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TematicheRussia e Spazio Post-sovieticoKazakistan, cause interne e internazionali della crisi in corso

Kazakistan, cause interne e internazionali della crisi in corso

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Per capire quanto sta accadendo in Kazakistan, terra nota per l’abbondanza di materie prime, bisogna fare una duplice lettura: la prima di tipo energetico e la seconda di tipo politico. Scoppiata nelle regioni dell’ovest, la protesta dei cittadini contro il rincaro dei prezzi dell’energia è presto sfociata in una sorta di guerra civile, con un esito che lascia poco spazio all’immaginazione: decine di vittime, centinaia di feriti e qualche migliaio di kazaki arrestati.

Nei giorni precedenti il governo del Kazakistan aveva deciso di raddoppiare il prezzo del gas e del petrolio a causa della globale crisi energetica su cui il mondo continua ad interrogarsi senza, per ora, riuscire a porre rimedio. Una scelta estremamente impopolare che ha di fatto costretto un’intera popolazione a vedersi raddoppiare i costi di ogni proprio spostamento in considerazione del fatto che il Kazakistan, nono Paese più grande al mondo, non ha praticamente alcuna infrastruttura interna se si eccettua la rete stradale.

Tuttavia, e qui sta il punto, la vera questione, che ha portato la gente in piazza a protestare con veemenza contro il Governo e le istituzioni, è da ricercare in un malcontento politico che da anni si sentiva nella popolazione. Il Kazakistan, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, è stato controllato per decenni dal leader indiscusso Nursultan Nazarbaev, particolarmente gradito a Mosca, che ha di fatto governato la nazione limitando pesantemente le libertà individuali, in cambio di un accettabile benessere sociale dovuto alle ingenti risorse energetiche vendute alla Russia e alla Cina.

Il suo successore, l’attuale presidente Kassym-Jomart Tokayev, subentrato nel 2019, consapevole del crescente malcontento tra la popolazione ha prima rimosso il Governo kazako per la decisione di aumentare i prezzi e poi ha lanciato appelli di dialogo nei confronti dei manifestanti. Una disponibilità durata poche ore poiché nel contempo lo stesso Tokayev ha richiesto, ed ottenuto, la presenza delle truppe russe, in forza dell’alleanza fra i due Paesi sancita con il Trattato di sicurezza collettivo, stipulato nel 1992 anche dalle altre ex repubbliche sovietiche.

In un breve lasso di tempo si sono recate in Kazakistan anche le forze militari degli altri quattro Stati firmatari del Trattato, ossia Bielorussia, Armenia, Kirghizistan e Tagikistan. Secondo il governo locale, la tesi ufficiale è che fra i feroci manifestanti ci siano anche estremisti venuti dall’estero, aventi l’obiettivo di sovvertire l’ordine interno della nazione. Una tesi cara anche al Cremlino che potrebbe approfittare di questa situazione caotica per avere ancora maggiore influenza sul territorio.

Gli Stati Uniti e le organizzazioni sovranazionali, con le Nazioni Unite e l’Unione Europea in primis, hanno già pubblicato tenui dichiarazioni sul rispetto dei diritti umani. In particolare, il portavoce del Dipartimento di Stato statunitense Ned Prince ha assicurato che gli Stati Uniti condanneranno ogni violazione dei diritti umani, nonché ogni presa delle istituzioni locali da parte della Russia di Putin.

L’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera, Josep Borrell, ha espresso al ministro degli Esteri kazako, Mukhtar Tileuberdi, la disponibilità dell’Unione per sostenere la stabilità del Paese. Di un altro avviso invece è la Repubblica Popolare Cinese che, interessata come sempre ad una stabilità geopolitica in chiave energetica, si è detta favorevole all’intervento militare russo attraverso il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, che ha annunciato presso le reti di stato che la Cina è “favorevole agli sforzi per aiutare le autorità kazake per mettere fine al caos il prima possibile”.

Anche il presidente Xi Jinping, che sta consolidando sempre di più il proprio potere, si è detto favorevole a qualsiasi intervento messo in atto con l’obiettivo di reprimere i disordini.

Nonostante le rassicurazioni delle autorità locali, la guerriglia è ancora in atto, pertanto risulta molto complesso ipotizzare come e quando terminerà, e soprattutto quali effetti porterà ai cittadini kazaki e al già delicato asse geopolitico che vede da un lato Mosca e i Paesi dell’ex Unione Sovietica, e dall’altro i Paesi occidentali.

Certo è che il presidente Tokayev ha dato l’ordine di sparare ai manifestanti “senza preavviso”, rifiutando ogni possibile trattativa con i rivoltosi. Nella città più grande, Almaty, dove invero si sta ancora combattendo, non è difficile trovare presso le strade e le piazze bossoli, proiettili e auto crivellate dai colpi, come cadaveri di manifestanti e forze dell’ordine, due addirittura trovati impiccati.
La Piazza della Repubblica di Almaty, cuore degli scontri, ne è l’esempio.
Le rivendicazioni di queste proteste sono arrivate da Parigi, città di esilio per il dissidente Mukhtar Ablyazov, marito di Alma Shalabayeva e già ministro kazako. Egli ha chiesto l’intervento degli Stati occidentali al fine di evitare che la questione del Kazakistan diventi peculiare a quella della Bielorussia. La paura del dissidente, ma condivisa da tutti gli Stati occidentali, è la nascita di una nuova Unione Sovietica con Mosca in grado di dettare l’agenda politica a tutti gli Stati ad essa “annessi” in funzione anche di una sempre più stretta sinergia con Pechino. Un quadro che Washington e tutte le potenze europee temono da tempo ma pare ormai sempre più delineato e concreto.

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