Le autorità governative della regione, ovvero la Commissione per lo Sviluppo e la Riforma della Regione Autonoma, ha sviluppato una serie di misure volte alla realizzazione del 14° piano quinquennale relativo alla riduzione di approvvigionamento dell’energia da fonti fossili. Tra queste misure rientra anche quella di vietare l’attività di mining; circa l’8% della potenza computazionale mondiale per la soluzione degli algoritmi viene proprio dalla Mongolia Interna, grazie anche al basso prezzo dell’energia elettrica.
Che cosa si intende per “mining”?
Siamo lontani dall’immagine dell’uomo col volto sporco di fuliggine che entra in gallerie sotterranee dove la luce del sole non penetra mai. Oggi per minare si intende utilizzare l’attività di calcolo, che i moderni computer permettono agli utenti, per risolvere degli algoritmi crittografati all’interno delle blockchain a cui sono associate valute elettroniche, come il BitCoin, per citare il primo esemplare. Non è neanche necessario stare seduti fisicamente davanti al pc per “minare BitCoin”: è semplicemente necessario lasciare accesso il proprio computer e lasciarlo libero di svolgere i propri compiti, ammesso di avere una connessione internet stabile.
La definizione odierna di “mining”, quindi, è estremamente lontana da quella tradizionale, sebbene l’analogia che gli insider del settore sembrerebbero lasciar intendere, figurativamente parlando, si avvicini molto a questa: così come durante la corsa all’oro si scavava per estrarre pepite del prezioso materiale, così al giorno d’oggi si scava tra i codici per estrarre quelli che risolvono l’algoritmo crittografato e conferiscono le pepite moderne, ovvero le valute digitali.
In realtà, vi sono alcune piattaforme, come Kryptek, che permettono ai propri utenti di registrarsi e iniziare a minare sin da subito, senza alcuna formazione necessaria in programmazione o scrittura di codici. Certo, le possibilità di guadagno sono inferiori rispetto a software come Trex, che permettono ai propri utenti di entrare in proprietà delle valute così minate, ma i requisiti in termini di conoscenza dei linguaggi di programmazione e delle componenti hardware del proprio apparecchio potrebbero non essere così alla portata di tutti.
Le valute digitali e le blockchain
Vi è stato un momento nella storia recente in cui alcuni hanno ipotizzato che queste valute digitali potessero addirittura soppiantare le valute emesse dall’autorità governative, cioè i dollari, gli euro e così via discorrendo. Chiaramente, utilizzare una valuta che non abbia un’autorità ben precisa a dargli un valore, o a controllarne le fluttuazioni, è un’ipotesi che gli Stati hanno cercato di eliminare dalla lista delle opzioni possibili, dal momento che la possibilità di utilizzare una moneta il cui valore sia effettivamente al di fuori del loro controllo, rappresenta un’eventualità estremamente dirompente, e potenzialmente dannosa per l’economia globale, nonché per il concetto stesso di Stato, secondo alcuni filosofi dell’Internet of Things.
Infatti, grandi aziende come Facebook, o Alibaba, hanno iniziato a proporre l’idea di proprie valute digitali, ma senza poi effettivamente metterle in pratica. Un elemento di queste nuove valute che gli Stati si sono affrettati a metabolizzare, tuttavia, è stato senza dubbio la tecnologia sottostante: la blockchain. Ciò che permette alle valute digitali di evadere il controllo di autorità garanti come le banche centrali è stato il fatto che la rete stessa diventa la garante delle transazioni effettuate dai possessori della moneta.
Agli albori del mining, come ricorderanno anche gli appassionati della sit-com statunitense The Big Bang Theory, i cosiddetti miner possedevano effettivamente i BitCoin solamente nel momento in cui questi possedevano fisicamente il disco fisso, o mobile, o qualunque altro mezzo di memorizzazione dei dati, nel quale erano salvati. Per esempio, salvare dei BitCoin all’interno di una chiavetta USB significa che nel momento in cui si perde questa, si perdono anche le monete al suo interno.
I miner e la funzione svolta all’interno del sistema
Nel momento in cui si utilizzano monete digitali come mezzi di pagamento, non avendo corso legale, chi non voglia ricevere una transazione monetaria in BitCoin, giusto per fare un esempio, è libero di rifiutarsi di accettarli, cosa che non è possibile, invece, con i dollari, o gli euro, o con qualsiasi altra moneta avente corso legale nel Paese in cui questa transazione sta avendo luogo.
Nel caso in cui la moneta digitale dovesse venire effettivamente accettata, la transazione viene inviata alla blockchain, dentro i cui blocchi vengono verificate le chiavi pubbliche degli utenti che stanno effettuando lo scambio. La blockchain, dunque, verifica che l’identità di chi ha effettuato la transazione e che egli possieda effettivamente le monete che sta scambiando.
Il ruolo svolto dai miner è quello di garantire che vengano aggiunti blocchi alla catena dei blocchi (blockchain, appunto) all’interno dei quali sono contenute le transazioni, in modo da rendere sempre più difficile modificare i dati all’interno dei blocchi. Il loro compito è quello di trovare il frammento di informazione, chiamato “hash”, associato ad un blocco identificato dal numero del blocco all’interno della catena e ad uno specifico numero, chiamato “nonce”, che sta per number used once.
