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Italia e Turchia: prospettive di cooperazione e competizione nel Mediterraneo Allargato

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“Le nazioni non hanno mai amici né nemici stabili, solo interessi permanenti”. Così Benjamin Disraeli descriveva la natura immutabile degli affari internazionali. Niente di più vero se si pensa al caso italiano, con l’unica “anomalia” rappresentata dal rapporto stabilito con Washington dal 1945. Come media potenza collocata al centro del Mediterraneo, Roma è entrata in competizione, ma anche cooperato, principalmente con quegli Stati il cui raggio d’azione si è intersecato con esso. È proprio il caso dei rapporti tra Italia e Turchia, due potenze i cui interessi coincidono e configgono al tempo stesso in molteplici teatri, dai Balcani al Corno d’Africa e dal Nord Africa al Caucaso meridionale.

I principali teatri di competizione

Le direttrici delle politiche estere dei due attori si sono incontrate e scontrate in più occasioni negli ultimi anni: oggi Ankara è presente nei Balcani, dove gode di un’ottima posizione e reputazione alla luce del supporto fornito alle comunità di fede musulmana presenti in Albania, Bosnia, Montenegro, Serbia Meridionale e Kosovo e grazie all’operato della TIKA (acronimo per Agenzia di Cooperazione e Coordinamento Turca). La Turchia è presente estensivamente anche nel Corno d’Africa, laddove l’influenza italiana era riuscita a superare anche il mezzo secolo di traversie seguito alla fine della Seconda guerra mondiale. A Mogadiscio, ad esempio, Ankara dispone di un’importante base militare, Camp TURKSOM, e l’Albayrak Group ha ottenuto dal 2013 la concessione del porto della capitale somala per vent’anni. L’Italia guarda con preoccupazione anche al crescente attivismo turco nel Mediterraneo Orientale, dove Roma possiede cospicui interessi energetici e dove negli ultimi anni Ankara ha rivendicato un suo diritto di precedenza nelle prospezioni marittime nelle zone economiche esclusive di Grecia e Cipro, adottando una diplomazia delle navi da guerra e delle trivelle. Qui le tensioni non sono mancate, prima fra tutte quella riguardante il blocco della Saipem 12000. La competizione tra le due potenze mediterranee è emersa anche sul fronte dei gasdotti, quando Ankara ha de facto soppiantato il progetto italiano del South Stream attraverso la realizzazione del TurkStream. Ma il dossier in cui gli interessi più si sono incontrati e scontrati è quello libico. Come è ormai noto, Ankara si è ritagliata fin dal 2019 un ruolo di interlocutrice privilegiata con la Libia di al-Sarraj e, in virtù del suo supporto militare alla causa tripolina, oggi raccoglie i frutti di una strategia rischiosa ma efficace, godendo di grande influenza sul neonato Governo di Unità Nazionale. Ankara è anche presente “boots on the ground” in Libia con i propri militari attivi in missioni di addestramento ma anche e soprattutto con migliaia di mercenari siriani filo-turchi che rappresentano oggi la principale garanzia del mantenimento degli interessi turchi nell’ex colonia italiana. Se l’intervento turco è stato fondamentale per evitare il crollo dello stesso attore sostenuto ufficialmente da Roma, il Governo di Accordo Nazionale, oggi l’Italia guarda con preoccupazione alla crescente influenza turca sulla Libia della ricostruzione. La preoccupazione principale di Palazzo Chigi è che l’aumento del peso specifico di Ankara sia inversamente proporzionale al mantenimento degli storici interessi strategici italiani sul suolo libico. Per questo motivo Roma ha sollevato a più riprese la questione del ritiro di tutte le milizie straniere dal paese, passaggio ritenuto decisivo per la stabilizzazione politica libica, ma sul quale la Turchia ha espresso delle riserve nella dichiarazione finale adottata alla seconda Conferenza internazionale di Berlino dello scorso 23 giugno.

