Non è stato un percorso facile, ma dopo il rinvio di un mese la nuova Commissione europea ha ricevuto la fiducia dell’Europarlamento: 461 voti favore, 157 contro e 89 astenuti. Un ottimo risultato, di gran lunga superiore rispetto a quello ottenuto a luglio dalla stessa presidente Ursula Von der Leyen, e più ampio di quello ricevuto all’epoca dalla Commissione di Jean-Claude Junker. Tuttavia, non bisogna farsi troppe illusioni: al di là dei buoni propositi l’attività della nuova Commissione sarà molto difficile.
Il voto finale del Parlamento europeo per la conferma della Commissione Von der Leyen è stato posticipato di un mese dopo che il processo di scrutinio dei commissari in pectore è risultato più complicato del previsto. Durante quello che potremmo definire un Vietnam parlamentare all’europea sono stati respinti i candidati di Ungheria e Romania, e per la prima volta anche quello della Francia.
Per l’Italia è significativa la nomina di Paolo Gentiloni come Commissario agli Affari economici e monetari, nomina a cui si è aggiunta quella di David Sassoli alla presidenza dell’Europarlamento e di Irene Tinagli alla presidenza della Commissione parlamentare per gli affari economici e monetari (tutti esponenti del PD). Appena si è saputo della nomina di Gentiloni, gli osservatori più smaliziati hanno iniziato a chiedersi come sarebbe stato visto da tedeschi e olandesi un politico italiano incaricato di occuparsi della supervisione dei budget dell’Eurozona. Non è un pregiudizio riservato esclusivamente all’Italia, nel 2014 i falchi del rigore di bilancio guardarono con lo stesso sospetto anche il francese Pierre Moscovici, nonostante rappresentasse l’altra metà del Reno (i.e. asse franco-tedesco).
Durante l’audizione di scrutinio Gentiloni ha usato argomenti molto simili a quelli usati all’epoca dal socialista francese, sottolineando che «non sarà il commissario di un solo Paese» (quindi non un ambasciatore dell’Italia) e la volontà di applicare «con piena flessibilità il patto di stabilità», cercando di fare in modo che sia consentito un uso adeguato dello spazio di bilancio per far fronte al rischio di rallentamento delle economie della zona euro. Nonostante i mugugni di rito, la sua nomina è stata accolta positivamente e senza intoppi. Dopo aver visto l’italiano Mario Draghi cambiare la politica monetaria della BCE, forse i Paesi nordici dovranno accettare di vedere un italiano cambiare le regole del Patto di stabilità e crescita.
È altrettanto vero però che il nuovo commissario all’economia sarà sottoposto al controllo del lettone Valdis Dombrovskis, uno dei tre vicepresidenti esecutivi con ruoli potenziati. Il timore di alcuni è che le competenze di Gentiloni vengano svuotate affidando a un supervisore il compito di vigilare sul suo operato, ma è un timore esagerato. A Gentiloni è stato esplicitamente assegnato il compito di far rispettare il Patto di stabilità e crescita, e di concedere le possibili eccezioni. Il fatto che sarà lui a occuparsene però non significa che avrà il potere di decidere chi “salvare” e chi “condannare” in maniera arbitraria: anche l’ex Presidente del Consiglio italiano dovrà agire – come tutti gli altri commissari – nell’ambito delle regole comunitarie e rispondere al resto della Commissione. La posizione sui conti pubblici italiani sarà assunta collegialmente dall’intera squadra di Von der Leyen.
Inoltre, non va dimenticato che eventuali cambiamenti nell’applicazione dei vincoli di bilancio arriveranno nei prossimi anni, le leggi di bilancio del 2020 saranno esaminate secondo le regole attuali. Per adesso tutto lascia intendere che vedremo replicarsi il solito schema: i paesi con i conti in ordine che dovrebbero investire di più non lo faranno, mentre i paesi con bilanci pubblici da risanare – come Francia e Italia – chiederanno spazi di flessibilità rimandando il rispetto di alcuni impegni a tempi più propizi. Almeno per quest’anno è sicuro che continueremo a vedere il solito gioco europeo del “poliziotto buono, poliziotto cattivo”, utile a mantenere invariato l’attuale stato delle cose.
Le prospettive della nuova Commissione
La nuova Commissione ha un assetto più gerarchico della precedente. Ci sono tre vice-presidenti esecutivi con incarichi rafforzati, dotati di una direzione generale e risorse per le proprie iniziative. Oltre al già citato lettone Valdis Dombrovskis, ci sono gli ex concorrenti alla presidenza: il tedesco Frans Timmermans e la danese Margrethe Vestager. Ognuno di loro rappresenta un partito della maggioranza: Dombrovskis i popolari, Timmermans i socialisti e Vestager i liberali. Ad accomunarli però c’è l’appartenenza al gruppo della Nuova Lega Anseatica, la coalizione informale tra Paesi Bassi, Danimarca, Finlandia, Svezia, Irlanda e i tre Paesi baltici che punta al rispetto delle regole sul bilancio ed è contraria a ogni proposta di riforme solidali dell’Eurozona.
