L’escalation che sta interessando l’Ucraina rappresenta il capitolo più recente di un conflitto in corso da otto anni tra i separatisti filorussi e il governo centrale di Kiev, spostatosi su posizioni filoccidentali e intenzionato a portare il Paese nell’orbita euroatlantica. Sin dall’inizio del suo mandato nel 2019, il presidente ucraino Zelensky ha guardato a Washington per cercare una sponda utile alla risoluzione del conflitto con Mosca. Tuttavia, la recente escalation ha mostrato come gli Stati Uniti, limitatisi alle sanzioni e a consistenti aiuti militari, non sembrino propensi a procedere, almeno nel breve periodo, con l’integrazione dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica. Gli Stati membri dell’Unione Europea, dal canto loro, si trovano di fronte a una sfida inedita in cui, oltre all’emergenza umanitaria, affrontano i rincari dei prezzi di energia e materie prime scatenati dalle sanzioni. La gestione di tali aumenti, che si riflettono a cascata su vari settori produttivi con riflessi sull’occupazione e sui prezzi al consumo, richiederà un’attenta pianificazione strategica atta ad ammortizzare i costi del disaccoppiamento energetico da Mosca.
L’attuale escalation tra Russia e Ucraina rappresenta l’ultimo capitolo di un conflitto scatenatosi nel 2014, a seguito del quale il governo di Kiev ha compiuto delle scelte politiche finalizzate ad avvicinare l’Ucraina al blocco euroatlantico guidato dagli Stati Uniti. Le tensioni interne manifestatesi dopo la firma dell’accordo di associazione con l’Unione Europea nel 2014 sono in breve tempo sfociate in un conflitto aperto tra la componente russa presente nelle regioni orientali del Paese e il governo centrale di Kiev, che si è trovato ad affrontare una guerra interna contro i separatisti di Donestsk e Lugansk, più o meno tacitamente supportati da Mosca. Inoltre, la perdita della Crimea, annessa unilateralmente dalla Russia tramite un referendum non riconosciuto dalla comunità internazionale, ha portato alla creazione di un avamposto russo ostile nel mar Nero. In tale contesto, le speranze in una soluzione diplomatica inizialmente prospettatasi nel 2019 con l’elezione a presidente dell’ex comico Volodymir Zelensky sono state ben presto disattese. Ben presto, infatti, Zelensky ha abbandonato la linea conciliatoria iniziale, cercando l’ombrello protettivo degli Stati Uniti nel quadro dell’Alleanza Atlantica per tentare di trattare con il Cremlino da una posizione più forte.
L’attuale escalation, iniziata a fine 2021 con la concentrazione di truppe russe al confine ucraino, è giunta al punto di non ritorno il 24 febbraio 2022, quando i russi hanno attraversato la linea di contatto tra le autoproclamate repubbliche separatiste (riconosciute ufficialmente da Mosca solo il 21 febbraio) e il territorio dell’Ucraina. Le reazioni internazionali all’aggressione non hanno tardato a farsi sentire, con il blocco euro-atlantico che ha disposto pacchetti di sanzioni nei confronti degli oligarchi e delle banche russe, escluse dal sistema di pagamenti Swift, e ha visto crescere l’isolamento messo in atto da numerosi attori economici occidentali che hanno lasciato il Paese. Tali misure, destinate ad esercitare una pressione finanziaria sugli affari di quei ricchi sostenitori del presidente Putin, non hanno tardato a far sentire i loro strascichi anche nel campo euroatlantico. Paesi come la Germania e l’Italia, le cui industrie sono ancora molto legate agli idrocarburi russi, stanno infatti subendo le conseguenze dell’aumento dei costi dell’energia, con impatti non solo sul livello di produttività interna, ma anche sui prezzi al consumo dei prodotti di prima necessità.
L’attuale escalation ha dunque costretto gli Stati europei a compiere un netto cambio di passo in materia di approvvigionamenti, portando in auge il dibattito sull’autonomia energetica, traguardo questo piuttosto lontano, dato che il Vecchio Continente solo ora sta muovendo dei passi significativi verso la diversificazione degli approvvigionamenti. Un chiaro segnale di quell’atteggiamento ondivago può essere individuato nelle vicende del gasdotto North Stream 2, voluto dall’ex cancelliera Angela Merkel e osteggiato da Washington, che ha sempre visto in quell’infrastruttura energetica una sorta di “cavallo di Troia” utile al Cremlino per consolidare la dipendenza delle industrie tedesche dalle fonti energetiche russe. Pertanto, il conflitto in Ucraina ha avuto un “effetto collaterale utile” per Washington, che ha visto il tramonto della “Ge – Russia”, quella stretta partnership economico-energetica tra Berlino e Mosca da tempo all’attenzione della Casa Bianca. Ad oggi, la Germania, in controtendenza con quanto accaduto negli ultimi due decenni, si è dunque avviata sulla strada del disaccoppiamento energetico dalla Russia, ma al contempo ha cercato di mitigare l’impatto di una scelta repentina temporeggiando sull’interruzione immediata dell’acquisto di idrocarburi russi.
Tra i Paesi maggiormente esposti ai contraccolpi delle sanzioni alla Russia vi è anche l’Italia, che importa vaste quantità di idrocarburi e che ha visto venir meno un mercato di sbocco per alcuni prodotti made in Italy. I pacchetti sanzionatori varati in sede europea hanno fatto altresì lievitare i costi dell’energia già in crescita da mesi, facendo paventare il rischio di interruzioni della produzione nei settori più esposti agli aumenti delle materie prime. Inoltre, la spinta inflativa causata dal rincaro delle materie prime si riflette a cascata anche sui prezzi finali dei beni di consumo e, in tale contesto geostrategico, l’Italia si trova in una posizione vulnerabile, con le grandi filiere che rischiano di interrompersi e i piccoli produttori impossibilitati a far fronte ai crescenti costi di produzione. Non va altresì dimenticato come i grandi quantitativi di grano russo e ucraino bloccati nei porti del mar Nero a causa del conflitto stiano avendo un grave impatto sulle economie del Medio Oriente e del Nord Africa, dove la carenza di farina e i conseguenti rincari del pane potrebbero innescare, così come accaduto all’avvio delle cosiddette “primavere arabe”, vari disordini sociali. Di conseguenza, l’Italia e, di riflesso, tutto il resto dell’Europa potrebbero essere investite da ondate migratorie difficilmente gestibili.
In tale contesto geopolitico, l’Italia si trova quindi ad affrontare concreti rischi di carattere economico e sociale, con rincari dei generi di prima necessità tali da risultare insostenibili già nel breve/medio termine per le fasce più deboli della popolazione, già provate dalla crisi economica scatenatasi in conseguenza dell’emergenza sanitaria degli ultimi due anni. Non va inoltre dimenticato come Mosca produca una consistente percentuale di quelle terre rare indispensabili all’industria europea, che con la transizione ecologica punta a dotarsi di tecnologie sostenibili per l’ambiente. L’attuale congiuntura ha messo quindi in evidenza che, in caso di un disaccoppiamento come quello messo in atto in conseguenza delle sanzioni alla Russia, la frammentazione delle catene del valore tra molti Paesi e la mancata diversificazione dei fornitori di materie prime e idrocarburi possono essere in grado di infliggere serie difficoltà ai Paesi europei. Questi ultimi, cullatisi per anni nell’idea illusoria di un mondo ormai stabile e unipolare, stanno scoprendo a loro spese l’importanza di una pianificazione economico-strategica in grado di localizzare –e se possibile prevenire- le potenziali minacce alla stabilità economica, sociale e politica del continente.