L’India si presenta come uno Stato continentale sicuro di sé, fiero del proprio sviluppo economico e dello status di gigante asiatico che si percepisce sullo stesso piano della Cina, suo inevitabile rivale geopolitico. A differenza della Cina però, l’India è maggiormente orientata a una cooperazione a 360 gradi con le altre potenze: dal riconoscimento del primato statunitense alla cooperazione con Giappone e Australia nel quadro dell’Indo-Pacifico, senza negarsi la partecipazione al G-20 e alle iniziative esclusive della Russia e della Cina nel contesto della Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (SCO) e del BRICS.
La strategia volta a consolidare il potere geopolitico di Delhi si basa su tre cerchi concentrici. Osserviamo innanzitutto i numerosi paesi dell’estero vicino indiano: Pakistan, Bangladesh, Myanmar, Cina, Bhutan, Nepal, Sri Lanka e Maldive. Malgrado la presenza della Cina, l’India ha sempre provato a imporsi come la potenza regionale grazie alla sua grandezza demografica, economica e territoriale. Storicamente la catena dell’Himalaya impedisce un’invasione reciproca di Cina e India, e questo permette all’India di proiettare con una certa efficacia la sua influenza sui Paesi facenti parte il primo cerchio geopolitico, con l’unica eccezione del Pakistan, avversario storico fin dai tempi della partizione post-coloniale. Prima della partizione dell’impero anglo-indiano del 1947 il territorio di India, Pakistan e Bangladesh era un tutt’uno. Con la fine del dominio coloniale britannico il territorio fu diviso in due stati: uno musulmano e uno indù. Successivamente, anche grazie all’appoggio di Delhi, il Pakistan dell’Est conquistò la sua indipendenza e diventò il Bangladesh.
La storia post-coloniale ha generato quattro conflitti tra India e Pakistan: due per la regione contesa del Kashmir (nel 1947 e nel 1965), uno per l’indipendenza del Bangladesh (nel 1971) e un altro sull’altopiano del Kargil (nel 1999). Conflitti che hanno causato migliaia di morti, milioni di profughi, rancori insanabili e dispute territoriali irrisolte. Nel 1998 due Stati sono anche riusciti a dotarsi di armi nucleari, ma nemmeno la prospettiva la mutua distruzione assicurata ha favorito la normalizzazione delle ostilità. Inoltre, il Pakistan è parte di uno dei principali progetti delle nuove vie della seta cinesi, il corridoio sino-pakistano (CPEC), che attraversa il Kashmir e rappresenta una delle principali fonti di preoccupazione per gli strateghi indiani. Il 5 agosto di quest’anno l’India ha revocato lo status di autonomia della regione di Jammu e Kashmir e aumentato la presenza militare, avvelenando ulteriormente i fragili equilibri del territorio conteso con Islamabad.
I rapporti sono difficili anche con il Bangladesh. Delhi accusa Dacca di dare sostegno ai gruppi separatisti del nord-est indiano, specialmente in Assam, e di non controllare a sufficienza la frontiera. Anche qui l’immigrazione viene usata come arma, la diaspora bengalese in India è molto numerosa ma i numeri reali sono ignoti a causa dell’illegalità e della propaganda dei rispettivi governi. Tra il 1993 e il 2013 gli indiani hanno costruito un muro di filo spinato lungo 4.096km per contrastare l’immigrazione clandestina, il contrabbando e l’infiltrazione terroristica. Un’altra barriera insanguinata, arrivata in prima pagina nel 2011 con la storia della piccola Felani Khatun, uccisa da una guarda indiana mentre scavalcava la barriera e lasciata appesa al filo spinato per quasi tre ore mentre poteva essere soccorsa e salvata. Dopo 72 anni da quella necessaria ma sanguinosa partizione, il territorio dell’ex impero anglo-indiano ancora non ha trovato un equilibrio.
Un altro paese della frontiera indiana è il Myanmar. Dopo il processo di democratizzazione dell’ex regime militare i rapporti sono cresciuti, anche grazie al gas birmano e alla sua integrazione nell’ASEAN. Per Delhi il Myanmar è la tappa intermedia verso il sud-est asiatico, ma anche in questo paese la Cina ha un progetto infrastrutturale legato alle nuove vie della seta. Altri partner del primo cerchio geopolitico indiano sono i piccoli paesi del nord, Nepal e Buthan, con cui le relazioni sono buone anche se anch’esse caratterizzate dalla concorrenza cinese, se pur in maniera meno rilevante. Infine, ci sono i paesi della frontiera marittima nell’Oceano Indiano, Sri Lanka e Maldive, dove la strategia di Pechino è più assertiva data la ferma volontà di realizzare la nuova Via della Seta marittima.