La loro presenza fa da bilanciamento all’influenza di Macron. Il presidente francese è stato molto abile a influenzare le nomine europee e a mettere i suoi favoriti nei ruoli chiave, la sua influenza arriverà nel profondo della Commissione Von der Leyen. Macron adesso ha persone allineate alla sua visione di Europa nei ruoli più importanti: Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione, Charles Michel alla presidenza del Consiglio europeo, oltre appunto al commissario francese (Thierry Breton, mercato interno e concorrenza) e a Paolo Gentiloni all’economia, senza dimenticare ovviamente Christine Lagarde alla BCE. Oltre ai transalpini anche Michel, Von der Leyen e Gentiloni sono fluenti in francese, un dettaglio non secondario.
La mappa della nuova Commissione, quindi, rappresenta bene i rapporti di forza: presidenza tedesca affiancata da tre vicepresidenti speciali anseatici, vicepresidenti semplici di paesi poco potenti, e poi tutto il resto in un delicato equilibrio di nomine e interessi particolari
Von der Leyen ha dovuto trovare un difficile equilibrio tra popolari, socialisti e liberali. Inoltre, per raggiungere un compromesso ha dovuto aprire anche agli euroscettici orientali. La nuova Commissione avrà bisogno degli europarlamentari polacchi, ungheresi e romeni (anch’essi sotto esame per il conflitto tra politica e giustizia). La Polonia ha ottenuto l’Agricoltura e la Romania i Trasporti (portafogli rivelanti nella politica interna di Varsavia e Bucarest, e sul dossier delle grandi infrastrutture). L’Ungheria ha invece ricevuto il commissario all’Allargamento e vicinato, assegnazione controversa visto che il paese di Viktor Orbán non è esattamente un riferimento quando si parla di allargamenti e rapporti di buon vicinato. Questa apertura necessaria non sarò semplice da gestire.
Nei prossimi cinque anni i membri della Commissione dovranno occuparsi di molti dossier di priorità assoluta: l’immigrazione e l’accoglienza dei rifugiati, la riforma dell’Eurozona, la Brexit (o il negoziato), la competizione fiscale intra-UE, la tassazione dei giganti del web, le normative sulla concorrenza, la discussione del bilancio pluriennale 2021–2017, la guerra commerciale, le relazioni con gli Stati Uniti (con elezioni e forse un Impeachment di mezzo), l’organizzazione di una difesa comune, l’applicazione delle politiche ambientali, la transizione tecnologica ed energetica e molto altro ancora.
Rispetto a Jean-Claude Juncker, la visione di Von der Leyen dovrà porre più enfasi sulla geopolitica, cioè su una UE più assertiva sia nei confronti dell’alleato statunitense che della Russia e della Cina, e di tutto l’estero vicino. Cosa più facile a dirsi che a farsi vista la carenza comunitaria di strumenti per affermare la propria strategia. Allo stato attuale l’Unione Europea non riesce ad affrontare nemmeno la questione catalana ed è costretta a subire l’assertività della Turchia nel nord-est della Siria e nelle zone di sfruttamento off-shore di Cipro.
Nel discorso d’insediamento Von der Leyen ha promesso il raggiungimento di obiettivi ambiziosi come il Green Deal europeo (emissioni zero entro il 2050), l’affermazione di un ruolo geopolitico dell’UE e l’istituzione di una Difesa comune. L’osservazione della realtà però mostra uno scenario meno suggestivo. Una Commissione così diversificata rispecchia adeguatamente la complessa realtà dell’Unione, ma inevitabilmente significa anche che ci saranno molte conflittualità tra Commissione, Parlamento europeo e Stati membri – a loro volta alle prese con la conflittualità di parlamenti sempre più frammentati. Inoltre, l’attore principale di qualsiasi stagione di riforme comunitarie resta comunque il Consiglio europeo, in cui vige la regola dell’unanimità.
Non bisogna quindi farsi trascinare da suggestioni ideali, l’Unione Europea continuerà a essere una sofisticata organizzazione intergovernativa che ogni Stato membro guarda come veicolo del proprio interesse nazionale. Un atteggiamento forse cinico, ma sicuramente pragmatico che dovrebbe caratterizzare anche l’operato dei governi italiani, spesso inclini ad abbandonarsi a un europeismo eccessivamente romantico che trova pochi riscontri nella dura realtà delle relazioni internazionali tra paesi europei, o a un euroscetticismo scompostamente bellicoso, che all’atto pratico non riesce a far valere in sede comunitaria il potere negoziale che l’Italia è in grado di esercitare.
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