Dopo circa dieci anni di relativa calma, torna a scorrere il sangue nelle strade dello Sri Lanka. Per la prima volta dalla fine della guerra civile nel 2009, il Paese del sub continente asiatico viene infatti sconvolto da una serie di azioni terroristiche coordinate e dal significato altamente simbolico. Innanzitutto, il giorno: la domenica di Pasqua, mentre i fedeli cristiani erano riuniti e assistevano alle celebrazioni nelle chiese della capitale Colombo e dei suoi sobborghi, un chiaro messaggio sull’obiettivo che il gruppo terroristico, da cui ancora non sono giunte rivendicazioni, si era prefissato.
La minoranza cattolica quindi, ma non soltanto: oltre alle chiese infatti il commando ha attaccato in modo simultaneo, dimostrando una notevole organizzazione, tre alberghi di lusso della Capitale, affollati da uomini di affari, personale governativo e turisti occidentali: lo Shangri-la Hotel Colombo, il Kingsbury Hotel e il Cinnamon Grand Colombo. Infine l’analisi dell’azione di oggi non può non tenere conto, come già anticipato, dell’evidente salto di qualità con cui i terroristi sono entrati in azione: i kamikaze che hanno agito simultaneamente e anche a grande distanza l’uno dall’altro dimostrano l’esistenza di un gruppo ampio, che ha potuto godere di armi, soldi e di una rete di coperture ben strutturata che ha potuto eludere anche l’allarme lanciato solo pochi giorni fa dalle autorità governative e dalla polizia in cui veniva indicata la possibilità di gravi attentati contro le principali chiese del Paese da parte del gruppo islamista NTJ (National Thowheeth Jama’ath). Sebbene l’uso di cinture esplosive e donne kamikaze fosse già stato sdoganato dal gruppo terroristico delle Tigri Tamil, minoranza del nord della nazione che ha per trent’ anni mosso una vera e propria guerra civile contro lo stato centrale, mai il Paese aveva dovuto fronteggiare un’azione come quella messa in atto oggi.
Al momento si contano oltre 215 morti e quasi 500 feriti, compresi 35 stranieri di diverse nazionalità, tra cui americani, britannici, olandesi, turchi e cinesi. Mentre nessuna rivendicazione dell’azione è ancora arrivata, le autorità hanno comunicato di aver già arrestato tredici persone che ritengono legate in qualche modo agli attacchi, chiedendo ai cittadini di restare in casa e proclamando il coprifuoco fino alle 6 di domani mattina.
Gli attentati si inseriscono in un contesto dominato dalla divisione religiosa e dalla tensione politica che coinvolge gli organi esecutivi, il Presidente Sirisena e il primo Ministro Wickremesinghe, il potere legislativo del Parlamento e quello giudiziario della Corte Suprema; il Paese è inoltre dominato dalla maggioranza buddista che include circa il 70% della popolazione totale di 21 milioni di abitanti, che coesiste con tre principali minoranze: quella hindu, quella musulmana e infine quella cristiana.
Se fino ad oggi gli episodi di intolleranza religiosa si erano limitati a saccheggi e devastazioni di proprietà, perlopiù ad opera di musulmani o estremisti monaci buddisti, le azioni di oggi fanno invece presagire qualcosa di diverso e più organizzato.
Il primo ministro srilankese, Ranil Wickremesinghe, ha indetto una sessione d’emergenza in seno al Consiglio di Sicurezza nazionale per la giornata, e ha condannato gli attacchi, definendoli “codardi”, spronando la popolazione a rimanere “forte e unita” di fronte a tale evento, chiedendo ai cittadini di non diffondere notizie false o speculazioni infondate. Il governo, ha aggiunto, prenderà misure immediate per “contenere questa situazione”. Messaggi ed espressioni di cordoglio e condanna sono subito arrivati dalla comunità internazionale, dal Presidente Trump che ha parlato di “attacchi orribili e ignobili”, dagli organi europei e dal Papa che ha pregato per le vittime degli attentati durante la Santa Messa di Pasqua.