Il crollo simultaneo di domanda ed offerta negli equilibri dell’economia internazionale causato da COVID-19 rende gli attori politici più che mai fondamentali nel decidere le sorti del XXI secolo e dei cittadini che popoleranno il pianeta nel mondo post-pandemia.
L’assetto dell’ordine mondiale sta subendo, ormai da un paio di decenni, mutamenti di natura fluida che hanno minato gli equilibri geopolitici intrinsechi del secolo scorso.
Il periodo storico odierno non si caratterizza solamente da un rapido passaggio di porzioni di potere da un player all’altro sulla scena internazionale, ma è altresì condito dalla formazione di shock esogeni che hanno la capacità di perforare (e mutare) trend economici e politici dettati dall’ordine internazionale vigente.
L’anno in corso ha visto il nostro pianeta fronteggiare uno degli shock esogeni più impattanti e devastanti della Storia contemporanea: la pandemia da COVID-19.
In questo senso, una breve panoramica sull’andamento attuale delle relazioni commerciali internazionali risulta driver interessante per lo scopo di questo articolo: unire aspetti politici ed economici a livello internazionale nonché comprendere la forte dipendenza politica degli outcomes economici derivanti dalle relazioni trans-frontaliere.
Globalizzazione politedrica
La globalizzazione ha sicuramente ridimensionato le barriere legate alle distanze fisiche tra luoghi diversi e ha permesso l’interconnessione continua tra molteplici hub strategicisituati negli angoli più disparati (ma non casuali) del mondo.
È proprio il fenomeno della globalizzazione ad essere messo in discussione sui tavoli delle trattative e dei dibattiti dei policy makers a livello nazionale, regionale e globale, specialmente in un periodo storico caratterizzato dalla lotta alla pandemia.
La ristrutturazione della globalizzazione economica si basa oggi sul forte sviluppo delle Global Value Chains (GVCs). Queste ultime sono in grado di differenziare in maniera oculata, metodica e strategica la presenza e il potenziale dei giganti attori economici presenti sulla scena internazionale. Preme sottolineare come, ormai, questi ultimi sono in grado di fare fronte (in termini di output produttivo e annesse conseguenze politiche) ad attori più strettamente politici come gli Stati.
Nell’arena della globalizzazione, tuttavia, non troviamo soltanto le multinazionali che sfidano gli Stati. Infatti, altri attori economici popolano il commercio internazionale con obiettivi nobili.
Un esempio è dato da quelle imprese virtuose (di dimensione variabile) che con coraggio e dinamismo implementano politiche atte ad internazionalizzare la loro presenza sui mercati promuovendo un prodotto ad alto contenuto tecnologico o legato fortemente al territorio di origine. Oggi più che mai, queste imprese vivono in un clima di incertezza sebbene, paradossalmente, la globalizzazione abbia avuto il merito di intensificare la condivisione di informazioni ad una velocità mai registrata in altre epoche storiche.
Un Nuovo Ordine?
La pandemia da COVID-19 ha sicuramente evidenziato limiti e debolezze di un ordine internazionale continuamente sfidato da problematiche che travalicano ogni tipo di confine nazionale (e molto spesso anche regionale).
In questo contesto di transizione, le relazioni economiche transfrontaliere hanno subito un rallentamento marcato (sebbene non omogeneamente distribuito), causando gravi perdite economiche sia per il “centro” che per la “periferia” del mondo. Il paradosso è che, ancora una volta, la “periferia” non dispone dei mezzi e degli strumenti per placare dapprima l’emergenza sanitaria e successivamente per creare nuove basi per un progressivo, ma certo, reinserimento nei flussi del commercio internazionale.
Lo spazio lasciato vuoto dalla mancanza di questi strumenti viene occupato da risentimenti popolari e da una sempre più marcata sperequazione sociale. A ciò si abbina fragilità macro-economica e veleni politici che spesso sfociano nella formazione di regimi dittatoriali o democrazie illiberali che non rispettano lo stato di diritto.
Da ciò si evince che le relazioni economiche internazionali non possono più permettersi di basarsi su staticità geografica e flussi rigidi di import-export legati esclusivamente a versioni del paradigma geopolitico recente.
L’evoluzione dell’arena internazionale degli ultimi mesi insegna come il commercio internazionale, nella maniera in cui lo abbiamo sempre conosciuto, non può essere intrinsecamente la pozione magica contro la cura di ogni male, specialmente contro la pandemia in corso. Anch’esso si dimostra impotente nei confronti di uno shock esogeno che lo ha colpito in duplice maniera, sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta.
Esempi quali la nuova via della seta (OBOR), i recenti accordi di natura regionale quali l’USMCA (tra Stati Uniti, Messico e Canada) e il processo di progressiva uscita dall’UE della Gran Bretagna, ci segnalano sfide economiche legate fortemente a strategie politiche in continua evoluzione. Queste ultime sono state stravolte ed adattate, in ultimo, dalla pandemia in corso.
Sicurezza sanitaria
Affinché il commercio internazionale possa tornare a ricoprire un ruolo nobile incentrato sulla creazione di benessere, sviluppo, ricchezza e pace, è necessario dapprima contenere e limitare il più possibile la crisi sanitaria in corso.
Infatti, senza sicurezza sanitaria le relazioni economiche risultano deboli in efficacia e povere di contenuto.
Gli attori regionali, oggi più che mai, possono contribuire all’assorbimento della onda d’urto creata dallo shock pandemico in atto. Gli stati membri, in ambito UE come presso altre sedi, hanno il dovere e la responsabilità storica di unire le forze e combattere un “nemico” comune che non ha un’identità precisa, non possiede né eserciti né smanie di nuova super-potenza nell’ordine internazionale del XXI secolo, ma che allo stesso tempo mette in discussione l’attuale paradigma del mondo in cui viviamo. D’altronde, altre sfide del nostro tempo (e.g., il terrorismo di diversa matrice, la lotta al cambiamento climatico, la gestione delle crisi migratorie, la cyber-security, ecc.), non presentano forse affinità con la crisi sanitaria nell’essere soggetti astratti, trans-frontalieri per definizione e che mettono in discussione la sostenibilità dell’ordine internazionale odierno?
Un Nuovo Paradigma?
Per concludere, all’interno di organizzazioni regionali (e.g., UE) e internazionali (e.g., WTO), è possibile ed auspicabile la creazione di un potenziale in grado di gettare le basi verso un sistema economico più sostenibile, di sviluppo periferico, di sostegno all’ambiente e alle classi sociali più disagiate, di digitalizzazione e sviluppo tecnologico, di solidarietà globale, di supporto alle imprese che creano valore etico, di insistenza sugli elementi sostanziali della corporate social responsibility.
Come la Storia ci insegna, una crisi mondiale, per quanto devastante e con conseguenze gravi su più fronti, si trasforma ancora una volta in un’opportunità per cambiare i paradigmi del mondo in cui viviamo.