Mentre la stampa internazionale titola sul presunto “ritiro” dell’Italia dallo scacchiere libico, forse è il caso di approfittare di questa “pausa di riflessione”, imposta da esigenze logistiche e militari, per affrontare una serie di nodi che a oggi appaiono irrisolti…
Come hanno potuto insediarsi le milizie dell’Isis nella città di Sirte in Tripolitania in questi due anni, senza trovare praticamente nessuna forma di resistenza, crescendo in forza e presenza facendo affluire da Siria, Tunisia, Niger e Sudan – in maniera continua e tranquilla – centinaia di militanti?
Chi gestisce (e con quale strategia) l’attività di “stoccaggio” dei migranti nelle fattorie nell’entroterra di Zwara, da dove vengono poi imbarcati all’abbisogna sulle sponde del Mediterraneo e poi spediti verso il nostro Paese?
Chi anticipa i contanti necessari (tra i duemila e i tremila dollari solo per l’ultima parte del viaggio) che vengono pagati da ciascun migrante?
Questi trafficanti continuano tuttora a inviare (per conto terzi) decine di migliaia di esseri umani verso la Ue, guadagnando centinaia di milioni di dollari che li rendono ricchi, autonomi e sempre più spregiudicati.
A ciò si devono aggiungere le nuove rotte del traffico della droga (sfruttate sinergicamente con le Mafie nostrane), le estorsioni, la criminalità dilagante, i rapimenti come quello dei nostri 4 connazionali che dovevano raggiungere gli impianti dell’Eni nella non lontana Sabrata.
Una bruttissima pagina che troppo in fretta abbiamo deciso di chiudere per non irritare le milizie tuttora impegnate nella difesa delle infrastrutture strategiche in quella zona della Tripolitania (mentre dai fondali del mare antistante continuiamo a estrarre gas e petrolio).
Quanto sono affidabili le formazioni paramilitari a cui ci affidiamo per difendere i nostri interessi?
A Tripoli, sono le forze di Misurata (che sotto la guida di Salah Badi hanno distrutto l’aeroporto internazionale e “sloggiato” la milizia laica di Zintan) a comandare e a fornire la “protezione” a Serraj e ai diplomatici occidentali.
Loro alleato, il famigerato Belhadj descritto dal Washington Post come temerario islamista, comandante di una delle più agguerrite milizie del Paese e indicato come proprietario – tra l’altro – di una linea aerea che collega la capitale all’ amica Turchia. Una linea aerea su cui, a volte, si viaggia senza passaporto.
In Cirenaica le tribù si stanno rivelando solidali con il generale Haftar contribuendo a rinforzare con i propri giovani, con il proprio sangue, le file del suo esercito, impiegato dal governo di Tobruk (quello eletto nelle ultime elezioni regolari) per fronteggiare le milizie islamiche a Benghazi e a Derna ,
Serraj è arrivato a Tripoli (secondo i media tunisini, su una nave italiana) via mare accompagnato da non più di sette uomini, esiguo nucleo resti di quello che dovrebbe essere il suo Consiglio di Presidenza. E dove sono i previsti 30 ministri e i 60 sottosegretari che dovrebbero costituire il Governo nella sua interezza?
Serraj – caparbiamente sostenuto dall’Onu e dall’Italia che lo hanno indicato come il leader dell’unica entità legittimata a rivendicare la sovranità nazionale e il controllo delle risorse del Paese – ha preteso e ottenuto il riconoscimento della Sharia, la legge islamica, come cornice normativa della nuova Libia.
Questo “governo” si presenta con la “faccia” di alcuni imprenditori di successo, mentre è sempre più chiaro che la strategia e le decisioni sostanziali sono nelle mani dei Fratelli mussulmani di Misurata e di Tripoli.
Fatto che non sfugge alla Cirenaica, dove il Parlamento (ancora riconosciuto) di Tobruk non vuole sostenere un governo che di “unità nazionale” ha ben poco, e allo stesso tempo non vuole far trattare come una qualsiasi milizia privata il suo esercito composto da giovani di tutte le tribù della regione anche se guidato da un discusso Hafter che comunque si è dimostrato l’unico comandante capace di contrastare e sconfiggere le milizie collegate all’Isis.
Partendo da questi presupposti è logico che se le dichiarazioni dei nostri ministri oscillano tra un interventismo militare a sostegno di Serraj (ipotesi che appare ora tramontata) o a tentativi di trattare con leggerezza Haftar, alla stregua di un miliziano insubordinato, gli italiani rischiano di diventare i catalizzatori dell’odio di una popolazione pronta di nuovo a battersi per la propria indipendenza.
A tal proposito, il generale Jean ha affermato: «Quello di Al-Sarraj non è un governo di unità nazionale, perché non è stato ancora riconosciuto dal parlamento di Tobruk. Secondo gli accordi del Marocco, per essere pienamente legittimo il governo di unità nazionale deve essere riconosciuto non soltanto da Tripoli ma anche da Tobruk. In Libia ci troviamo ancora in una situazione di completo stallo. Il parlamento di Tripoli ha riconosciuto Al-Sarraj e si è trasformato in un Consiglio di Stato. Tobruk invece non intende cedere, ed è ancora più difficile che lo faccia adesso perché il generale Haftar ha ricevuto 1.000 pickup pagati dall’Arabia Saudita e dagli Emirati. Haftar inoltre ha ottenuto consistenti successi contro i suoi avversari, che oltre all’Isis includono tutti i gruppi che in un modo o nell’altro si rifanno all’Islam politico o ai Fratelli musulmani. L’unica cosa che potrà essere fatta è inviare qualche decina o centinaia di soldati per proteggere la missione dell’Onu che ha sede nella base navale di Tripoli. A difendere Al-Sarraj ci sono le milizie di Misurata, che rispondono però al Consiglio militare di Misurata e non al governo provvisorio».