L’inquinamento, un fenomeno che minaccia l’uomo e la natura, coinvolge oggi tutti i Paesi del mondo, arrivando a colpire anche le zone meno popolate del pianeta. L’Unione Europea, da sempre, si è distinta nell’attuazione di politiche mirate a ridurre le emissioni di gas serra. L’insieme di misure che compongono la politica energetica ed ambientale è contenuto nel “Pacchetto cambiamenti climatici ed energia”, conosciuto come politica 20 – 20 – 20. Esso prevede che entro il 2020 i membri dell’Unione si impegnino a: ridurre del 20% le loro emissioni di gas a effetto serra rispetto ai livelli del 1990; garantire il 20% di risparmio energetico; aumentare al 20% l’energia prodotta da impianti che sfruttano le fonti rinnovabili. Per raggiungere questi obiettivi, le istituzioni dell’UE hanno sviluppato due azioni parallele. La prima prevede la creazione di un “mercato delle emissioni”, attraverso il quale è possibile scambiare, tra le aziende, quote di emissioni di gas ad effetto serra. La seconda prevede l’erogazione di fondi per favorire gli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore delle energie rinnovabili.
Entrambe le misure non hanno portato i risultati sperati. Ad oggi, le politiche energetiche ed ambientali europee hanno rappresentato solo una realtà disordinata. L’Unione lotta con un groviglio di politiche nazionali; con l’erogazione di costosissimi e poco efficienti sussidi; con dei mercati energetici poco efficienti; con la crescente dipendenza dalle importazioni di combustile fossile (nel 2011 l’UE ha importato petrolio per 488 miliardi di dollari, più del PIL della Polonia). A questo proposito, la Commissione Europea ha elaborato un documento, “Clima ed energia: obiettivi UE per un’economia competitiva, sicura e a basse emissioni di carbonio entro il 2030”, contenente le nuove linee guida per la politica energetica ed ambientale europea.
Una difficile negoziazione ha permesso alla Commissione di individuare dei nuovi elementi chiave nel quadro strategico per il 2030. In particolare, i nuovi pilastri della politica energetica ed ambientale sono: la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra; l’aumento dell’utilizzo di energie rinnovabili; delle politiche di efficienza energetica più ambiziose; la riforma del mercato delle emissioni; un nuovo sistema di governance; e una serie di nuovi indicatori per assicurare un sistema energetico competitivo e sicuro.
Elemento centrale della politica climatica ed energetica dell’UE per il 2030, è l’obiettivo di ridurre le emissioni del 40% rispetto al livello del 1990. Per raggiungere questo ambizioso traguardo, la Commissione ha previsto che i settori vincolati dalla direttiva sul mercato ETS dovranno garantire una riduzione del 2,2% annuo. Gli altri settori, non compresi nel mercato ETS, dovranno generare una riduzione del 20% al di sotto del livello del 2005. Questo sforzo sarebbe ripartito equamente tra tutti gli Stati membri. Inoltre, la Commissione invita il Consiglio e il Parlamento a concordare, entro la fine del 2014, che l’UE si impegni a realizzare una riduzione del 40% nell’ambito dei negoziati internazionali per un nuovo accordo mondiale sul clima, che si concluderanno nel 2015 a Parigi.
“Le energie rinnovabili svolgeranno un ruolo chiave nella transizione verso un sistema energetico sostenibile, sicuro e competitivo. L’obiettivo vincolante di almeno il 27% di energie rinnovabili a livello dell’UE entro il 2030 si accompagna a notevoli benefici in termini di bilancia commerciale energetica, ricorso a fonti di energia locali, posti di lavoro e crescita”, così scrive la Commissione nel comunicato stampa. L’obiettivo fissato delle istituzioni dell’UE lascia agli Stati membri la flessibilità di trasformare il loro sistema energetico nel modo che preferiscono secondo le esigenze nazionali. I miglioramenti nell’efficienza energetica avranno un ruolo centrale nel raggiungimento di tutti gli obiettivi della politica energetica dell’Unione; la transizione verso un sistema energetico sostenibile, sicuro e competitivo non è fattibile se si tralascia l’efficienza energetica, tanto che la Commissione entro l’anno preparerà una nuova diretta su questo tema.
Gli obiettivi fissati dalla Commissione saranno difficilmente raggiunti senza un piano di efficienza energetica. Il ruolo di quest’ultima nel quadro 2030 è sotto esame, ed entro la fine dell’anno dovrebbe essere pronta una direttiva in materia. Intanto, da Bruxelles invita gli Stati membri a considerare il problema nella redazione dei loro piani di azione.
