Per comprendere l’evoluzione delle relazioni tra l’Italia e gli Stati dell’Asia Centrale, Geopolitica.info ha incontrato l’Ambasciatore Marco Alberti, da settembre Ambasciatore italiano in Kazakistan e Kirghizistan e già responsabile per gli affari istituzionali internazionali di Enel. L’Ambasciatore Alberti ha maturato il proprio expertise nel corso di una lunga carriera, che lo ha visto ricoprire incarichi di primo piano sia nel settore pubblico che in quello privato e proprio riflettendo sulla necessità di un ripensamento del modello di cooperazione pubblico-privato, ha scritto il suo recente saggio “Open Diplomacy. Diplomazia economica aumentata al tempo del Covid-19” (Rubettino, 2021).
L’Asia Centrale è da anni al centro di uno scacchiere geopolitico nel quale convergono interessi di grandi potenze, tra queste, ad esempio, la Repubblica Popolare Cinese, che proprio nella regione programma di sviluppare alcune delle principali infrastrutture della Belt and Road Initiative, e la Russia, da sempre molto influente nell’area e importante attore per la stabilità e la sicurezza. Come si inserisce l’Italia in questo contesto? E come può il nostro Paese affermare interessi nazionali a fronte di quelli di altre potenze?
L’Asia Centrale non è diventata importante adesso. Semmai, è tornata importante adesso, cioè è stata riscoperta come area di grande rilevanza geopolitica in virtù di numerosi fattori, sia politici che economici. La Cina ha curato i rapporti con le Repubbliche ex Sovietiche fin dalla loro indipendenza, adottando un approccio chiamato Zhōubiān zhèngcè, cioè di politica periferica, orientato a garantire stabilità e sicurezza, ma anche ad assicurarsi futuri spazi di espansione economica. Da questo punto di vista, la nuova Via della Seta non è un inizio, ma semmai l’esito di una strategia sviluppata da Pechino nel corso degli ultimi trenta anni. Dal canto suo, la Russia non si è mai disinteressata alla Regione, neppure quando Mosca sembrava guardare ad Occidente, all’indomani dell’implosione sovietica. Oggi i rapporti politici, economici e culturali con le Repubbliche centro-asiatiche sono solidi e, in molti casi, rafforzati da profondi legami etnici. Per Mosca non si tratta solo di buon vicinato, ma anche di relazioni funzionali alla costruzione di un equilibrio internazionale multipolare. Tuttavia, l’area è piuttosto affollata e vi convergono altri attori di rilievo. La Turchia, ad esempio, che guarda alla Regione con crescente interesse, e con una presenza economica sempre più pronunciata accompagnata da un’influenza culturale che fa leva sulle comuni radici linguistiche. Ma anche gli USA; dopo aver abbandonato l’approccio di non coinvolgimento in centro-Asia adottato negli anni Novanta, Washington ha incrementato la presenza americana a vari livelli. E infine l’Unione Europea; la strategia UE per l’Asia centrale, approvata nel 2019, definisce una serie di priorità che includono il rafforzamento della democrazia e delle riforme, la promozione e la protezione dei diritti umani, lo Stato di diritto, la modernizzazione e la diversificazione dell’economia, come discusso anche di recente in occasione del Forum Economico UE-Asia Centrale di Bishkek del 5 novembre scorso. In alcuni Paesi, come ad esempio il Kazakistan, la UE è il primo investitore straniero, e il secondo in tutta l’area. In questo quadro complesso, l’Italia ha saputo cogliere per tempo la ritrovata centralità strategica di questa Regione del mondo, e – sfruttando la dimensione multi-vettoriale della politica estera adottata dai Paesi centro-asiatici – si è ben posizionata, consolidando una presenza che risale ai primi anni dell’indipendenza post-sovietica. Inizialmente, il nostro approccio all’Asia centrale è stato guidato dalla questione energetica; l’ENI è presente in Kazakistan dal 1992, e molte altre aziende del settore sono diventate attori economici importanti nella Regione. Le relazioni aperte e collaborative instaurate dall’Italia con le cinque repubbliche ex sovietiche ci consentono oggi di agire anche in settori diversi da quello dell’oil & gas. Siamo infatti presenti nelle energie rinnovabili, nell’agricoltura e nella meccanica, ma anche nell’agroalimentare e nell’idroelettrico: in Tagikistan, la multinazionale Webuild, ex Salini Impregilo, sta edificando la diga del Rogun, che, una volta terminata, sarà la maggiore dell’Asia centrale. L’interesse nazionale, del resto, non si afferma solo “in contrasto” con quello di altri. La scelta italiana è stata quella di instaurare un modus operandi collaborativo, cioè di affermare i propri interessi nazionali non in modo assertivo, ma creando sinergie efficaci e sostenibili. Fino ad ora, una strategia vincente.