La congiuntura internazionale può far riavvicinare Roma e Ankara

Al tempo stesso però, l’attuale congiuntura internazionale può favorire la ripresa del dialogo e far profilare maggiori spazi per la cooperazione e il dialogo con Roma. La Turchia sta attraversando un periodo di grave crisi economica: il valore della lira turca rispetto al dollaro è in calo da anni e ha toccato il suo record negativo lo scorso giugno mentre il tasso di inflazione annuo è in aumento attestandosi al 17.53%. Anche il prezzo dei beni di prima necessità è lievitato significativamente nel primo semestre del 2021: oggi il prezzo del pane è aumentato del 22%, il latte del 25%, le uova del 44%. Nel giro di due anni Erdoğan ha rimosso due governatori e due vice-governatori della Banca Centrale rei di aver adottato una politica di innalzamento dei tassi di interesse per fronteggiare la crescente inflazione. La strategia del Presidente turco di mantenere bassi i tassi di interesse per favorire gli investimenti non sembra più dare i frutti sperati e le conseguenze iniziano a vedersi anche sui consensi della coalizione di governo: secondo le ultime rilevazioni statistiche il partito di Erdoğan è in caduta libera e se si andasse oggi al voto il Presidente perderebbe le elezioni contro tre candidati. Ad onor del vero la crisi dei consensi era iniziata già tre anni fa, con l’AKP che aveva perso in tutte le città principali nelle municipali del 2019. A complicare ulteriormente i disegni del leader turco e del suo entourage si aggiungono almeno altri due fattori: l’isolamento diplomatico e l’esito delle recenti elezioni negli Stati Uniti.

Per quanto concerne il primo punto è ormai sotto gli occhi di tutti che la politica estera adottata dalla Turchia negli ultimi anni abbia causato più di una frattura con la quasi totalità dei paesi rivieraschi del Mediterraneo Orientale: Grecia, Cipro, Israele ed Egitto, ma anche con Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, senza contare il pantano siriano. Anche con la Francia i rapporti hanno toccato il fondo: tra Ankara e Parigi la tensione va ben oltre la crisi diplomatica scaturita dal botta e risposta Macron-Erdoğan e riguarda, come nel caso dell’Italia, la competizione in numerosi quadranti di primaria importanza per entrambi gli attori come il Mediterraneo Orientale, il Nord Africa e il Sahel. Le relazioni sono tese anche con l’Unione Europea, principalmente per effetto dell’arretramento su Stato di diritto e diritti fondamentali ma anche per l’attivismo turco nel Mediterraneo Orientale e le tensioni con Grecia e Cipro. L’isolamento in cui la Turchia è incappata per effetto della sua politica estera assertiva non sembra più “splendido” – come definito da İbrahim Kalın, portavoce del Presidente – né sostenibile a seguito della crisi economica. Ecco, quindi, che Erdoğan e il suo entourage riaprono i canali diplomatici nella speranza di sanare vecchie ferite e ricucire il dialogo con quegli attori con i quali la Turchia è entrata maggiormente in contrasto. Su queste colonne abbiamo già descritto come siano ripresi i contatti diplomatici ufficiali con l’Egitto dopo nove anni di gelo e come sia ripreso un timido dialogo con Arabia Saudita ed Emirati. Il dialogo sembra essere ripreso anche sul fronte europeo, dove Ankara punta a due obiettivi di lungo corso: la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi per entrare nell’area Schengen e la modernizzazione dell’Unione doganale che lega la Turchia all’UE dal 1996. A questi due obiettivi si aggiunge anche la necessità di rinegoziare un nuovo accordo per i migranti, altro dossier caldissimo fra Ankara e Bruxelles. Dal canto suo, la Turchia ha sospeso le trivelle e bloccato le azioni nel Mediterraneo Orientale, riaprendo il dialogo con Atene nel complicatissimo tentativo di addivenire alla soluzione sulla contesa delle zone economiche esclusive.

La ricalibrazione della politica estera turca alla quale assistiamo da qualche mese a questa parte è dipesa anche dalla recente elezione di Joe Biden. Il nuovo inquilino della Casa Bianca aveva promesso in campagna elettorale una posizione più intransigente verso le azioni della Turchia e nel primo contatto ufficiale con Erdoğan il leader dem ha informato la controparte turca dell’imminente riconoscimento del genocidio armeno. Rimane ancora da vedere come gli Stati Uniti approcceranno il paese della mezzaluna, ma è già evidente che Ankara stia cercando la riconciliazione con Washington, presentandosi ai suoi occhi come un alleato indispensabile in quei quadranti dai quali gli USA vogliono disimpegnarsi.

