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TematicheItalia ed EuropaCosa sta accadendo in Kosovo?

Cosa sta accadendo in Kosovo?

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Gli occhi dell’Europa sono puntanti verso il Kosovo, dove, il 29 maggio scorso, è avvenuto un  violento scontro tra i manifestanti serbi e i militari Nato della Force (KFOR), tra cui 14 italiani del IX Reggimento alpini L’Aquila. Erano dieci anni che i militari del contingente Nato non venivano coinvolti in scontri armati.

Teatro dello conflitto è  Zvecan, città a nord del Paese, a maggioranza serba. La miccia che ha acceso  le ormai quotidiane proteste è stata  l ‘insediamento del nuovo sindaco di etnia albanese. Le tensioni nel nord del Kosovo sono aumentate dal 23 aprile scorso, giorno delle elezioni locali in quattro comuni a maggioranza serba. La popolazione di Zvecan, Zubin, Potok e Leposavic ha boicottato il voto e così sono stati eletti 4 sindaci di etnia albanese con un astensionismo del 98%. 

Per comprendere meglio ciò che sta accadendo in Kosovo è utile fare un breve excursus sulla situazione attuale. Da più di un anno sono in corso intense attività diplomatiche tra Belgrado e Pristina per la normalizzazione dei rapporti e acquietare tensioni mai sopite. 

La cosiddetta proposta franco-tedesca prevede che,  la Serbia,  pur senza un riconoscimento ufficiale della sua ormai ex provincia,  smetterebbe di ostacolare l’ingresso del Kosovo nelle Nazioni Unite e chiederebbe la creazione della Associazione dei comuni a maggioranza serba in Kosovo, prevista dagli accordi di Bruxelles del 2013, ma mai realizzata. 

In cambio, la Serbia otterrebbe un canale preferenziale nel processo di integrazione nell’Ue.

Vučić, presidente della Serbia dal maggio 2017, sa bene che l’eventuale fallimento del piano comporterebbe l’  interruzione del processo di integrazione, ritiro di tutti gli investitori occidentali  che rappresentano il 65% degli investimenti e isolamento politico del paese. 

Le più forti resistenze al piano sono però arrivate dal primo ministro del Kosovo Albin Kurti il cui partito Vetevendosje si è sempre opposto alla creazione dell’associazione dei comuni serbi del Kosovo, temendo la nascita di una “Republika Srpska” in Kosovo simile a quella bosniaca.

A complicare la situazione sono i rapporti tra le due etnie. Secondo una ricerca condotta da Kosovar Center for Security Studies, il 46% degli intervistati non si sentirebbe sicuro viaggiando in Serbia e  l’ipotesi della formazione dell’Associazione di Comuni a maggioranza serba e uno status speciale per i monasteri, è sostenuta solo dal 9% dei cittadini del Kosovo. 

Episodi violenti, come attacchi armati contro i funzionari della commissione elettorale del Kosovo in visita per preparare il voto, spari contro pattuglie della polizia sono all’ordine del giorno. Emblematica in questo senso è stata la decisione di Pristina di  ri-registrazione dei vecoli muniti di targhe rilasciate dalle autorità serbe e recanti le sigle delle municipalità kosovare, sostituendo quest’ultime con targhe kosovare recanti la sigla “RKS” (Repubblica del Kosovo) la quale ha innescato reazioni negative da parte dei serbi, culminate a inizio novembre nelle dimissioni di massa dei serbi kosovari che operavano nelle istituzioni politiche, giudiziarie e di polizia del Kosovo. 

Segno che , come ha avuto modo dire George Friedman su  geopoliticalfutures :  “In the Balkans, memories are long and unforgiving” .

Non è dato sapere se gli episodi di questi giorni rallenteranno il processo di normalizzazione sostenuto da Europa e USA, di certo, come spiega bene Giorgio Fruscione, ISPI Balkans Desk : “la crisi in corso danneggia innanzitutto la popolazione locale e va a vantaggio della Russia” la quale potrebbe sfruttare l’instabilità della regione per distogliere l’attenzione degli Americani sull’Ucraina , aprire un’area di crisi nel fianco sud-est dell’Europa e estendere la sua influenza. Non a caso il primo  commento dei  fatti di lunedì  è stato quello del ministro degli esteri russo Segej Lavrov, il quale ha evocato «una situazione potenzialmente esplosiva nel cuore dell’Europa».

L’italia, per ovvie ragioni storiche e geopolitiche, ha sempre avuto un ruolo rilevante nella regione. Non caso, attualmente la missione è comandata dal generale Angelo Michele Ristuccia, 13° comandante italiano alla guida della missione ed è succeduto al parigrado ungherese Ferenc Kajari. Prima di Kajari, l’Italia aveva mantenuto il controllo della missione per otto anni consecutivi.

In base all’ Elaborazioni Ambasciata d’Italia su dati Agenzia ICE di fonte ISTAT,  l’export italiano nel 2022 verso il Kosovo ha raggiunto la cifra di 158,38 milioni, di cui il 45,79 milioni è rappresentato da prodotti alimentari. 

La bilancia commerciale dell’Italia con i Balcani nei primi undici mesi del 2022 ha registrato un avanzo pari a circa 2,8 miliardi di euro (era 2,6 miliardi nei primi undici mesi del 2021).

L’importanza dell’area adriatico-balcanica per il nostro Paese è confermata anche dal rilievo della cooperazione economica e dagli intensi scambi commerciali che intratteniamo con la regione in diversi settori.

Primo fra tutti, si segnala il forte interesse di Ferrovie dello Stato (FS) ad estendere il loro raggio di operatività all’interno della Regione a seguito dell’acquisizione di Hellenic Train.

Un sistema infrastrutturale d’area efficiente ed integrato, consentirebbe a Ferrovie dello Stato (FS) di svolgere un ruolo importante sul piano logistico sulle linee di trasporto su rotaie che dal porto del Pireo si estendono su tutta l’area della regione adriatico-balcanica. 

Come risulta dal Piano Regione Adriatico-Balcanica pubblicato lo scorso febbraio sul sito della Farnesina, le imprese italiane rappresentano il 5,5 del PIL della Serbia.

Preservare la stabilità nei Balcani e ad aiutare gli attori locali a risolvere le loro divergenze è obiettivo rilevante per il nostro paese.

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