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NotizieLa divisione del Partito Democratico sulla questione israelo-palestinese

La divisione del Partito Democratico sulla questione israelo-palestinese

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Con l’escalation di violenza verificatasi in questi giorni e il riacutizzarsi dello scontro israelo-palestinese – che ha portato alla morte di 243 palestinesi, di cui più di 60 bambini, e 13 israeliani, inclusi due bambini, oltre che ad un massiccio bombardamento sulla striscia di Gaza, una pioggia di razzi di Hamas quasi tutti neutralizzati, e a proteste e disordini in tutto il resto del territorio conteso – negli Stati Uniti si è riaperto il dibattito in merito alla posizione che il paese dovrebbe avere nel conflitto. 


Articolo precedentemente pubblicato nel nono numero della newsletter “A Stelle e Strisce”. Iscriviti qui

Nonostante gli Stati Uniti abbiano più volte assunto il ruolo di mediatore fra le due parti, sono da sempre un importante alleato e sostenitore di Israele, e tale presa di posizione non è stata quasi mai messa in discussione da Washington, che a governare ci fosse un presidente democratico o repubblicano. Anche l’Amministrazione Obama, nonostante nel 2016 sia stata la prima dal 1980 a non porre il veto (astenendosi) ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ai danni di Israele permettendo al Consiglio di dichiarare illegali gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, non si è mai sbilanciata eccessivamente rimanendo neutrale nelle parole e continuando a sostenere Israele militarmente e politicamente. Con l’Amministrazione Trump questa parvenza di imparzialità è scomparsa completamente e gli Stati Uniti hanno adottato una posizione fermamente filo-israeliana. Infatti, la firma degli Accordi di Abramo ha avuto l’effetto di indebolire ulteriormente e isolare la Palestina da quelli che una volta erano i suoi più forti alleati e il ritiro degli USA nel 2018 dal Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU in difesa di Israele ha creato tensioni all’interno della comunità internazionale. Tuttavia, le elezioni del 2018 hanno portato al Congresso Alexandria Ocasio-Cortez, Ilhan Omar e Rashida Tlaib, schieratesi sin da subito a favore dei palestinesi, che hanno spesso dato voce al loro disappunto per come lo stesso Partito Democratico trattava il conflitto israelo-palestinese. In particolare, Ilhan Omar, l’unica donna musulmana nella Camera dei Rappresentanti a portare il velo, è stata più volte accusata di antisemitismo e divenuta il target di una campagna d’odio online insieme a Rashida Tlaib, anche lei musulmana e figlia di rifugiati palestinesi, in parte fomentata anche dall’allora presidente Donald Trump che la attaccava pubblicamente. La presenza di queste figure e del loro palese sostegno ai palestinesi, rappresenta una novità per il Partito Democratico  che era abituato a qualche voce fuori dal coro, come quella di Bernie Sanders, che da anni critica l’operato di Israele – specialmente il governo di Netanyahu – ma non si era mai trovato ad avere una frangia piuttosto popolare di membri della Camera e del Senato in così netta opposizione con la linea concordata, frangia che si è ulteriormente allargata dopo le elezioni del 2020. 

