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La morte di Qaboos bin Said e le sue implicazioni politiche per l’Oman

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Nelle prime ore di sabato 11 gennaio, dal palazzo reale omanita è stata annunciata la morte del Sultano dell’Oman Qaboos bin Said, all’età di 79 anni. È stato dichiarato un periodo di lutto di tre giorni, mentre la bandiera omanita verrà issata a mezz’asta per quaranta giorni.

Come indicato nella lettera sigillata lasciata da Qaboos, il successore nominato è il cugino di 65 anni Haitham bin Tariq Al Said, ex Ministro del Patrimonio e della Cultura del paese.

Qaboos guidava il Sultanato dal 1970 e lo ha trasformato, nel corso dei decenni, in un modello di stato equilibrato e moderno. Uomo di grande cultura, diplomato alla Royal Military Academy Sandhurst in Inghilterra, Qaboos ha preso il posto del padre (sovrano ultraconservatore) con un colpo di stato nel 1970, avviando una politica di unificazione e di omanizzazione del Sultanato al fine di riportare gli emigrati omaniti nel paese di provenienza, promuovendo l’istruzione obbligatoria per uomini e donne, migliorando la sanità e tentando di allacciare relazioni con gli alleati occidentali, oltre che con i propri vicini della penisola araba.

Sovrano illuminato, Qaboos è stato il più longevo del mondo arabo, considerato colonna portante della politica in Medio Oriente degli ultimi 40 anni in quanto promotore di neutralità nelle dispute geopolitiche e di mediazione dei conflitti. Ha approvato l’ingresso dell’Oman nell’ONU e nella Lega delle Nazioni Arabe; ha sfruttato le risorse energetiche di cui è ricco il paese per elevarlo economicamente costruendo infrastrutture. A partire dalla sua ascesa al trono, in Oman non vi furono proteste intense, prova evidente della soddisfazione di un popolo di poco meno di cinque milioni di abitanti.

Ciò che più ci si chiede in questo momento è se il suo successore sarà in grado di mantenere la situazione stabile sia all’interno dei confini nazionali sia a livello internazionale.

Qaboos, infatti, si è anche impegnato per conservare la sovranità sulla penisola di Musandam, exclave omanita in territorio emiratino che si estende per circa 3.000 chilometri quadrati creando lo stretto di Hormuz che separa l’Oman dall’Iran (distanti 50 chilometri nel punto più vicino). Si tratta certamente di una scelta strategica: tale regione, che è anche uno degli 11 Governatorati dell’Oman, è uno snodo essenziale per il commercio e per le attività di scambio di diverso tipo con l’Iran. Lo stretto di Hormuz è una delle vie marittime più trafficate al mondo e, proprio per questo, oggetto delle ambizioni di diversi paesi della regione. Il fatto che lo stretto sia delimitato a sud dalla penisola di Musandam e a nord dall’Iran e da diverse isole e isolotti non troppo ospitali, alcuni dei quali disabitati, spiega anche il motivo per cui nessuno sia mai riuscito a controllarlo interamente. La “politica silente”di Qaboos ha permesso all’Oman di portare avanti una diplomazia gentile che gli ha dato la possibilità di gestire cautamente le relazioni con quei paesi che, di volta in volta, si sono insinuati all’interno dello Stretto di Hormuz.

Questo significato geostrategico è tornato al centro dell’attenzione quando il presidente iraniano Hassan Rouhani ha recentemente minacciato di chiudere lo stretto di Hormuz in seguito alla decisione dell’amministrazione Trump di lasciare l’accordo nucleare iraniano. Lo stretto di Hormuz è uno dei punti del pianeta su cui transita più petrolio e funge altresì da confine tra il mondo sunnita e quello sciita. Da una parte, l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti, dall’altra, l’Iran.

Secondo il diritto internazionale, gli stati possono esercitare il controllo fino a 12 miglia nautiche dalle loro coste: questo significa che nel suo punto meno largo, lo Stretto e le rotte marittime che lo attraversano sono interamente all’interno delle acque territoriali dell’Iran o dell’Oman. Il traffico marittimo che attraversa lo Stretto di Hormuz è quindi controllato dalle forze navali iraniane e dal Sultanato dell’Oman attraverso Musandam. Quasi tutte le entrate nel Golfo Persico sono attuate attraverso le acque iraniane e la maggior parte delle uscite attraverso le acque dell’Oman.

Se le tensioni geopolitiche sono innescate principalmente dai due interlocutori Iran e Usa, è pur vero che c’è un terzo interlocutore più silenzioso ma altrettanto interessato a mantenere ferma la propria posizione sullo stretto di Hormuz ed è l’Oman, grazie alla sua porta sullo stretto costituta dalla penisola di Musandam che il Sultano Qaboos si è impegnato a preservare.

Lo sforzo geopolitico del Sultano si è esplicato anche con la dimostrazione di tolleranza nei confronti delle presenze inglese e americana nel proprio territorio, nella fattispecie sull’isola di Masirah. Gli inglesi stabilirono una presenza militare sull’isola già negli anni Trenta mentre le unità degli Stati Uniti hanno usato l’isola di come base per l’Operazione (Eagle Claw) fallita nel 1980, relativa alla liberazione di ostaggi statunitensi in Iran chiamata. L’isola è stata successivamente utilizzata come area di sosta per le operazioni in Afghanistan nel 2001.

È necessario evidenziare che politica di mediazione dell’Oman nel contesto geopolitico internazionale si lega profondamente all’ibadismo, un ramo dell’islam kharigita improntato di tolleranza. Non professa mai la violenza per motivi religiosi e anche nei confronti dei non musulmani mostra da sempre grande apertura.

È chiaro che la politica silente, gentile e delle porte aperte del Sultano Qaboos resta di grande vanto e rappresenta un modello da seguire per tutto il mondo Mediorientale, da sempre molto instabile e turbolento. Al successore spetterà dunque il compito di interloquire con la realtà locale e globale con la stessa saggezza e determinazione di chi lo ha preceduto, ma al contempo dovrà distinguersi con nuove iniziative atte ad avviare, in una prospettiva di maggiore internazionalizzazione, processi di innovazione all’interno del paese e nelle relazioni geopolitiche ed economiche.

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