L’Argentina si trova ad affrontare una nuova crisi con un forte deprezzamento del peso, livelli di inflazione che superano il 30% e un forte indebolimento dell’economia.
Fin dalla sua elezione nel dicembre 2015 il Presidente argentino, Mauricio Macri, aveva annunciato una serie di riforme che avrebbero condotto il Paese ad una crescita elevata ed inclusiva. Risultati che in parte hanno trovato riscontro nei dati che hanno registrato una crescita economica intorno al 3% tra il 2017 e i primi mesi del 2018. Il governo ha avviato una graduale riduzione dei sussidi all’energia e ai trasporti ed ha messo fine ad alcune distorsioni attivate dal precedente governo di Cristina Fernández de Kirchner.
Nonostante Macri abbia adottato una politica economica coerente con gli obiettivi di crescita del Paese, una serie di eventi, dovuti al contesto internazionale che ha colpito le economie emergenti, ha portato gli argentini a trovarsi sull’orlo di una nuova crisi.
Già da tempo gli economisti temevano che la valuta argentina fosse sopravvalutata e che si sarebbe deprezzata nel corso degli anni. Nessuno, però, si aspettava la velocità con cui da aprile il peso è precipitato nei confronti del dollaro. Se a metà aprile servivano 20 pesos per comprare 1 dollaro americano e alla fine di giugno ne servivano 29, oggi ben 33,9. Le cause sono da ricercarsi nelle preoccupazioni degli investitori sulla capacità del governo di controllare l’inflazione e negli aumenti dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve statunitense, che ha rafforzato il dollaro in tutto il mondo. Tutto ciò ha reso i debiti in dollari in Argentina più costosi per il governo.
A preoccupare gli analisti è anche l’alto tasso di inflazione. Per anni, i governi precedenti hanno stampato denaro per finanziare ampi deficit di bilancio, causando un picco dei prezzi al consumo. Il governo di Macri ha ridotto questa pratica, ma la sua politica per ridurre i sussidi e chiudere il deficit fiscale ha mantenuto alta l’inflazione, stimolata anche dal rapido calo del tasso di cambio.
In risposta al deprezzamento e all’impennata dell’inflazione; la Banca centrale ha innalzato i tassi di interesse al 45%, il livello più alto tra le nazioni del G-20, e ha venduto miliardi di dollari in riserve in valuta estera per proteggere il peso. Allo stesso tempo, però, questo ha comportato una drastica riduzione delle riserve, gradualmente in crescita dal dicembre 2015.
A gravare ulteriormente sulla situazione economica argentina è stata una delle peggiori siccità registrate negli ultimi decenni, la quale ha causato elevate perdite nella produzione agricola. In particolare, ha ridotto i raccolti di soia e mais, i quali insieme rappresentano quasi il 37% delle esportazioni totali del Paese, costringendo l’Argentina ad importare, per la prima volta in 20 anni, soia americana. L’economia si è contratta del 2,7% da marzo ad aprile 2018, e oltre 3,4 miliardi di dollari di esportazioni sono andate perse in seguito al riverbero del danno del settore agricolo su tutta l’economia.
L’attuale situazione economica sta allontanando sempre di più il Presidente argentino da quelli che erano i principali obiettivi promessi durante la campagna elettorale, ovvero la riduzione della povertà all’interno del Paese e del livello di disoccupazione. Promesse al momento irraggiungibili a causa della crescente inflazione e del fatto che gli stipendi non sono più sufficienti per coprire l’alto costo della vita. I prezzi al consumo, infatti, aumentano a un tasso superiore al 30%, ben lontano dall’obiettivo iniziale di inflazione del governo del 15%; inoltre, il numero di lavoratori registrati ha iniziato a diminuire dal picco raggiunto a dicembre 2017.
Dato il contesto economico in cui versa il Paese, lo scorso maggio il governo si è rivolto al Fondo Monetario Internazionale (FMI) per un prestito di $ 50 miliardi. Un aiuto che, come ha dichiarato il Presidente argentino, “rafforzerebbe la crescita e lo sviluppo” e aiuterebbe ad evitare “crisi come quelle affrontate in passato”. Notizia che fa discutere l’opinione pubblica dal momento che l’Argentina aveva interrotto ogni relazione con l’FMI circa dodici anni fa. Con l’aggravarsi della situazione, alla fine di agosto è stata chiesta un’erogazione anticipata del prestito previsto per il 2020-2021. Alla vigilia dell’incontro a Washington con i vertici del Fmi, Macri ha sottolineato l’urgenza del momento ed ha riconosciuto che non si può “continuare a spendere più di quello che guadagniamo”.
Nello stesso discorso ha presentato un nuovo piano di austerità per far fronte alla situazione affermando che sono due le misure più importanti da attuare. La prima è la riduzione da 19 a 10 del numero dei ministeri, parte di un drastico piano di contenimento della spesa pubblica che prevede anche un taglio del 27% alla spesa in conto capitale; la seconda riguarda l’introduzione di una tassa sulle esportazioni, di 4 pesos per dollaro sull’export di materie prime come la soia e di 3 pesos per dollaro sulle altre merci. Il Presidente ha continuato riconoscendo che “è una tassa orribile” ma la situazione è di emergenza.
A preoccupare Macri anche le elezioni che si terranno nel 2019, in cui il rallentamento economico e il crollo del peso giocheranno un ruolo significativo. Il governo dice che l’economia rimarrà piatta quest’anno e inizierà una modesta ripresa nel 2019. Previsione definita “un po’ troppo ottimista” dall’amministratore delegato per l’America Latina presso Eurasia Group, Daniel Kerner, il quale ha aggiunto che “la maggior parte delle persone si sente molto incerta su dove sta andando l’economia.”
Nel frattempo, ad essere coinvolte in questa crisi che sta colpendo le economie emergenti, oltre all’Argentina, sono la Turchia, l’Indonesia, il Sudafrica, il Brasile e l’India.