Per il Regno Unito e la sua popolazione, il 2020, già prima della crisi del virus poteva essere considerato un anno molto particolare e decisivo. Ovviamente la diffusione del Covid-19 ha costretto a ripensare le priorità di tutti i paesi del mondo ma Londra era già impegnata nel percorso verso l’ufficialità della Brexit, con le sue conseguenze economiche e politiche, e nel rilancio di una Gran Bretagna globale.
Il concetto di Global Britain
I termini dell’uscita definitiva dall’Unione Europea sono tuttora in fase di discussione, con diversi ostacoli ancora da superare da entrambe le parti. Nonostante non siano ancora certe le dinamiche della Brexit, da dopo il referendum del 2016, nel Regno Unito si parla del possibile futuro luminoso che attende la ‘Global Britain’. Proprio questo concetto è stato promosso quattro anni fa per rilanciare l’immagine del Regno Unito a livello globale, agli occhi dell’opinione pubblica interna e a degli osservatori dei paesi esteri.
Il governo britannico ha sottolineato l’idea “che la ‘Global Britain’ voglia reinvestire nelle proprie relazioni, difendendo l’ordine basato sulle regole internazionali”. Nondimeno, sempre secondo ciò che viene scritto nel sito ufficiale del governo, il Regno Unito punterà “ad essere aperto, propenso a rivolgere verso l’esterno il proprio sguardo e ad essere fiducioso sulla scena mondiale”. Dominic Raab, Primo Segretario di Stato e Segretario di Stato per gli Affari Esteri, nonché uno dei fedelissimi di Boris Johnson, in una lettera al “Sunday Telegraph” nel settembre dello scorso anno, ha ribadito che la ‘Global Britain’ è qualcosa che va oltre la Brexit o il libero commercio e che il Regno Unito vuole accrescere il suo ruolo da ‘buon cittadino globale’ nel palcoscenico internazionale.
Sebbene lo sforzo comunicativo sia stato forte, è rimasta la vaghezza di questo progetto, intrinseca nello stesso slogan. Oltretutto ad essere poco chiari sono le modalità e i mezzi con cui l’obiettivo di una Gran Bretagna globale possa essere raggiunta. Alcuni infatti sostengono che sarà il rafforzamento dei legami con i paesi del Commonwealth britannico a dettare la linea politica di Londra, altri il rapporto privilegiato con gli Stati Uniti, nonostante ultimamente ci siano state alcune ‘incomprensioni’ con Washington (per esempio sul fronte 5G-Huawei). Al di là delle possibili intese commerciali, volendo analizzare il modo in cui nei territori britannici viene vista e vissuta questa strategia racchiusa nello slogan citato, affiora una situazione particolare.
Questa indeterminatezza del termine rende allettante l’idea di collegarla al “semplice” desiderio profondo del Regno Unito di un ritorno all’età imperialista, di quel passato ruolo di egemone dei mari e di tutti i continenti che ha ricoperto fino al secolo scorso. Una deriva come detto allettante, ma forse un po’ semplicistica.
Lo studio sulla politica estera
Su questo punto, una recente ricerca condotta dal British Foreign Policy Group ha indagato su quali siano le opinioni della popolazione britannica riguardo la politica estera e il ruolo internazionale del Regno Unito. Prendendo un campione di 4000 adulti ne è emerso che, nonostante le costanti dichiarazioni governative sui contorni della ‘Global Britain’, il significato vero di questo concetto non è ancora delineato accuratamente nella mente dei cittadini oltremanica. Il lavoro tratta diversi temi con molteplici domande, comparando le risposte con le diverse provenienze regionali e sociali degli intervistati, le appartenenze politiche e le fasce anagrafiche di riferimento, per rendere l’analisi il più completa possibile.
Alla domanda “cosa significa per il Regno Unito essere una vera Global Britain?” le risposte sono state molteplici e variegate. La prima risposta più votata è che il Regno Unito deve diventare un “campione” nel libero commercio e nella globalizzazione. La seconda opzione più votata è risultata essere quella in cui la Gran Bretagna diventi una potenza diplomatica. La terza posizione è quella forse più controversa: più di un quarto delle persone prese in considerazione infatti ha indicato come significato di “Global Britain” quello di una nazione con confini sicuri e forti, concentrata sui propri affari interni. Appare evidente che il riuscire a riaffermarsi come attore mondiale si scontra con quest’ultima posizione, più conservativa e probabilmente specchio di quel sentimento isolazionista che ha portato all’uscita dall’Unione Europea. Sono inoltre in molti tra gli intervistati a riconoscere di non saperne il significato o ad essere insicuri sulle risposte da dare.
Le differenze regionali e l’impatto del Covid-19
Senza addentrarsi in maniera capillare nel sostanzioso report, è interessante notare sia i dati nel loro insieme, sia evidenziare le preferenze rilevate in alcune delle ‘province’ britanniche che fanno risaltare una innegabile differenza di vedute all’interno del Paese.
Per esempio tra gli intervistati in Irlanda del Nord, regione nuovamente sotto i riflettori a causa della Brexit, è alta sia la percentuale di chi non vuole che il Regno Unito prenda parte attivamente alle controversie mondiali (21%), sia di chi sostiene la necessità di concentrarsi solo entro i propri confini rendendoli sicuri (34%), sia di chi non ha una specifica posizione sull’interventismo britannico e sul dispiegamento di truppe negli scenari critici globali (34%). Anche nell’East Midlands e in Scozia, una grande fetta di popolazione si schiera contro un possibile interventismo. Mentre i residenti nel South East sono i più propensi a supportare l’uso di mezzi e uomini negli scenari internazionali.
Una menzione a parte va fatta per Londra, vera e propria città-stato globale, quasi sempre in controtendenza rispetto alle regioni più popolari e profonde del paese. Non a caso, nella capitale, il supporto all’opzione di una Gran Bretagna costantemente attiva nel mondo è tra i più alti di tutti (circa il 31%) mentre solo il 2% dei residenti londinesi intervistati ha espresso un’opinione favorevole riguardo l’isolazionismo.
Le differenze regionali contano e si faranno sentire, in un Regno Unito sempre più disunito. La popolazione britannica dimostra di seguire con fatica la vaporosità del concetto di “Global Britain” e di una azione esterna spesso non meglio definita. L’arrivo del Covid-19, con la crisi sanitaria ed economica impone l’urgente necessità di una salda visione politica interna ed estera. Il premier Boris Johnson, in un discorso alla Camera dei Comuni del 16 giugno, ha dichiarato di aver iniziato nel Regno Unito “la più grande revisione della politica estera, di difesa e di sviluppo dalla fine della Guerra Fredda” con l’obiettivo di massimizzare l’influenza britannica nel mondo. Un progetto ambizioso e sicuramente necessario per il paese, specialmente in un momento storico fondamentale come questo. A patto che riesca a non cadere nella ormai sterile nostalgia imperialista, riportando il Regno Unito nel ruolo di protagonista tra i player mondiali nel mondo che verrà.
Luca Sebastiani,
Geopolitica.info