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TematicheMedio Oriente e Nord AfricaIl jihadismo digitalizzato e la comunicazione dell’IS

Il jihadismo digitalizzato e la comunicazione dell’IS

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Il sedicente Stato Islamico ha rivoluzionato il messaggio jihadista con produzioni mediatiche di alto valore comunicativo e in alta definizione. Insomma non sono dei dilettanti. L’operazione mediatica dell’IS è scrupolosamente calcolata da videografi jihadisti, molto preparati nel campo dell’IT e della comunicazione, e da un insieme di gruppi che si occupano del brand. Risulta un imperativo categorico per gli addetti ai lavori e per i policy-maker, ma anche per il pubblico, capire meglio la “macchina comunicativa” dell’IS e il messaggio di indottrinamento divulgato attraverso ogni genere di social-network, e quindi capire cosa guida molti individui a sacrificare la propria vita in nome dell’IS. Ma quali sono i pilastri della comunicazione dell’IS?

I cinque pilastri della comunicazione dell’IS

Il primo pilastro è la violenza. Ogni qual volta viene effettuata un’esecuzione, essa viene documentata e pubblicizzata con il fine di sollecitare la supremazia dell’IS. Generalmente lo scopo è quello di vendicare i musulmani sunniti (in particolare i salafiti) che da sempre vengono attaccati dai crociati, dagli sciiti e dai sionisti, i quali complottano contro il vero islam. La brutale propaganda dell’IS serve come veicolo per trasmettere supremazia e vendetta nei confronti del nemico. Questo contenuto di violenza è diretto non solo al nemico e agli oppositori ma anche ai supporters e ai simpatizzanti. Per esempio, come sostiene Charlie Winter, il video che documenta l’esecuzione di tre membri dell’esercito di al-Assad [“Execution of three officers from the Nusayrī army”, Raqqa Province Media Office, 6 November 2014] ha differenti target rispetto al video che immortala l’esecuzione del giornalista giapponese Kenji Goto [“A message to the government of Japan, al-Furqān Foundation, 29 January 2015]. Entrambi i video sono atroci, brutali e scioccanti ma, per ovvie ragioni, solo il secondo risente di un’attrattiva internazionale, mentre il primo serve a infondere paura, soprattutto in loco, ai disertori, alle spie e agli oppositori. In poche parole sono quattro le motivazioni riguardante la diffusione di una narrativa violenta e brutale: la semplice gratificazione dei supporters, l’intimidazione del nemico od oppositore, provocare indignazione nei media internazionali e causare una risposta istintiva negli ostili policy-makers.

Il secondo pilastro è la misericordia. La narrativa della misericordia è regolarmente messa in evidenza in parallelo alla brutalità e strettamente connessa all’idea del pentimento e all’idea di supremazia di Allah e dell’organizzazione IS. Nel video intitolato “From the Darkness to the Light” [“From the Darkness to the Light”, Khayr Province Media Office, 16 April 2015] prendono parte dei combattenti di al-Nusra, di Free Syrian Army e di Syrian Arab Army, i quali da giurati nemici dell’IS, rinnegano le loro credenze per entrare a far parte dell’IS. In questa tipologia di video, generalmente vi sono individui che fanno ricorso alla misericordia dell’avversario, istitāba (ricorso al pentimento). Avvenuto l’atto del pentimento, questi individui vengono accettati nel mondo jihadista di Allah. Di conseguenza il messaggio che passa è la clemenza del califfato a cui ci si prostra e si giura fedeltà e cieca obbedienza, baj’a.

Il terzo pilastro della comunicazione è il vittimismo. La narrativa del vittimismo è un’altra caratteristica di tutti i gruppi jihadisti. Nel particolare si utilizza la retorica della vittimizzazione dell’islam sunnita e della guerra globale contro l’islam e la ‘umma. Nel video intitolato “But if you return, we shall return” [“But if you retun, we shall return”, Nineveh Province Media Office, 23 Giugno 2015] la violenza e la brutalità viene giustapposta al vittimismo. In questo video vi è un combattente che maneggia un braccio di un bambino morto in un luogo colpito da un bombardamento. Poco dopo, tre gruppi di presunte spie vengono bruciati vivi in una macchina colpita da un lancia granate. La ripresa iniziale del cadavere del bambino è intesa come una vittimizzazione dei sunniti iracheni, il che giustifica e si giustappone al seguente atto di violenza verso le presunte spie e quindi verso degli oppositori. Come negli altri casi descritti, il video ha due proiezioni: la prima è locale: è intimidatoria verso quei sunniti considerati fuggiti e verso quei combattenti ritenuti avversari dell’IS; la seconda proiezione invece è internazionale, in quanto l’obiettivo era far sì che il video venisse trasmesso dai canali mediatici occidentali e convogliato verso un pubblico disimpegnato e ostile al califfato.