La Commissione ha anche previsto una riforma del sistema ETS dell’UE. Il Sistema Europeo di scambio di quote di emissione è stato istituito dalla Direttiva 2003/87/CE, che prevede, per gli impianti industriali, il meccanismo “cap-and-trade” creato dal Protocollo di Kyoto. Questo sistema fissa un tetto massimo (cap) del livello totale delle emissioni consentite a tutti i soggetti ad esso vincolati, ma consente ai partecipanti di acquistare e vendere sul mercato (trade) diritti di emissione di CO2 (quote) secondo le loro necessità, all’interno del limite stabilito. Gli ingenti fondi erogati da Bruxelles hanno interferito con il corretto funzionamento di questo mercato. Infatti, nel momento in cui le imprese hanno avviato programmi per tagliere le emissioni ed utilizzare fonti rinnovabili si sono trovate in portafoglio un eccesso di permessi di emissione. Il problema è stato risolto vendendo i permessi in eccesso ad altre imprese che ne avevano bisogno, e che si sono viste autorizzate ad aumentare le loro emissioni di gas ad effetto serra. L’eccesso di permessi sul mercato ETS ha generato un altro paradosso: il prezzo dei permessi di emissione si è attestato sui €5/t mentre le imprese devono pagare €150/t per tagliare le emissioni nocive. Per evitare che si ripetano queste distorsioni, a Bruxelles si è stabilito di creare una riserva per garantire la stabilità del mercato all’inizio del prossimo periodo di negoziazione, nel 2021. Lo scopo della riserva è, da un lato, quello di permettere di affrontare l’eccedenza di quote di emissioni che si è costituita negli anni recenti, dall’altro, di migliorare la capacità del sistema di sopportare gli shock gravi, regolando automaticamente la fornitura di quote da mettere all’asta. La riserva opererebbe interamente secondo regole predefinite che non lascerebbero margini discrezionali alla Commissione o agli Stati membri per la sua attuazione.
Inoltre, il quadro 2030 propone una nuova governance basata su Piani nazionali per un’energia competitiva, sicura e sostenibile. Sulla base degli orientamenti che la Commissione fornirà, gli Stati membri dell’UE si impegneranno ad elaborare i loro piani nell’ambito di un approccio comune in grado di garantire una maggiore certezza agli investitori e una maggiore trasparenza. Una stretta collaborazione tra Bruxelles e gli Stati membri garantirà la coerenza dei piani nazionali con gli obiettivi sovranazionali.
La Commissione si è, però, astenuta dal proporre una regolamentazione per lo sfruttamento dello shale gas. In Europa si era avuto un primo rilancio nel 2009, quando la maggior parte delle estrazioni del gas derivante dagli scisti argillosi erano concentrate in Polonia, mentre altri Paesi europei, come la Germania e la Francia, dimostravano un crescente interesse. La produzione dello shalegas, ha da subito generato un aspro dibattito circa il suo impatto ambientale. L’entusiasmo per questo nuovo combustibile è andato scemando rapidamente: nel 2012, la Francia ed altri Paesi hanno sospeso lo sfruttamento dei propri giacimenti per motivi ambientali, facendo pressione per una interruzione in tutta l’Unione Europea. Gli studi eseguiti a livello mondiale non concordato nel confronto tra gli effetti derivati dall’estrazione dello shale gas e quelli che sono generati dall’estrazione di altri combustibili fossili.
La crisi economica che ha colpito il vecchio continente ha segnato anche le politiche ambientali ed energetiche, sembra che il benessere collettivo abbia lasciato il posto a mere considerazioni economiche. I cittadini dell’Unione e le imprese europee pagano tariffe molto alte per l’elettricità rispetto, per esempio, agli americani, utilizzatori di shale gas. È difficile giustificare l’alto livello dei prezzi dell’energia, soprattutto quando nel resto del mondo si sta facendo molto poco per attuare le misure necessarie per ridurre le emissioni di gas serra. Inoltre, in Europasi è avuta una confusa politica energetica, dovuta a configgenti priorità nazionali. Ad esempio, la Germania sta lentamente abbandonando il nucleare e, negli scorsi anni, ha avviato piani di investimento sulle fonte rinnovabili, in particolare sull’energia solare ed eolica; la Francia rimane fortemente legata al nucleare mentre, come si è visto, proibisce le trivellazioni per lo shale gas; la Gran Bretagna, ancora in ritardo sulle fonti rinnovabili, spinge molto per l’utilizzo del gas di scisto. A questo si può aggiungere che le istituzioni comunitarie hanno troppi commissari con responsabilità sovrapposte. L’ultimo pacchetto è stato concordato solo dopo una battaglia 11 ore tra la Connie Hedegaard, commissaria incaricata dell’azione per il clima, e GüntherOettinger, il commissario dell’energia tedesco che, a differenza del governo di Berlino, voleva solo un obiettivo di riduzione delle emissioni del 35%. Eliminare gli obiettivi configgenti degli stati membri ed eliminare le competenze sovrapposte potrebbe rappresentare un primo passo per una più efficiente politica energetica ed ambientale. Uno dei motivi per cui l’Unione La crisi economica che ha colpito i paesi europei ha avuto forti ripercussioni sul settore industriale generando un abbassamento del livello complessivo delle emissioni. Non è possibile, però, che la recessione economica, o la deindustrializzazione, possano essere considerati come politiche energetiche ed ambientali efficienti. È importante che le istituzioni comunitarie agiscano rapidamente per eliminare gli elementi distorsivi della sua politica, e lavorare per diventare un esempio per gli altri Paesi del mondo.