“Per i miei genitori non importa se Kemal Kılıçdaroğlu vincerà le elezioni oppure no. Il fatto che un alevita abbia raggiunto un posto così prominente nella politica di questo Paese è già un motivo di orgoglio.” Ho letto una grande emozione negli occhi di Aryen, dal colore verde chiaro, quasi trasparenti, e nel suo volto, incorniciato dai capelli lisci e castani, quando mi ha parlato del candidato che sfiderà il presidente Recep Tayyip Erdoğan al secondo turno delle elezioni che si tengono in Turchia domenica 28 maggio.
Ho incontrato Aryen a Van, una delle grandi città nell’est anatolico a maggioranza curda. Lei è un’insegnante originaria di Adiyaman, una delle province più colpite dal terremoto di magnitudo 7.8 che ha devastato Turchia e Siria lo scorso 6 febbraio e che in quest’area ha mietuto almeno diecimila vittime, su un totale di più di cinquantamila morti, secondo gli ultimi dati ufficiali. Molti suoi parenti hanno perso la vita. Mi ha spiegato che lei e la sua famiglia sono etnicamente curde ma dal punto di vista religioso appartengono alla minoranza alevita, proprio come Kılıçdaroğlu. Si tratta di una minoranza di musulmani sciiti presenti soprattutto nella parte orientale dell’Anatolia, il cui culto sincretico ed eterodosso, legato allo zoroastrismo e allo sciamanismo anatolico, è considerato un’eresia fin dai tempi dell’Impero ottomano. Attualmente gli aleviti rappresentano il 15% della popolazione turca. “Sfortunatamente essere sia curdi che aleviti in Turchia non è mai stato facile. Ma negli ultimi anni, con il governo dell’Akp (il partito del presidente Erdoğan), che esalta sia il nazionalismo che l’appartenenza alla fede sunnita, le cose sono diventate più difficili. Quando ho lasciato la mia città per iscrivermi all’università altrove, la mia famiglia mi ha detto: mi raccomando, non rivelare a nessuno che sei un’alevita”, mi ha raccontato Aryen.
La ragione per cui molte persone appartenenti a questa minoranza in Turchia occultano la propria identità risiede anche nelle persecuzioni subite nel corso della storia del Paese. In particolare, uno dei più feroci massacri di cui sono stati vittime gli aleviti ha avuto luogo nei primi anni dell’era repubblicana. Nel 1938, in una città che all’epoca si chiamava Dersim, vi fu una rivolta di curdi aleviti che si opponevano alle politiche di turchizzazione forzata. Il governo guidato dal Chp soffocò la ribellione inviando l’aviazione, che bombardò l’area mietendo più di sedicimila vittime. L’antico nome curdo di Dersim venne poi riconvertito in Tunceli, il cui significato letterale è “mano di bronzo”. Considerata per anni un male necessario, nel 2011 la strage di Dersim è stata per la prima volta riconosciuta come una delle pagine più nere della storia repubblicana: e a pronunciare il discorso dell’apology è stato proprio il presidente Erdoğan, che ha definito il massacro “uno degli eventi più tragici della nostra storia recente”.
Ma il passo più importante nella storia della minoranza alevita è stato quello fatto da Kılıçdaroğlu, che tra l’altro è nato a Nazimiye, nella provincia di Tunceli. Lo scorso 19 aprile, in uno dei suoi tipici video girati nel tinello di casa e condivisi su Twitter, con i quali il leader ha esposto le proprie idee e mostrato vicinanza ai suoi elettori, Kılıçdaroğlu ha affermato con forza la propria identità di alevita, affermando: “Sono un alevita. (…) La nostra identità è il nostro essere che ci rende ciò che siamo e ovviamente dobbiamo rivendicarla con dignità. (…) Non parleremo più di separazioni, parleremo dei nostri sogni condivisi”. Il video ha raggiunto più di cento milioni di visualizzazioni in tre giorni. Ho chiesto ad Aryen cosa ha provato vedendolo: “Quando ho ascoltato le sue parole, i miei occhi si sono velati di lacrime. Alcune persone anziane della mia famiglia hanno pianto. Per la prima volta nella storia di questo Paese gli aleviti, considerati invisibili per la politica, venivano menzionati da un candidato di così alto livello. Per molti anni alla nostra minoranza è stato impedito di ricoprire ruoli istituzionali come quelli di giudici, governatori distrettuali e amministratori locali. Siamo sempre stati visti come pericolosi, come “altro” rispetto alla maggioranza. Ma ora, con Kılıçdaroğlu candidato presidente, per la prima volta ci sentiamo tutt’altro che diversi”. Al primo turno delle elezioni presidenziali, svoltosi domenica 14 maggio, Kılıçdaroğlu ha ottenuto il 44,9 per cento dei voti, restando sotto di cinque punti rispetto al presidente Erdoğan, che comunque con il 49,5 per cento non è riuscito a conquistare la vittoria. Viste le ragioni su esposte, questo fatto rappresenta comunque un successo per un candidato come Kılıçdaroğlu. Ma la Turchia è un Paese pieno di contraddizioni e l’ottimismo di Aryen purtroppo contrasta con il dato relativo alla composizione del Parlamento, che si è rinnovato contestualmente al primo turno delle presidenziali. Su 600 seggi, almeno 400 sono legati a partiti di stampo nazionalista e conservatore indipendentemente dall’appartenenza alla coalizione di Erdoğan o di Kılıçdaroğlu. Anche per questa ragione, la retorica elettorale da parte dell’opposizione si è spostata verso un discorso di tipo nazionalista e identitario, che ha visto nei rifugiati siriani il perfetto capro espiatorio. Nel tentativo di recuperare il consenso del nocciolo più nazionalista di elettori, Kılıçdaroğlu ha saldato un’alleanza con Umit Ozdag, il leader del Partito della Vittoria, notoriamente xenofobo e ultranazionalista. Tuttavia, guardando la situazione da un differente punto di vista, possiamo affermare che persino un politico identitario e ultranazionalista si è ritrovato a fare endorsement per un candidato presidenziale appartenente ad una minoranza.