Il quarto pilastro è la guerra. Il sistema propagandistico dell’IS spesso si sofferma, attraverso video e fotografie, sulle operazioni militari, con inquadramenti dei campi di addestramento e parate caratterizzate in particolare dall’artiglieria sia leggera che pesante, quindi armi di vario genere, carri armati, le jeep Toyota armate di mitragliatore, ma si soffermano anche sulle operazioni di martirio effettuate dai fedeli all’IS. Oltre a ciò, la propaganda dell’IS pone in luce la questione dei cosiddetti “bottini di guerra” derivanti dal saccheggio, soprattutto di armi e munizioni dei nemici deceduti, il che gioca un ruolo psicologico sull’individuo capace di portarlo verso la supremazia e l’invincibilità. Sebbene questo pilastro della propaganda, da un lato, serva apparentemente ad instillare paura alle forze ostili e a far crescere il senso di invincibilità nei propri combattenti, dall’altro lato, si cela lo scopo tattico strategico, ossia: presentare ai simpatizzanti una visione distorta dei successi ottenuti in campo di battaglia e far proliferare campagne di disinformazione atte a plasmare il “reale” a proprio favore.

Il quinto pilastro è l’appartenenza. Attraverso pubblicazioni di video e report fotografici di altissima qualità digitale, chiamati istirābat al-mujāhidīn, ossia combattenti che si rilassano bevendo il tè e intonando canzoni e quindi tutte quelle azioni al di fuori dal campo di battaglia, viene enfatizzato il concetto di fratellanza e cameratismo. In molti video in lingue non arabe, soprattutto per attirare l’attenzione dei musulmani occidentali, questa campagna di “fraternizzazione” viene divulgata filmando momenti quotidiani di spensieratezza e di felicità. La narrativa di questo pilastro è costruita ad-hoc per reclutare individui stranieri soprattutto dell’Occidente. Essa vuole offrire al pubblico concetti di amicizia, di sicurezza, di benessere e soprattutto di appartenenza ad un progetto, i quali concetti sono dei catalizzatori importantissimi per radicalizzare giovani musulmani in forte “crisi di presenza”.

L’ultimo pilastro sfruttato dalla propaganda dell’IS è l’utopismo apocalittico. L’idea dell’utopico califfato funziona con forza in tutta la messaggistica dell’organizzazione. Il desiderio di promuovere lo “Stato” è qualcosa che ha portato, senza precedenti, alla comparsa del bizzarro: dalle battute da pesca alla tosatura delle pecore e alla costruzione di edifici e strade. Tutto questo serve per parlare di cosa succede all’interno dello Stato Islamico ma, perlopiù cambiando la prospettiva, serve a parlare di ciò che è in atto all’interno dello Stato Islamico: insegnare ai bambini a recitare il Corano a memoria, stabilire il Tribunale della shari’a, implementare le punizioni hudūd, riscuotere e utilizzare le tasse zakāt.  Attraverso questo tipo di narrativa si dimostra quindi, la forza dell’IS che fornisce sicurezza e stabilità all’intera comunità, punisce i crimini attraverso il tribunale e utilizza le tasse per il bene comune. Infine, l’idea dell’apocalisse rappresentata come imminente (nel 2020 a Dabiq), accresce il senso di urgenza per cui ogni musulmano deve compiere il proprio dovere e fare il jihad. Il messaggio è semplice: “entra anche tu o vai all’inferno per l’eternità”. Per i jihadisti stabilire il califfato e combattere i crociati di petto è il dovere principale di ogni musulmano che vuole salvarsi nel giorno del giudizio.

In conclusione, possiamo affermare che la propaganda del sedicente Stato Islamico è scrupolosamente ragionata e razionale. Essa ha il potere di reclutare in terre straniere e lontane, ha il potere di infondere paura e di trasmette il pericolo in ogni parte del mondo. Il jihadismo è stato capace di utilizzare lo strumento mediatico in modo eccellente per i propri fini e la sconfitta militare dell’IS non piegherà questa macchina digitale jihadista, capillare e intelligente, la quale deve essere affrontata con i più moderni mezzi digitali da una parte, e dall’altra con una olistica conoscenza di ciò che si deve combattere. Di conseguenza è di notevole importanza che tutti conoscano il nemico, che tutti capiscano come la comunicazione digitale sia estremamente complessa e che tutti riconoscano che il nemico odierno può sfruttare il mezzo comunicativo di massa come tutte le altre pedine del gioco.

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