L’ondata di proteste che ha attraversato il Kazakhstan nei primi giorni del 2022 – originata da un aumento sproporzionato del costo del carburante e dell’energia – è rapidamente mutata in un’aperta rivolta contro il potere costituito, intaccando pesantemente l’immagine della quale il Kazakhstan si è fregiato dall’indipendenza del 1991, ovvero di una nazione caratterizzata da stabilità politica e coesione sociale, condizioni che hanno permesso lo sviluppo economico trainato dal settore degli idrocarburi.
Nonostante il presidente Tokayev abbia dichiarato la restaurazione dell’ordine in gran parte della nazione – dopo giorni di proteste violente, con 26 rivoltosi (etichettati come “banditi” dalle autorità) e 18 poliziotti uccisi, oltre 3mila manifestanti incarcerati – la temporanea interruzione della rete internet e l’assenza di voci indipendenti a monitorare la situazione impediscono la possibilità di avere un quadro chiaro e definito di quanto è accaduto. Tuttavia, sembra emergere un dato incontrovertibile: la mancata soluzione delle problematiche endogene (dal multipartitismo formale alla mancata ridistribuzione degli ingenti introiti derivanti dall’esportazione degli idrocarburi, corruzione) che hanno connotato i primi trent’anni di indipendenza nazionale ha progressivamente alimentato un risentimento popolare che è è poi deflagrato nelle manifestazioni di protesta dei giorni scorsi, le più imponenti nella storia recente kazaka.
Inoltre, la dura repressione della rivolta (dopo un iniziale approccio conciliante di Toakyev che ha ridotto il prezzo del carburante e ottenuto le dimissione del governo) ha evidenziato la debolezza politica dell’attuale presidente kazako, destinata ad accentuarsi nonostante gli sforzi per circondarsi di uomini a lui fedeli in un ottica di progressiva “de-Nazarbayevizzazione” nei ruoli politici di maggiore rilevanza. Infatti, Tokayev ha rimosso sia Masimov (il potente capo del Comitato di Sicurezza Nazionale, considerato un fedelissimo di Nazarbayev), rimpiazzandolo con Yermek Sagimbayev, e sia il Primo Ministro Mamin con il suo vice Smailov: inoltre, ha esautorato Nazarbayev dal ruolo di capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale – carica conferitagli nel 2019 dopo la successione presidenziale – assumendone l’incarico. Per quanto vi siano voci (non confermate) di un allontanamento di Nazarbayev rifugiatosi nel vicino Kirghizistan, è realistico ipotizzare una reazione dell’ex presidente e del suo inner circle per preservare le rendite di potere economiche e politiche consolidate negli anni.
L’intervento delle forze di peacekeeping sotto l’egida dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (su richiesta di Tokayev) rischia di configurarsi come una pesantissima cambiale geopolitica in bianco a favore della Russia, consentendole di rafforzare la propria influenza sugli orientamenti geopolitici ed in materia di sicurezza del Kazakhstan, perno strategico ed insostituibile nei progetti russi di integrazione economica regionale (Unione Economica Euroasiatica) e di cooperazione securitaria regionale (OTSC).
A conferma di questo assunto, la constatazione che per la prima volta nella storia vi è stato un dispiegamento delle forze OTSC su richiesta di uno stato membro (applicazione dell’articolo 4 del trattato istitutivo), che non si realizzò quando venne richiesto dal Kirghizistan nel 2010 (scontri interetnici di Osh) e dall’Armenia nel recente conflitto con l’Azerbaigian, a dimostrazione dell’importanza del Kazakhstan nella strategia di Mosca nello spazio post sovietico.
Tuttavia la conditio sine qua non per l’applicazione dell’articolo 4 è rappresentata dalla presenza di una minaccia esterna alla stabilità nazionale dello stato richiedente, evocata dal presidente kazako Tokayev– e supportata da Mosca e Pechino- ma al momento non supportata da evidenze fattuali.
Inoltre l’eventuale successo delle truppe di peacekeeping OTSC nel mantenimento di una condizione di sicurezza e stabilità assumerà un altro significato di eccezionale rilevanza destinato ad attrarre ulteriormente le altre satrapie centroasiatiche nell’orbita di Mosca, riguardo alla possibilità di poter contare sull’ombrello protettivo securitario offerto dalla Russia in eventuali scenari di instabilità interna, in modo particolare per Turkmenistan ed Uzbekistan, gli stati meno propensi ad una collaborazione militare multilaterale.
Per quanto non sia al momento possibile valutare ed analizzare gli effetti e le conseguenze dell’esplosione di protesta in Kazakhstan, appare evidente che questi avvenimenti segneranno l’inizio di una nuova fase geopolitica nel paese e di conseguenza nell’intera Asia Centrale, considerata la leadership politica ed economica che questa repubblica detiene in ambito regionale.
Fabio Indeo, OACC