Dopo oltre tre anni di tensioni e tentativi di riavvicinamento, Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti ed Egitto hanno posto fine all’embargo diplomatico ed economico contro il Qatar firmando una Dichiarazione di “solidarietà e stabilità”. Tuttavia, la crisi ha fatto emergere profonde divergenze a livello regionale che difficilmente saranno appianate con un accordo.
La Dichiarazione di Al Ula e la riappacificazione
Il 5 gennaio 2021, l’antica città saudita di Al Ula ha ospitato il 41° vertice del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC nell’acronimo inglese) che ha sancito la riconciliazione tra Doha e Riyadh e gli altri Paesi del Golfo. La crisi esplose nel giugno 2017 quando Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein ed Egitto imposero un embargo economico e diplomatico sul Qatar, accusato di finanziare il terrorismo e di intrattenere relazioni pericolose con l’Iran, principale rivale regionale.
La Dichiarazione di Al Ula, della quale non sono stati ancora resi pubblici i dettagli, segna ufficialmente la fine dell’embargo contro il Qatar. Con questo accordo i Paesi del cosiddetto “quartetto arabo” si impegneranno a riaprire lo spazio aereo e le frontiere marittime e terresti con il vicino Qatar e quest’ultimo, in cambio, rinuncerà a tutte le azioni legali intraprese contro i vicini. Disposizione già introdotta dal Regno saudita il 4 gennaio quando il principe ereditario Muhammad bin Salman aveva comunicato la riapertura di tutti i confini (terrestri, marittimi e aerei) con il vicino Qatar e dichiarato che “la politica del Regno dell’Arabia Saudita, sotto la guida del Custode delle Due Sacre Moschee, si basa su un solido approccio mirato al raggiungimento degli interessi ultimi degli Stati membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo e dei paesi arabi”. Il giorno successivo anche l’Egitto ha disposto la riapertura ai voli da e verso il Qatar.
La mediazione del Kuwait e degli Stati Uniti
L’esito positivo del vertice è il frutto del processo di mediazione del Kuwait e degli Stati Uniti. Il Kuwait ha svolto un ruolo fondamentale per stabilizzare i rapporti tra i paesi del GCC tanto durante la prima crisi diplomatica del 2014, quando Arabia Saudita, EAU e Bahrein ritirarono i loro ambasciatori da Doha a causa del sostegno che quest’ultima aveva manifestato nei confronti della Fratellanza Musulmana in Egitto, quanto nel successivo embargo del 2017. Numerosi progressi verso la risoluzione delle ostilità sono stati compiuti tra novembre e dicembre 2020 quando diversi segnali hanno cominciato a far trapelare un’inversione di marcia della politica saudita. Il 4 dicembre, ad esempio, il Ministro degli Esteri kuwaitiano Ahmad Nasser Al Sabah aveva mostrato ottimismo in riferimento a “conversazioni incoraggianti” sulla riconciliazione nel Golfo. Nella stessa dichiarazione aveva espresso il suo apprezzamento per gli sforzi profusi dal Senior Advisor della Casa Bianca Jared Kushner nel contribuire al raggiungimento di un accordo finale per promuovere una solidarietà duratura tra i paesi del Golfo. Sforzi questi, confermati dalla visita del 1° dicembre in Qatar e in Arabia Saudita del genero del Presidente uscente, a distanza di una sola settimana dal viaggio compiuto il 23 novembre dal Segretario di Stato USA Pompeo, nonché dalla sua presenza durante il summit del GCC.
Cosa c’è dietro al cambiamento tattico saudita?
Le intenzioni dell’amministrazione Trump sono chiare: riportare un’ulteriore vittoria diplomatica oltre agli Accordi di Abramo e privare Biden del merito di aver posto fine alla crisi. Il motivo principale del cambio di rotta dei sauditi sarebbe infatti la vittoria di Biden alle elezioni statunitensi. L’imminente insediamento di un Presidente che ha manifestato la volontà di rientrare nel patto per il nucleare iraniano ha infatti reso indispensabile per i sauditi rinsaldare le alleanze, ormai deteriorate, all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo, nonché tentare di allontanare il Qatar dall’orbita iraniana, dato che, l’embargo aveva dato come risultato il consolidamento delle relazioni tra il vicino e la Repubblica Islamica dell’Iran.
Tuttavia, la Dichiarazione di “solidarietà e stabilità” rischia di essere una pace bilaterale tra Riyadh e Doha più che un presupposto per l’allineamento politico delle monarchie del Golfo. Gli Emirati Arabi Uniti, di fatto, sembrerebbero non essere ancora disposti a restaurare le relazioni diplomatiche con lo Stato degli Al Thani. L’avvicinamento tra sauditi e qatarioti dunque potrebbe provocare una rottura con gli Emirati, indebolendo ulteriormente il GCC (argomento analizzato nell’articolo disponibile a questo link).
In conclusione, è difficile prevedere se la pace sarà duratura, poiché le divergenze in politica estera tra i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo rimangono consistenti. Non conosciamo cosa e in che misura il Qatar sarà disposto a “sacrificare” in nome della stabilità regionale. Sarà disposto ad interrompere il sostegno alla Fratellanza Musulmana o il suo rapporto speciale con l’Iran, con il quale- ricordiamo- condivide il giacimento di gas più grande al mondo? Tra molteplici interrogativi, sarà interessante anche comprendere il posizionamento del GCC rispetto ad Israele e alla causa palestinese e ancora alla Turchia con la quale l’Arabia Saudita ha recentemente ripristinato un dialogo.
Jessica Pulsone
Geopolitica.info