La recente intesa tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti, oltre a rappresentare un’importante passo verso la ricerca di stabilizzazione dell’Area MENA (Middle East and North Africa), ha previsto una serie di protocolli integrativi bilaterali sui temi della sicurezza, dell’innovazione tecnologica, del commercio internazionale e marittimo, delle telecomunicazioni, ma anche nei settori dell’agricoltura, della difesa e dei servizi di intelligence, della sanità, del turismo e dell’energia. Soffermandoci proprio sul comparto dell’energia, Israele è ormai nelle condizioni di confrontarsi autorevolmente anche con i Paesi tradizionalmente leader nella produzione degli idrocarburi (petrolio e gas naturale). Infatti dopo decenni di dipendenza, da qualche anno Israele sta decisamente incrementando l’autonomia energetica, essendo uno dei settori in progressiva espansione.
Partiamo analizzando i principali dati energetici del Paese nel 2019 (Fonte CIA World Factbook): produzione elettrica 63.09 mld di Kwh, dei quali 5,2 mld esportati e con un consumo di 55 mld di Kwh; una produzione di petrolio comunque significativa ed in potenziale sviluppo; una crescita esponenziale della produzione e consumo di gas naturale (produzione dai 1,55 mld di m3 annui del 2010 ai 7,9 mld di m3 del 2019; un consumo di 3,68 mld di m3 del 2010 ai circa 10 mld di m3 del 2019). In particolare i dati di crescita delle produzioni e dei consumi di gas naturale sono l’effetto dell’individuazione, sviluppo e messa in produzione degli impianti offshore operativi nelle acque territoriali israeliani. All’interno di questo spazio marino di riferimento i giacimenti individuati sono diversi: a partire dal più importante, il Leviathan (da poco messo in attività, con grandi potenzialità di sviluppo e controllato dalla Spa USA Noble Energy e dalle israeliane Delek Drilling e Ratio Oil), e poi a seguire gli altri Tamar, Tanin, Karish, Dolphin, Dalit, Noa e Mari B. Un nuovo “forziere” da 212 miliardi di m3 di produzione annua, come lo definisce Francesco De Palo, in un articolo su formiche.net. A questo potenziale diretto si aggiungerebbe quanto definito lo scorso gennaio tra ANP e Israele sulla gestione del giacimento offshore Marine Gaza (potenzialità di 32 mld di m3 di gas), situato a 22 miglia marine a largo delle coste della Striscia.
Dopo una lunga disputa sulla titolarità delle acque territoriali tra palestinesi ed israeliani e la rinuncia allo sfruttamento di diverse Oil Company Internazionali, il Palestine Investment Fund (una sorta di Cassa Depositi e Prestiti), incaricato alla trattativa da ANP, ha raggiunto con la controparte un accordo sul gas estratto, che sarebbe commercializzato da compagnie israeliane. Collegato a questa intesa, dovrebbe riprendere consistenza un progetto del 2015, che vede la costruzione di un gasdotto verso la Striscia di Gaza, che garantirebbe il trasporto di un miliardo di metri cubi l’anno dal Negev. Questo progetto dovrebbe essere sostenuto da finanziamenti europei a garanzia dell’accordo di cessate il fuoco a lungo termine tra Hamas e lo Stato ebraico.
Oltre a questo protagonismo nel settore del gas naturale, Israele sta acquisendo un’interessante posizione strategica anche nell’intero comparto petrolifero:
- Nel ciclo della logistica, già consolidato con gli oleodotti Eilat-Askelon (Trans-Israel Pipeline, concorrenziale con l’oleodotto egiziano Sumed e quindi alternativo al passaggio del Canale di Suez); Askelon-Haifa; Askelon-Ashdod, che trasportano petrolio dal Mar Rosso al Mediterraneo e alle raffinerie israeliane, gestiti da EAPC (Euro Asia Pipeline Co.) società controllata dal governo israeliano, che sino al 1979 (anno della rivoluzione sciita in Iran) presentava un capitale misto israelo-iraniano. Per alcuni anni Israele ha ancora concesso alle compagnie iraniane di trasportare il petrolio tramite la rete di oleodotti di EAPC; ad oggi non è dato conoscere se ancora queste concessioni siano in atto; il sistema di sicurezza israeliano considera riservate tali informazioni.
- Nella produzione petrolifera, avendo attivato nuovi impianti on shore sulle Alture del Golan affidati alla Afek Oil, gruppo privato misto israelo-statunitense, e potenziato le esplorazioni e le produzioni nel sito Meged, a cavallo tra il territorio di Israele e la Cisgiordania, in concessione alla società privata israeliana Givot Olam Oil Exploration e con riserve stimate di petrolio di scisto nel Deserto del Negev per diversi miliardi di barili (produzioni non convenzionali ad oggi non autorizzate dal Parlamento di Gerusalemme).
A queste nuove risorse provenienti da gas naturale e petrolio, Israele aggiunge una consolidata esperienza nel settore delle fonti di energia rinnovabile. La decisione di uscita dal carbone entro il 2025 ha accelerato gli investimenti per la ricerca nel settore e l’infrastrutturazione di nuovi impianti, considerando che nel 2019 il 16,4% dell’energia elettrica consumata proviene da produzioni sostenibili. Nel 2018 è stata inaugurata nel deserto del Negev, ad Ashalim, la più alta torre al mondo per la produzione di energia solare (250 metri e 50 mila eliostati). Infine nel 2020 il Governo ha annunciato un investimento di 250 mln di shekel (62,5 mln di €) per un parco eolico sulle Alture del Golan. Altri interventi sono programmati anche nel settore idroelettrico e di competenza della società a controllo statale Israel Elettric Corporation, particolarmente impegnata in questi settori di innovazione e sviluppo delle fonti rinnovabili.
Questa sintesi dimostra che si sta aprendo un nuovo orizzonte per Israele, che ha l’ambizione di imporsi anche come leader energetico in grado di esportare energia verso i Paesi limitrofi (già sono stati siglati accordi con Egitto e Giordania) e soprattutto con la firma nel gennaio scorso, dell’accordo con Cipro e Grecia per la realizzazione dell’importante infrastruttura di trasporto del gas naturale, il gasdotto Eastmed, che collegherà con un percorso di 1.900 Km, i citati e ricchi giacimenti israeliani con l’Europa. Dopo un breve periodo di ripensamento della strategia su tale progetto, dovuto alle incertezze economico-finanziarie determinatesi con l’avvento della pandemia da Covid 19, il governo israeliano lo scorso luglio, ha definitivamente approvato un piano di investimento per 6,9 miliardi di dollari per dare seguito all’accordo di gennaio precedentemente citato per la realizzazione del gasdotto.
Questo possibile scenario, unito al consolidamento degli approvvigionamenti idrici (altro valore aggiunto per Israele), rafforzerebbe ulteriormente il ruolo e la presenza dello Stato ebraico nel Medio Oriente, nell’area mediterranea ed in generale nella dimensione internazionale.
Antonello Assogna,
Fondazione Ezio Tarantelli