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La risposta del Giappone agli attacchi di Hamas simboleggia la delicata posizione di Tokyo in Medio Oriente

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L’attacco di Hamas avvenuto il 7 Ottobre 2023 ha profondamente smosso la comunità internazionale. I danni e le vittime provocati hanno portato il Primo Ministro israeliano Netanyahu ad annunciare in diretta televisiva lo stato di guerra. Successivamente, le forze di difesa israeliane hanno lanciato una pesante controffensiva, la quale ha investito anche la striscia di Gaza con molti bombardamenti. Gli eventi si svolgono in un momento particolare per la regione del Medio Oriente, in cui una vera e propria distensione tra Israele e le principali potenze regionali del mondo arabo stavano cambiando radicalmente il volto dell’area. Pochi giorni prima dell’aggressione di Hamas, si parlava di una normalizzazione di rapporti tra Israele e l’Arabia Saudita; dialogo in cui entrambe le parti hanno usato termini molto positivi.

Se tendenzialmente la maggior parte delle nazioni non abbiano tardato a mostrare il loro cordoglio ed il loro sostegno ad Israele, ad aver mostrato una reazione molto più cauta è stato il Giappone. Il conflitto infatti potrebbe avere effetti sui delicati rapporti intrattenuti tra Tokyo ed i Paesi mediorientali, con cui i giapponesi hanno importanti partnerships industriali ed energetiche.

 I rapporti tra Giappone ed Israele: una collaborazione recente

I rapporti tra Giappone ed Israele, benché datati, sono sempre stati cordiali ma distanti. Sebbene il riconoscimento ufficiale di Israele da parte giapponese sia avvenuto poco dopo l’indipendenza ottenuta dagli americani nel 1952, la prima visita di un Primo Ministro nipponico nello Stato israeliano è avvenuta solamente nel 1995. La vera svolta dei rapporti tra queste due nazioni c’è stata però soprattutto grazie ai due premier di destra Abe e Netanyahu. Grazie ad un più vivace scambio, il Giappone si è aperto ad un mercato che nei decenni precedenti non aveva mai pienamente sfruttato. Oggi Tokyo ha il 13% degli investimenti diretti in Israele, e 90 compagnie nipponiche hanno uffici in questo Stato. 

Negli ultimi tempi la cooperazione tra questi due Stati è cresciuta anche nel settore della difesa. Nell’agosto del 2022, i ministri degli esteri delle due nazioni hanno siglato degli accordi per aumentare gli scambi nella tecnologia e negli equipaggiamenti militari. L’ormai ex Ministro della difesa giapponese Hamada in particolare si è espresso positivamente riguardo questo traguardo, il quale ritiene possa portare benefici al raggiungimento degli obiettivi della strategia “Free and Open Indo-Pacific” elaborata da Tokyo.

Visti gli importanti interessi economici giapponesi in Israele, soprattutto per quel che riguarda il settore tecnologico, è importante per Tokyo mantenere pace e stabilità nel Paese mediorientale. La guerra infatti minaccia l’arrivo di nuovi fondi per gli investimenti nel settore tecnologico, che comunque si è dimostrato negli anni molto resiliente ed affidabile. In ogni caso nessuna azienda giapponese ha riportato danni o vittime durante gli attacchi.

Il Giappone e i Paesi arabi: rapporti influenzati da una forte dipendenza

Tokyo ha al tempo stesso stretti rapporti con i Paesi arabi. Questi sono di vitale importanza per la produzione industriale ed energetica del Giappone. Da questa regione infatti arriva la maggior parte del petrolio importato dai giapponesi per sostenere il loro fabbisogno, pari ad una percentuale compresa tra l’80 e il 90%. Non a caso gli osservatori hanno fatto notare che la posizione giapponese riguardo la crisi è influenzata dalle reazioni dei principali Paesi da cui importa petrolio, ovvero l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti.

