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La politica estera italiana nei Balcani occidentali: dalle parole ai fatti? 

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Più Italia nei Balcani” e “accelerazione” del processo di integrazione europea della regione. Sono queste le priorità del governo italiano rilanciate dalla premier, Giorgia Meloni, e dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, alla Conferenza di Trieste di fine gennaio dedicata ai Balcani occidentali, “città ponte” per antonomasia dove si sono riuniti ambasciatori, istituzioni e i rappresentanti del mondo produttivo italiano che frequenta regolarmente la regione, al di là di dove soffia il vento della politica

Il consiglio europeo del 6 dicembre scorso ha segnato un percorso abbastanza chiaro per l’adesione all’Ue dei Paesi dei Balcani occidentali, un passaggio che diventa quanto mai cruciale dopo l’invasione russa dell’Ucraina: sia Roma che Bruxelles, infatti, vogliono evitare che i paesi alle porte dell’Ue finiscano sotto l’orbita di Mosca o, ancor peggio, sotto l’influenza economica cinese, che con la politica di investimenti sotto l’ombrello della Via della Seta interviene, senza troppi fronzoli e con poche pretese, quantomeno nell’immediato, anche in termini infrastrutturali. La parola d’ordine che sembra essere uscita dalla conferenza, rivolta più a una platea italiana e comunitaria, che non ai paesi della regione, è “investire”, anche perché solo lo sviluppo economico contribuirà a quello sociale e, ipso facto secondo il governo, e alla gestione dei flussi migratori. 

Annunciando due importanti business forum di carattere internazionale – uno a Belgrado il 21 marzo, l’altro a Pristina, in Kosovo, nelle settimane successive – e rivendicando un posizionamento geopolitico volto alla normalizzazione dell’area, tramite l’operato della Farnesina Roma si candida a stabilizzare i Balcani occidentali attraverso un “sistema Italia” che parte da Trieste, città definita “ponte naturale” e “varco” verso est. “L’Italia deve essere protagonista – ha detto Tajani  -, se siamo assenti nell’area altri saranno presenti. E’ una questione di concorrenza, ma credo sia nostro dovere andare avanti ad occupare spazi che non devono essere lasciati agli altri”. Tajani ha poi fatto l’esempio della Serbia che rischia di guardare a oriente più che all’Europa: un riferimento alla Russia, sicuramente, ma anche alla Cina, la cui politica di investimenti “chiavi in mano” risulta spesso più efficace che non quella di Bruxelles, soprattutto quando tergiversa e manda segnali discontinui. Per sottolineare il ruolo italiano, Tajani ha anche ricordato la recente missione a Pristina e Belgrado con il collega della Difesa Guido Crosetto per facilitare il dialogo tra le due capitali

E se quindi l’Italia prova a cavalcare l’onda di un mandato “informale” di Bruxelles per un attivismo politico nella regione, occasione anche di recuperare le incertezze del passato, il governo ha voluto mandare un messaggio forte anche alla selezionata platea di imprenditori presenti quando ha parlato dei 200 milioni accantonati nel bilancio della Sace, la società per azioni controllata dal Ministero dell’economia specializzata nel settore assicurativo-finanziario, per assicurare l’export italiano – riducendo così i rischi d’impresa –, una iniziativa del ministro delle imprese e del made in Italy nel governo Meloni, Adolfo Urso, che in verità ha portato avanti un lavoro impostato durante il governo Draghi. Una sorta di appello a tutte le imprese italiane che hanno interesse a espandere la loro attività nella regione dei Balcani, soprattutto le medie e piccole, più interessate a internazionalizzarsi, ma spesso senza le risorse a disposizione. 

Ciò che serve quindi, secondo il governo, è una solida presenza di imprese e di investimenti economici, oltre che di una leadership riconosciuta. Per questo si muovono banche, istituzioni e aziende, per mettere in campo azioni concrete che permettano da un lato di stabilizzare la regione da un punto di vista economico-commerciale, dall’altra con l’obiettivo di internazionalizzare l’imprenditoria. 

“Senza pace non c’è progresso, né sviluppo economico. La pace ha un valore e noi ci crediamo”, ha detto Tajani, richiamando il percorso che ha dato origine all’Unione europea. Il governo sa bene che non basta portare capitali nell’area, come d’altronde non è sufficiente il marchio del made in Italy nell’agroalimentare per agganciare quella parte d’Europa dove le pulsioni politiche e le divisioni etniche possono diventare una drammatica anticamera della guerra. Ma serve anche il peso politico, la capacità di dare seguito alle parole con i fatti, alcuni dei quali sono robusti e sono già sul tavolo. Secondo i dati elaborati dall’istituto del commercio estero (Ice), nei primi 9 mesi di quest’anno l’Italia ha avuto una crescita di interscambio con i paesi dei Balcani occidentali del 40% rispetto al 2021, quindi un’intensificazione molto forte che va di pari passo con quello che l’Italia fa nel mondo. Ai 6 Paesi che ancora non fanno parte dell’Unione europea, poi, si possono aggiungere anche Croazia e Slovenia, per un totale di 14 miliardi di interscambio, superiore ad esempio a quello con l’India, intorno ai 10 miliardi. 

L’Italia è una potenza economica commerciale che si esplica anche in quest’area strategica, sia come attore politico che come operatore economico. Con l’auspicio che la sintonia porti i risultati sperati e cercati, facendo seguire i fatti alle parole.

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