alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento di gas così come gli altri paesi del cosiddetto “Gruppo di Visegrad” (Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria). Questi ultimi, in particolare, al di là di ragioni strettamente politiche connesse al legame con la Russia al quale sono “condannati” a causa della dipendenza energetica, corrono il serio rischio di perdere gli elevati introiti derivanti dai diritti di transito pagati da Gazprom nel caso in cui Mosca decidesse di convogliare sul Nord Stream 2 buona parte del gas che oggi viene trasportato in Europa (e che attraversa i territori di quei paesi). La decisione, inoltre, è gradita anche agli USA di Donald Trump, che cercano lentamente di erodere a Mosca quote di mercato europeo attraverso le esportazioni di gas naturale liquefatto, puntando allo stesso tempo sulle sanzioni imposte alle società che collaborano alla realizzazione del gasdotto.
Una vittoria di Pirro
I festeggiamenti, però, potrebbero durare ben poco. La decisione tedesca, che si aggiunge alle sopra citate sanzioni americane, comporterà senza dubbio conseguenze negative sulla costruzione del gasdotto, che, comunque, è già stato completato per circa il 90%. Si assisterà ad un ulteriore allungamento dei tempi di conclusione del gasdotto, andando oltre la fine del 2020 o l’inizio del 2021 (ovvero le tempistiche stimate sino a poco tempo fa), così come ad un ulteriore incremento dei costi. Il presidente russo Putin, come dimostra anche l’invio verso le coste danesi della nave Akademik Cherskij, specializzata nella posa di condotte, difficilmente rinuncerà a terminare il progetto. Nel caso di specie, infatti, gli ostacoli posti dalla normativa europea operano in linea di massima solamente sulla carta: basti pensare, ad esempio, con riferimento all’apertura a terzi, al fatto che in Russia non vi sono altri terzi in grado di utilizzare il gasdotto. Ma per Putin è anche una questione di prestigio: la mancata realizzazione di South Stream è stato un colpo durissimo inflittogli dalle istituzioni europee, solo parzialmente mitigato dalla costruzione del Turk Stream. Mosca, quindi, non può permettersi un ulteriore smacco.