Ambasciatore, L’Italia ha tradizionalmente promosso un approccio integrato alla Regione, coinvolgendo le 5 repubbliche centroasiatiche non solo sul piano bilaterale ma anche e soprattutto in un’ottica regionale. È così?
Sì, è così. Per presidiare un’area complessa come l’Asia centrale, l’approccio regionale è indispensabile, specialmente per un Paese come l’Italia, relativamente lontano dal punto di vista geografico. A sua volta, credo che una visione regionale ci abbia consentito di potenziare anche i rapporti bilaterali con i singoli Paesi. A questo doppio scopo, di presidio regionale e di azione bilaterale, punta l’esercizio a livello di Ministri degli Esteri, chiamato 1+5, attivato dall’Italia nel 2019 e basato su un meccanismo di consultazioni periodiche e di forme di cooperazione rafforzata in ambito politico, economico e culturale, con i 5 Paesi “Stan” dell’area. La prossima riunione si terrà molto presto in Uzbekistan, e sarà molto importante, trattandosi della prima dopo lo scoppio della crisi afghana. Questa collaborazione aperta a livello regionale consente all’Italia di esercitare un ruolo attivo nel dialogo fra Paesi centro-asiatici e UE, rafforzando altresì canali di cooperazione economico-commerciale per noi assai utili, soprattutto in ottica di un rilancio economico post-pandemia.
Qual è lo stato delle relazioni tra Italia e Kazakistan? Quali sono stati i principali vettori di consolidamento dei rapporti fra Roma e Nur-Sultan?
Direi innanzi tutto che le relazioni bilaterali sono eccellenti. Dal punto di vista economico, abbiamo più di 40 aziende attive nel Paese e oltre 170 joint-venture. In generale, credo che una buona strategia di consolidamento e crescita sia quella di offrire eccellenza industriale italiana nei settori che il Kazakistan ritiene cruciali per raggiungere gli obiettivi inseriti nella strategia Kazakistan 2050 elaborata dal governo. Meccanica strumentale; agricoltura sostenibile; energie rinnovabili e digitalizzazione delle reti sono aree ricche di opportunità. La pandemia ha inevitabilmente ridotto l’intercambio commerciale, ma – secondo i dati comunicati dai kazaki stessi – restiamo uno dei principali partner del Paese, con oltre 6.4 MLD di euro, dato che naturalmente include anche gli idrocarburi. Il nostro Made in Italy ha sofferto la contrazione globale dei consumi che ha colpito anche il Kazakistan, ma siamo al lavoro per riportare l’import di prodotti italiani ai livelli pre Covid-19 entro il 2023, avvalendoci degli strumenti di supporto all’internazionalizzazione e all’export predisposti dal nostro Governo.
L’economia, però, non esaurisce il dialogo bilaterale fra Italia e Kazakistan. I due Paesi hanno reciprocamente sostenuto candidature nazionali presso organismi multilaterali, sia a livello individuale che di Paese; condividono inoltre priorità (e percorsi) di stabilizzazione dell’area centro-asiatica, puntando al dialogo politico con tutti gli attori in campo, pubblici e privati, per ridurre i possibili rischi derivanti dalla crisi afghana.
