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Geopolitica dell'energiaLa Germania respinge la richiesta di deroga per operare...

La Germania respinge la richiesta di deroga per operare Nord Stream 2

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Il gasdotto Nord Stream 2 è un progetto il cui scopo è di duplicare i volumi di gas russo importato in Germania da Nord Stream (1), ovvero passare dai 55 miliardi di metri cubi attuali a 110 al momento dell’entrata in funzione a pieno regime del nuovo condotto. È stato più volte soprannominato gasdotto della discordia, poiché ha provocato numerose reazioni sia dal lato dei sostenitori del progetto, sia degli oppositori. In testa a quest’ultimi Polonia e Stati Uniti, sostenitori della ridondanza del gasdotto e della non necessità di aumentare la dipendenza energetica europea dalla Russia. Per la Federazione Russa, Nord Stream 2 è il terzo elemento locomotore, per la politica energetica attuata nell’ultimo decennio, oltre a Nord Stream 1 e TurkStream. L’obiettivo primario è chiaro: bypassare l’Ucraina per le forniture di gas ai mercati dell’Unione Europea.

Il gasdotto sarebbe dovuto entrare in funzione alla fine del 2019, o al massimo all’inizio del 2020. Nel 2019, la prosecuzione dei lavori ha incontrato vari ostacoli che ne hanno ritardato il completamento, tra cui una revisione della Direttiva gas in seno alle istituzioni europee, uno stallo nel posizionamento dei tubi sui fondali del Mar Baltico prossimi all’isola danese di Bornholm, l’imposizione di sanzioni americane contro le società impegnate nella costruzione del gasdotto a dicembre 2019.

Per quanto riguarda la revisione della Direttiva, alcuni Paesi Membri hanno cercato a lungo di bloccare l’avvio del progetto tramite diversi meccanismi burocratici, i quali, tuttavia, hanno avuto come maggiore conseguenza quella di rendere più difficile per Mosca portare a termine il progetto, piuttosto che fermarlo del tutto. Nel 2019, la Commissione Europea ha richiesto un mandato al Consiglio dell’Unione che gli desse il potere e l’autorizzazione a negoziare con la Federazione Russa la costruzione del nuovo gasdotto, in modo da poterlo annoverare nella lista dei progetti di sviluppo comunitari. Dal momento che il Consiglio non ha ritenuta legalmente valida la richiesta della Commissione, ciò che è scaturito dalla revisione del 2019 è stato l’obbligo per i nuovi progetti di fornitura di gas extracomunitari di sottostare al principio di unbundling, ovvero di separazione dei ruoli aziendali previsti nei processi di produzione e distribuzione del gas. La Russia, che opera nel settore principalmente tramite l’azienda statale Gazprom, non potrebbe usufruire del gasdotto a pieno titolo, in quanto non rispetterebbe il principio evidenziato nella revisione del 2019, in considerazione del fatto che Gazprom opera nella produzione, nella distribuzione, nella vendita e nell’infrastruttura del gas.

Secondo la legislazione europea, un operatore che voglia vendere nei mercati europei, nel caso in cui non rispetti il principio di unbundling, deve ottenere una deroga dal Paese il cui territorio include il punto di primo ingresso del gasdotto, la Germania per Nord Stream 2.

Gli Stati Uniti hanno mostrato fin da subito avversione per Nord Stream 2: secondo Trump, il gasdotto intensifica pericolosamente la dipendenza energetica da Mosca. Inoltre, il maggiore alleato degli Stati Uniti in Europa Orientale, la Polonia, si è fatto portavoce dell’opposizione di alcuni Paesi dell’area, tra cui anche l’Ucraina, e ha minacciato più volte di voler reagire con tutti i mezzi disponibili per impedire l’aumento del peso di Mosca nel settore energetico. La realtà è che tutti questi attori (Stati Uniti, Polonia, Ucraina) hanno interessi ad indebolire la portata di Nord Stream 2. Gli Stati Uniti stimano un forte aumento di produzione di gas liquefatto, la cui destinazione preferenziale sarà l’Est Europa: una maggiore concorrenza posta dal gas russo non è sicuramente ciò a cui Washington aspira, mentre Polonia e Ucraina ricavano somme ingenti dai diritti di passaggio sul loro territorio del gas russo.

Putin ha aperto il 2020 mostrando chiaramente l’intenzione di proseguire nella costruzione del gasdotto a prescindere dalle difficoltà prodotte dalla legislazione europea e dalle sanzioni americane. In gennaio, infatti, la nave russa Akademik Cherskij, specializzata nella posa delle condotte, si è avvicinata alle coste dell’oblast’ di Kaliningrad. Con questa mossa, Mosca ha implicitamente dichiarato di essere disposta a completare anche indipendentemente l’infrastruttura del gasdotto. Il 90% dell’infrastruttura è già stato realizzato, sono stati investiti miliardi di euro (molti dei quali provenienti da compagnie occidentali) e le dispute legali non sembrano poter compromettere l’effettiva entrata in funzione del gasdotto masolo ritardarla. Il ritardo nell’avviare Nord Stream 2 a fine 2019 ha permesso all’Ucraina di ottenere la sottoscrizione di nuovi contratti per il transito di gas destinato ai mercati europei sul suo territorio.

A gennaio, Gazprom ha ufficialmente inviato la richiesta di deroga al regolatore energetico tedesco per ottenere il permesso di operare il gasdotto nonostante non sia rispettato il principio di unbundling. Se inizialmente si stimava che Berlino non avrebbe posto obiezioni per un progetto che le assicura la dominanza nella gestione del gas a livello europeo, le notizie degli ultimi giorni hanno capovolto tale convinzione. Il 15 maggio scorso, il regolatore tedesco ha respinto la richiesta di deroga alla Direttiva gas, costringendo così Gazprom a ripensare la propria strategia. Sarà necessario per la compagnia russa concedere lo sfruttamento del gasdotto ad operatori terzi (come indicato dalla Direttiva gas), ma non solo: per la sezione tedesca di Nord Stream 2, si dovranno separare i ruoli di operatore e proprietario dell’infrastruttura. Nonostante la creazione di eventuali nuove società affigliate a Gazprom che possano gestire il condotto non rappresenti un problema insuperabile per Mosca, allungare ulteriormente i tempi per il completamento del progetto significherà aumentare le perdite sugli investimenti effettuati.

Mosca pensa già di contestare la decisione tedesca poiché contrastante con i principi fondamentali del diritto dell’Unione Europea. Tuttavia, la sensazione degli esperti è che ciò porterà ad ulteriori rallentamenti e ulteriori costi.

Gianmarco Donolato,

Geopolitica.info

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