Nell’Artico, dove già nel periodo sovietico era massiccia, negli ultimi anni, a seguito dell’effetto serra e del surriscaldamento del pianeta (il pack si è ridotto dagli oltre 8 milioni di km quadrati del 1970 agli appena 3,4 milioni del 2012 e si prevede che tra non molto tempo il mare sarà completamente sgombro dai ghiacci), Putin sta rafforzando la presenza russa.
Forte di 6000 km di coste nel Mar Glaciale Artico, e dalla mancanza di ghiacci degli ultimi anni, la Russia vuole farne un Mare Nostrum del Nord. Si stima che vi sia il 40% delle riserve combustibili fossili del mondo nell’area dell’Artico; inoltre, dato da non sottovalutare, vi è un enorme deposito di proteine, sotto forma di banchi di pesce, ancora da sfruttare.
Le intenzioni russe sull’Artico si sono viste platealmente nel 2007 con l’installazione, tramite un sommergibile telecomandato, di una bandiera di titanio sul fondo del mare nel punto esatto in cui converge il Polo Nord. La Russia intende inoltre rivendicare la continuità della piattaforma continentale russa fino al Polo Nord, in cui sembra che vi sia il più grande giacimento di petrolio dell’Artico.
Se questo principio fosse confermato, la Russia non si limiterebbe allo sfruttamento economico esclusivo entro le proprie 200 miglia nautiche, come prevede il diritto del mare, ma si assicurerebbe dal punto di vista geopolitico l’80% delle riserve fossili artiche, inglobando un’area di 1,2 milioni di km quadrati in più. Si aspetta, su tutta la questione Polo Nord, il pronunciamento dell’Onu che dovrebbe avvenire tra il 2023 e il 2025.
Gli Stati Uniti sembrano essere molto in ritardo rispetto alla questione Artico e alla spartizione delle sue risorse. Difatti posseggono solo tre (di cui due fuori uso) rompighiaccio nucleari, contro i quaranta russi, di cui dieci a propulsione nucleare, i sette della Finlandia e della Svezia ciascuno, i sei del Canada, i quattro della Danimarca e i tre della Cina (con quattro in costruzione). L’ammiraglio Paul Zukunft, a capo della Guardia costiera della Marina militare americana, ha esposto a chiare lettere al presidente Trump che gli Stati Uniti hanno la necessità assoluta di costruire in breve tempo almeno quattro rompighiaccio nucleari in grado di combattere. Nel frattempo, nonostante questo ritardo, gli Usa hanno dislocato 330 marines in Norvegia, 1200 in Polonia e altri 1200 nei Paesi Baltici. Anche la Germania è presente in Lituania con 500 soldati e 30 tanks.
Insomma, non solo l’effetto serra sta surriscaldando l’aria e i mari dell’Artico, ma anche la situazione politica ed economica, dove gli Stati si scontrano per spartirsi le risorse petrolifere e ittiche, comincia ogni giorno di più a farsi incandescente e pericolosa. Tutti i Paesi in campo si armano e si spiano a vicenda in ogni modo possibile. Per la Russia l’Artico rappresenta il presente e potrebbe rappresentare in futuro una rinascita spirituale e geopolitica, per riprendere il pensiero di Alexander Dugin. Forse in un futuro non troppo lontano, come prospettato da alcuni accademici russi, il Mar Glaciale Artico si chiamerà Mar Glaciale Russo.