Italia e Turchia, partner nonostante tutto

Per effetto di queste congiunture internazionali, non è da escludere che possa prendere forma una nuova stagione di cooperazione e dialogo tra Roma e Ankara proprio quando invece le recenti notizie – vedasi lo spinoso passaggio sul “dittatore” di Draghi – facevano presagire il contrario. Quando si analizza il complesso legame che unisce l’Italia alla Turchia non bisogna dimenticare che Roma è ancora oggi, nonostante tutto, il quinto partner commerciale per Ankara e il secondo tra i Paesi europei dopo la Germania. L’interscambio fra i due paesi è aumentato, nonostante le difficoltà della pandemia, rispetto all’anno precedente e le aziende italiane svolgono un ruolo importante nel paese della mezzaluna specialmente nel settore dell’industria manifatturiera e in quello infrastrutturale. La Turchia è inoltre un fondamentale hub di transito per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico italiano proveniente dalla Russia e più recentemente dall’Azerbaijan, grazie alla realizzazione del TANAP (Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline). Per quanto concerne il teatro libico, al netto dell’inevitabile competizione di cui si è già parlato, bisogna anche mettere in evidenza i punti di contatto e di cooperazione, a partire dal comune interesse verso il contenimento russo e la stabilizzazione dell’ex colonia italiana, come ribadito anche dal Ministro degli Esteri turco Çavusoğlu prima della riunione ministeriale della coalizione globale anti-ISIS della settimana scorsa. Chiaramente oggi l’Italia raccoglie i magri frutti della sua indecisione politica in Libia e si trova costretta a dover negoziare con la Turchia in un’area in cui fino a 11 anni fa manteneva una grande influenza. Tuttavia, è opportuno sottolineare che Roma possiede ancora importanti asset economici oltre allo standing adatto per poter giocare un ruolo da protagonista nella ricostruzione e nella stabilizzazione politica libica e che quella che viene generalmente descritta come competizione con la Turchia può assumere anche i toni di una cooperazione, soprattutto nel settore infrastrutturale. Certo, per far si che ciò avvenga è necessario improntare un dialogo franco e diretto con Ankara in modo tale da circoscrivere le aree di azione e di fissare linee rosse, vedasi ritiro dei miliziani siriani, in vista di quella che sembra profilarsi come una convivenza non voluta ma inevitabile.  Inoltre, con una Germania dal futuro incerto, vista l’uscita di scena della Merkel, l’Italia può anche giocare un importante ruolo di mediazione tra la Turchia e l’Unione Europea, come del resto ha storicamente fatto supportandone per anni la membership al fine di evitare una “radicalizzazione” delle posizioni di Ankara. Nel suo discorso di insediamento, d’altronde, il Presidente del Consiglio Draghi aveva promesso il suo impegno per l’avvio di “un dialogo più virtuoso tra l’Unione Europea e la Turchia, partner e alleato NATO”. Roma ha anche il profilo adatto per porsi come attore mediano fra la Turchia e la Francia, sia in virtù degli storici legami che la legano ad entrambi i paesi, sia perché è negli interessi di Roma mantenere l’equilibrio fra le due potenze. Come sostenuto dal Premier Draghi, l’Italia “deve essere pronta a cooperare con Ankara per assicurare gli interessi del proprio Paese”, lo stesso discorso chiaramente vale anche per Parigi, specialmente alla luce del rinnovato sodalizio sancito dalla recente visita del Presidente Mattarella in terra francese. Probabilmente anche Washington guarderebbe con favore ad una possibile mediazione italiana su questi dossier, funzionali ad ottenere un risultato auspicato in una fase in cui le sue priorità strategiche sono altre. È dunque proprio alla luce del disimpegno americano che l’Italia dovrà svolgere un ruolo più attivo in politica estera, tenendo aperti i canali diplomatici con quegli attori, come la Turchia, con i quali il dialogo è sempre preferibile alle tensioni.

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