Per via di questo legame di dipendenza, il Giappone ha sempre cercato di trovare una sua personale posizione diplomatica in Medio Oriente, pur tenendo centrale la sua alleanza con gli Stati Uniti. Benché le azioni dei due alleati nella regione non siano mai realmente divergenti, non è raro che il Giappone si discosti dalle azioni statunitensi in Medio Oriente. Esemplare fu il caso in cui nel 2019, quando avvenne un attacco a delle petroliere nello stretto di Hormuz, Tokyo non incolpò mai esplicitamente l’Iran come invece fecero Washington ed altri Paesi. Inoltre, quando venne impiegata una forza di coalizione comandata dagli USA per scortare delle navi nello stretto di Hormuz, il Giappone preferì impiegare le forze del JSDF in altre aree diverse dallo stretto.

Nell’ottica di mantenere buoni rapporti con il mondo arabo, il governo giapponese è esplicitamente favorevole alla “Two States Solution”, che implica la coesistenza pacifica tra Israele e Palestina.

La reazione del Giappone agli attacchi di Hamas: allinearsi con gli alleati rimanendo vicino agli arabi

Nei fatti la reazione giapponese alla crisi ha rispecchiato la delicata posizione che assume nella regione. Il legame storico che lega Tokyo ad Israele, ora ancora più profondo per via degli interessi economici, è controbilanciato dalla fortissima dipendenza nipponica dalle risorse energetiche arabe.

Come avvenuto in altre crisi in passato dunque, il Giappone ha avuto una reazione leggermente differente da quelle dei principali paesi del G7 e dagli alleati statunitensi. In un post sul social network X risalente alla domenica successiva lo scoppio delle ostilità, il premier Fumio Kishida ha condannato gli attacchi di Hamas sollecitando tuttavia entrambe le parti al contegno. È seguito poi un altro post da parte di Kishida in cui ha espresso il suo dolore per le vittime degli attacchi delle IDF a Gaza. I termini utilizzati dal Giappone nel trattare questi avvenimenti sono ben più cauti rispetto a quelli delle altre nazioni. Tokyo inoltre non ha partecipato al joint-statement di USA, UK, Francia, Germania ed Italia in cui viene esplicitamente condannato Hamas per lo scoppio della crisi.

Non di meno il Giappone si è mosso per trovare delle soluzioni e delle mediazioni, passando anche per i Paesi arabi con cui intrattiene rapporti. Il 10 ottobre è avvenuta una telefonata tra i ministri degli esteri del Giappone e degli Emirati Arabi Uniti per discutere proprio di queste tematiche. In questo scambio Kamikawa Yoko, Ministro degli esteri giapponese, ha informato la sua controparte degli UAE, lo sceicco Abdullah bin Zayed, che il Giappone si sta tenendo in contatto con entrambe le parti per cercare una soluzione ed una de-escalation del conflitto. Nella telefonata, Kamikawa ha ribadito la condanna giapponese per le azioni di Hamas. Le parole sono state molto apprezzate da bin Zayed, che ha informato il Ministro degli esteri giapponese di essere interessato a collaborare con Tokyo per evitare nuove escalation. Oltre a ciò, Tokyo ha interesse a coinvolgere anche l’Iran nella risoluzione della crisi.

La crisi in atto è dunque un banco di prova molto difficile ed importante per la diplomazia giapponese in Medio Oriente. Il compito complesso che Tokyo si trova ad affrontare è quello di riuscire a dimostrare sostegno e vicinanza agli alleati e ad un Paese importante per la propria industria, tenendo sempre in considerazione i bisogni di una nazione che però (a differenza degli Stati Uniti) è dipendente dai Paesi arabi per la propria produzione energetica. Nel suo apparire come più cauta e inattiva, l’azione giapponese in Medio Oriente è comunque presente, e segue eventi importanti che hanno visto Tokyo operarsi diplomaticamente in questa regione certamente per forti interessi economici, ma anche per importanti obiettivi politici.

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