Un cenno ai rapporti culturali, asse di rinnovata importanza della politica estera nazionale e della promozione integrata dei nostri interessi. In Kazakistan c’è una grande “domanda” di cultura italiana, a tutti i livelli. Abbiamo oltre 100 accordi interuniversitari, centinaia di kazaki iscritti ogni anno ai corsi di italiano, collaborazioni e iniziative culturali in continua crescita, per numero e per livello. L’anno prossimo apriremo ad Almaty un nuovo Istituto Italiano di Cultura, il primo in tutta la regione centro-asiatica e caucasica a conferma della rilevanza attribuita dal governo alla diplomazia culturale, ma anche ai rapporti con il Kazakistan e a quelli con tutta l’area centroasiatica, perché l’Istituto avrà una proiezione regionale.
Intorno ai tre assi della cooperazione bilaterale, politico, economico e culturale, stiamo definendo un ampio programma di iniziative per celebrare i 30 anni delle relazioni bilaterali fra Italia e Kazakistan, che cadranno nel 2022. L’idea è quella di concepire un anniversario importante come questo non solo guardando a quanto fatto nei primi 30 anni della nostra collaborazione, ma anche costruendo percorsi comuni per i prossimi trenta, verso quel 2050 considerato ormai uno snodo storico. Le due parole chiave del Trentennale saranno quindi “futuro”, per indicare la meta, e “insieme”, per indicare il metodo che riteniamo migliore per arrivarci.
Nel corso della sua carriera ha ribadito l’importanza della cooperazione pubblico-privato nella gestione dei processi di innovazione, sia sul piano tecnologico, che politico ed economico. Come valuta la spinta innovativa in questa Regione e come si sta muovendo il settore privato verso il Kazakistan?
La Regione centro-asiatica non è una entità omogenea. Presenta differenze molto pronunciate da Paese a Paese; qualunque considerazione generale rischia dunque di essere impropria. Mi pare tuttavia che esista anche qui una chiara consapevolezza dei processi trasformativi globali in atto e dell’urgenza di gestirli in maniera urgente ed efficace. Anche in Asia centrale, come del resto ovunque, sarà necessario iniettare massicce dosi di innovazione e, non di meno, rimuovere le barriere alla scalabilità dell’innovazione. Ancor prima che in altri Paesi, inoltre, quelli centro-asiatici saranno impegnati a superare alcuni gap che la transizione digitale rischia di creare, non solo fra i Paesi ma, al loro interno, anche fra diverse fasce di popolazione. La sfida è imponente, e per affrontarla la cooperazione pubblico-privato è imprescindibile. Credo che modernizzare un Paese, diversificare la sua economia ed affrontare processi trasformativi globali sia impossibile senza la visione del pubblico e le risorse del privato. Senza una collaborazione ad ampio raggio. Da questo punto di vista, il Kazakistan è molto ben posizionato. Innanzi tutto perché possiede risorse significative, generando da solo oltre il 70% del PIL aggregato dei 5 Stan, ed essendo aperto a mercati vasti come quello russo e quello cinese. In secondo luogo, perché l’innovazione (specialmente digitale) è indicata quale vettore essenziale per il raggiungimento degli obiettivi contenuti nel Piano Kazakistan 2050, ed è quindi verosimile che il governo scommetterà su di essa. In terzo luogo, perché il Paese può contare su risorse umane di qualità e su di un sistema educativo molto valido. Questi elementi, unitamente a scelte politiche e regolatorie oculate, aiutano a creare un ambiente favorevole all’investimento e all’attrazione di imprese. La vera sfida, ora, è quella di dare esecuzione agli obiettivi, cioè di trasformare la visione in progetti concreti. In questo, le imprese svolgono una funzione decisiva, e quelle italiane possono trovare in Kazakistan un ambiente favorevole. Tuttavia, essendo più piccole rispetto a quelle di altri Paesi, le nostre imprese hanno maggiore bisogno di un supporto istituzionale. Per questo, a mio avviso, il Kazakistan mette (e metterà sempre più) alla prova la qualità del nostro Sistema Paese, non semplicemente l’abilità di alcune sue aziende.