È richiesto un enorme sforzo computazionale per compiere questo calcolo, definito come “prova di lavoro”, e una volta che il miner, il quale compete con tutti gli altri miner del mondo per essere il primo a trovare l’hash corrispondente al nonce che risolve la prova di lavoro, viene ricompensato attraverso dei coin. In sostanza, i miner ricoprono una funzione a dir poco essenziale all’interno del sistema delle blockchain, poiché permettono di aumentare i blocchi all’interno dei quali sono contenute le trascrizioni delle transazioni e di conseguenza garantire la sicurezza del sistema.
Questa tecnologia di comunicazione del possesso della valuta digitale è ciò che le banche centrali hanno deciso di emulare per poterla poi applicare alla versione digitale della propria moneta, dal momento che permette di costruire un sistema il cui utilizzo riduce fortemente i costi di intermediazione finanziaria, oltre che, appunto, in termini di sicurezza, dal momento che i blocchi contengono codici crittografati di transazioni quasi impossibili da replicare. La blockchain, in realtà, non trova applicazione solamente in ambito finanziario, dal momento che varie aziende utilizzano la tecnologia nei più svariati campi, tra cui la domotica, l’agricoltura, l’urbanistica, controllo della filiera produttiva …
La moneta digitale cinese e la componentistica necessaria al mining
Abbiamo già visto come il governo di Beijing abbia in passato sperimentato la versione digitale dello Yuan in diverse zone del Paese; inoltre, di recente, il Presidente degli Stati Uniti Biden ha dichiarato di voler escludere la Cina dalla catena produttiva internazionale dei settori high tech, tra cui quello dei semiconduttori. L’8% della potenza computazionale globale diretta verso il mining sembrerebbe proprio provenire dalla regione della Mongolia Interna, grazie al suo ridotto costo di fornitura dell’energia elettrica: questa rappresenta una percentuale tutt’altro che indifferente.
È doveroso precisare che non si utilizzano tutte le componenti di un computer per svolgere le attività di mining, ma solamente una: la scheda grafica. Chi dovesse, in questi mesi di pandemia, essersi dato al gaming, saprà certamente che il mercato di schede grafiche è stato predato come non mai prima d’ora: le quarantene generali hanno portato all’aumento della domanda di dispositivi elettronici, domanda che l’offerta non è stata in grado di soddisfare pienamente.
La catena produttiva dei semiconduttori, necessari per la realizzazione di svariate componenti elettroniche, è per l’appunto una di quelle che il presidente americano intende costruire al di fuori della sfera economica della Cina. Per comprendere l’impatto del mining sui prodotti elettronici, nello specifico sulle schede grafiche, il colosso statunitense nel settore, NVIDIA, aveva ideato la sua nuova GeForce RTX 3060 con dei sistemi ideati per ridurre le prestazioni della stessa in caso di utilizzo della scheda per attività di mining. Il nuovo modello di RTX è uscito il 25 febbraio 2021 e durante la prima settimana del marzo seguente, degli hacker cinesi hanno condiviso sul web un algoritmo, chiamato Dagger Hashi-Motto, in grado di bypassare le misure di sicurezza della NVIDIA.
Per allievare la pressione che il mining esercita sul mercato delle schede grafiche, il colosso americano ha annunciato il rilascio di della NVIDIA CMP (Cryptocurrency Mining Processor) HX, il quale utilizza la GPU (Graphics Processing Unit) della serie RTX senza gli altri elementi orientati al gaming – basti pensare al fatto che non possiede un’uscita video; in sostanza, il mining sta avendo una portata non indifferente nel mercato high-tech.
L’8% dell’intera potenza computazionale significa un numero elevato di questi componenti collegati ad un solo processore, il quale non deve nemmeno avere dei requisiti tecnologici elevati per avviare il processo di mining; in gergo questi insieme di schede grafiche collegate insieme ad un solo dispositivo possono prendere il nome di “rig” o “farm” a seconda del loro numero. Considerando che l’attività in questione riduce notevolmente la vita media dei una scheda grafica, ciò si traduce in una domanda costante di schede grafiche, le quali poi vengono adibite al mining da parte del consumatore; vietare questa attività potrebbe essere controproducente per la regione cinese, in termini di mercato di componenti elettroniche, ma senza dubbio il guadagno in termini energetici potrebbe compensare questa perdita.
La geopolitica del mining
C’è un altro aspetto da tenere in considerazione: il mining è funzionale ad uno scopo ben preciso, cioè quello di validare le transazioni di monete digitali all’interno della blockchain. Sostanzialmente lasciare questa attività ai singoli individui che minano significa due cose: i) “democratizzare” il sistema monetario e delocalizzare la moneta digitale, dal momento che gli utenti del coin diventano loro stessi gli arbitri delle transazioni; ii) ridurre i costi di gestione del processo di validazione, da parte del “costruttore” della blockchain. Così facendo, inoltre, si garantisce sia la diffusione della moneta che la vita della blockchain sottostante la moneta.
La decisione del legislatore regionale cinese, dunque, può avere diversi risvolti sulla geopolitica e sull’economia globale. Da una parte, manda un segnale di forte preferenza verso la transazione ecologica, dal momento che in Mongolia Interna l’energia è ancora fornita prevalentemente da centrali a combustibili fossili e l’attività di mining andava ad aumentare la domanda di energia nella regione; dall’altra potrebbe sia spostare i costi del mining verso altri Stati, che si dovrebbero accollare le spese energetiche di questa attività, certo avendo, a sua volta, come compenso un probabile aumento della domanda di prodotti high-tech.
Alessandro Vesprini,
Geopolitica.info