Con l’esclusione del penultimo Governo Andreotti, mai nella storia repubblicana un Ministro degli Esteri in carica era stato chiamato a ricoprire l’incarico di formare un nuovo esecutivo.
Si racconta che quando nel 1961 il Ministero degli Esteri dovette abbandonare le stanze di Palazzo Chigi per trasferirsi nell’allora periferica sede della Farnesina i malumori si alzarono forti tra il corpo diplomatico. Uno sgarbo in parte vendicato dalla decisione del Presidente Mattarella di affidare l’incarico esplorativo a Paolo Gentiloni Silveri, 62 anni, architetto, discendente diretto dell’omonima casata nobiliare e – fino allo scorso sabato – vertice politico della diplomazia italiana.
Paolo Gentiloni è stato scelto per il dopo Renzi tra una rosa di candidati che pur annoverava nomi del calibro di Piercarlo Padoan e Carlo Calenda per tutto ciò che rappresenta e non rappresenta.
Sotto un profilo istituzionale, chi meglio del titolare della Farnesina poteva essere chiamato a rivestire un tale incarico in un momento di transizione politica che vedrà comunque l’Italia direttamente coinvolta in impegni internazionali di eminente rilievo – meeting del G7, membership nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Al contempo, sotto un profilo meramente politico e nell’economia della strategia renziana post-referendaria, il nome di Paolo Gentiloni ha costituito un minimo comun denominatore largamente approvato da tutte le correnti che animano il Partito Democratico e un’alternativa fidata a candidati che avrebbero potuto rivelare sopite aspirazioni leaderistiche.
Premier a scadenza per i più maligni o tutt’al più guida di un esecutivo di scopo per gli altri, il nuovo Primo Ministro sarà comunque chiamato ad affrontare importanti sfide sul piano internazionale e nazionale, a partire dalla stesura della nuova legge elettorale.
Anche per questo non possiamo che augurargli buon lavoro.
La Redazione