Fin dal primo giorno di scontri a Gerusalemme nel quartiere di Sheikh Jarrah e l’irruzione dei soldati delle IDF nella moschea al-Aqsa una settimana prima della fine del Ramadan, vari esponenti del Partito Democratico hanno chiesto al presidente Biden di intavolare un dialogo con Netanyahu per fermare le violenze ai danni del popolo palestinese. Tali richieste – inizialmente non ascoltate – si sono moltiplicate con l’inizio dei bombardamenti da parte di Hamas, i cui razzi sono stati quasi tutti intercettati dalla Cupola di Ferro, la difesa antimissilistica israeliana, e da parte dell’esercito israeliano, le cui armi hanno distrutto non solo interi edifici abitati nella striscia di Gaza ma hanno anche colpito senza preavviso un campo di rifugiati, causando la morte di almeno dieci persone inclusi otto bambini, e varie strutture sanitarie, tra cui una clinica di Medici Senza Frontiere fino a distruggere il 18 maggio l’unico laboratorio in tutta Gaza che disponeva della tecnologia per processare i test Covid-19, una regione dove vivono circa due milioni di persone e che ha un tasso di positività al virus superiore al 40%. In seguito a queste richieste, Biden ha espresso la propria solidarietà al popolo palestinese ribadendo, però, che Israele aveva il diritto di difendersi dagli attacchi di Hamas. Il terzo simbolo colpito in questi giorni è stato l’edificio che ospitava da più di dieci anni la sede a Gaza di Al Jazeera e di Associated Press, distrutto il 15 maggio poco dopo che l’esercito israeliano aveva fatto uscire tutti i giornalisti, avvisandoli del bombardamento. La distruzione dell’edificio è stata giustificata dicendo che erano presenti risorse militari di Hamas, ma Gary Pruitt, presidente di AP, ha negato categoricamente l’esistenza di questo pericolo all’interno di quella che è la loro sede da quindici anni. Molti hanno interpretato questo atto come una deliberata decisione da parte di Israele di mettere a tacere i media che diffondevano le notizie dei bombardamenti su Gaza. Il Segretario di Stato americano, Anthony Blinken, ha dichiarato di aver richiesto al governo israeliano le prove che l’edificio fosse una delle sedi strategiche di Hamas ma di non aver ricevuto nessuna notizia in merito. Tuttavia, lo stesso giorno, gli Stati Uniti hanno bloccato una dichiarazione unitaria del Consiglio di Sicurezza dell’ONU relativamente alla questione.

Dopo questo evento e dopo che l’Amministrazione Biden ha portato avanti la sua decisione – presa ad aprile – di approvare la vendita di munizionamento di precisione ad Israele per un valore di 735 milioni di dollari, le proteste da parte del Partito Democratico si sono moltiplicate: Alexandria Ocasio-Cortez ha definito lo stato di Israele uno stato in cui vige l’apartheid; Cori Bush, una neoeletta rappresentante del Minnesota alla Camera e attivista BLM, ha affermato di essere categoricamente contro l’idea che i soldi statunitensi fossero investiti per “finanziare una polizia militarizzata, un’occupazione e un sistema di oppressione violenta”; Jon Ossoff, neoeletto senatore della Georgia, ha guidato una delegazione di venticinque senatori che ha richiesto a Biden di adoperarsi per arrivare ad un immediato accordo di cessate il fuoco con entrambe le parti, specialmente quella di Israele, il cui contrattacco è stato giudicato sproporzionato. Il presidente americano ha quindi dichiarato di aver adottato un tono più duro con il Presidente Netanyahu, che però ha risposto di non aver intenzione di fermare i bombardamenti contro Gaza fino alla notte del 20 maggio, quando le due parti si sono accordate per una tregua. Biden si è rallegrato dell’accordo e ha affermato nuovamente il suo appoggio a Israele e la continuazione dell’invio degli aiuti militari. Tuttavia, nel pomeriggio del 21 maggio, l’esercito israeliano ha interrotto la tregua dopo appena dodici ore lanciando granate assordanti e lacrimogeni sulla folla di palestinesi che si era riunita attorno alla moschea di al-Aqsa per celebrare la fine degli scontri e del Ramadan, avvenuta durante i giorni dei bombardamenti e che quindi non è stata festeggiata.

In tutto questo, il Partito Democratico fatica a trovare una linea comune sulla questione, cosa che era già successa nei primi giorni delle proteste del Black Lives Matter a seguito della morte di George Floyd, quando mentre una parte dei Democratici si definiva d’accordo con i manifestanti e giustificava anche i risvolti più violenti delle proteste, condannando le violenze della polizia, Joe Biden consigliava agli agenti di sparare alle gambe, invece che subito al cuore. Così come il Partito Repubblicano è alle prese con una parte sempre più grande di membri che vorrebbero liberarsi di Donald Trump, il Partito Democratico non riesce a far combaciare le sue due anime, quella ancora legata all’establishment e quella, sempre più grande, che invece si trova molto più a sinistra, che si parli del sostegno alla Palestina o della sanità pubblica. 

Ginevra Falciani,
Geopolitica.info 

Corsi Online

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