L’Oceano Indiano nel suo insieme è il secondo cerchio della strategia indiana. Anche Delhi vuole controllare il “suo” mare, crocevia delle principali rotte mondiali. A dispetto del nome geografico però, l’Oceano Indiano è un mare americano. Con le basi in Kuwait, Gibuti, Bahrein, Oman e Singapore gli Stati Uniti controllano l’accesso ai principali stretti dell’Oceano Indiano, da Malacca a Hormuz e Bab el-Mandeb. Supremazia strategica coronata dalla presenza dell’imponente base militare di Diego Garcia, territorio britannico d’oltremare situata al centro della regione. Oltre che della rivalità geopolitica tra Cina e India, il secondo cerchio della strategia indiana è quindi anche il teatro principale della rivalità strategica sino-americana.
La Cina vuole costruire le installazioni logistiche della Via della Seta marittima lungo tutto il Rimland, ma l’India vede questo aumento della presenza cinese come una politica d’accerchiamento che mette a rischio la supremazia regionale. In risposta, Delhi ha l’ambizione di diventare a sua volta una potenza navale in grado di proteggere le rotte commerciali del “suo” oceano. Rotte in cui transita la maggior parte del commercio globale, compresi gli idrocarburi necessari a nutrire l’impetuosa crescita cinese. Tramite le isole indiane dell’oceano, Delhi è in grado di sorvegliare le rotte commerciali in direzione dello Stretto di Malacca, crocevia fondamentale. L’India ha anche costruito basi di controllo alle Seychelles e alle Maldive con cui occuparsi della sicurezza marittima tra le Seychelles, Maldive e Mauritius.
L’India però non è in grado di controllare l’intero oceano da sola, per contrastare le ambizioni cinesi dovrà inevitabilmente intensificare la cooperazione e l’alleanza con gli Stati Uniti. La prospettiva di una grande alleanza anticinese nell’Indo-Pacifico trova conferme anche nel rapporto con i paesi del sud-est asiatico. L’India è membro associato dell’ASEAN, dove ci sono Vietnam, Singapore e Indonesia, Stati membri allarmati dall’ascesa della Cina con cui rafforzare le relazioni. Timori condivisi anche dall’Australia e dal Giappone. L’India guarda con favore l’approccio statunitense alla regione dell’Indo-Pacifico, un favore che trova forma concreta nella cooperazione militare ed economica con USA, Giappone e Australia, con cui forma il Quadrilateral Security Dialogue (Quad).
Il terzo cerchio della strategia indiana è il resto del mondo. L’India è un membro dell’ONU molto attivo, dagli anni ’50 a oggi ha partecipato a numerosi interventi di peace-keeping, specialmente in Africa. Visto il suo peso demografico, Delhi chiede di diventare membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite allo stesso titolo della Cina. L’India fa anche parte del G-20, del BRICS e della SCO. Grazie al suo approccio multilaterale, Delhi riesce ad avere ottimi rapporti con una larghissima quantità di paesi: dall’Africa al Sudamerica, dall’Europa al Medio Oriente.
Per l’India quindi il grande rivale su scala mondiale è la Cina, ogni vecchio e nuovo rapporto internazionale tiene conto di questa rivalità. Il fatto che il più grande rivale sia anche il più grande partner commerciale non risolve la questione. Le relazioni bilaterale tra i due giganti dell’Asia sono complesse, oscillano costantemente tra rivalità e cooperazione. Delhi non sopporta l’idea di essere sottoposta a Pechino, ma non essendo in grado di contrastare da sola l’influenza cinese ha bisogno di alleati. L’India è uno Stato continentale che dispone di molte risorse umane, culturali ed economiche, ma ciò nonostante fatica a decollare come vorrebbe. La povertà estrema è un flagello per il paese, la società è attraversata da conflitti etnici, settari e religiosi — Indù contro musulmani — e l’economia deve far fronte al collocamento una forza lavoro in costante aumento. La Cina quindi continua ad avere un netto vantaggio, ma con alta probabilità sarà proprio la rivalità con l’India a fornire il pilastro necessario alla costruzione e al mantenimento della rete di alleanze che impedirà a Pechino di realizzare la via della seta marittima.
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