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NotizieIraq: le incertezze sul futuro politico del post-elezioni

Iraq: le incertezze sul futuro politico del post-elezioni

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Le ultime elezioni politiche irachene del 7 marzo 2010 hanno testimoniato un leggero mutamento degli schieramenti ed una tendenza a creare fronti che superassero le divisioni etnico-confessionali, nonostante la presenza di partiti legati alla loro appartenenza tribale o religiosa. La frammentazione rimane abbastanza elevata, anche in ragione del sistema elettorale proporzionale, con 86 tra partiti e gruppi in competizione.

Una delle formazioni che vi hanno partecipato è costituita dalla Coalizione dello Stato di diritto, capeggiata dal primo ministro uscente Nuri al-Maliki, di cui fanno parte il suo partito Dawa, il Fronte Nazionale di Salvezza Anbar, di orientamento sunnita, guidato da Sheikh Ali Hatem al-Suleiman, capo del gruppo tribale Dulaim, stanziato nella provincia occidentale di Anbar, e dal Movimento Arabo Indipendente, anch’esso di orientamento sunnita, guidato da Abd Mutlaq al-Jabbouri (al-Ä&2;abburi), esponente del nazionalismo arabo, e oppositore delle rivendicazioni curde su Kirkuk. Nonostante Nuri al-Maliki provenga da un ambiente sciita, alle elezioni si è proposto come portatore di valori secolari e sostenitore del nazionalismo iracheno, puntando alla creazione di un governo centrale forte e al miglioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese. Si presenta come un leader arabo non ideologico e relativamente indipendente dall’Iran. L’idea di al-Maliki è, perciò, quella di costruire una coalizione ampia grazie al sostegno di alcuni alleati sunniti, contro le rivendicazioni curde di maggiore autonomia e i tentativi sciiti di indebolire il governo centrale. Diretto concorrente di al-Maliki è la Coalizione Al-Iraqiyya, guidata dall’ex primo ministro ad interim Iyad Allawi, sciita di orientamento secolare, a capo dell’Accordo Nazionale Iracheno, il quale si pone anch’esso in una prospettiva nazionalistica e non settaria. Il suo alleato più stretto è Saleh al-Mutlaq, leader del Fronte Iracheno per il Dialogo Nazionale, di confessione sunnita ed ex baathista. Poco prima delle elezioni, la Commissione per la giustizia e la responsabilità, nonostante egli avesse lasciato nel 1977 il partito di Saddam Hussein, lo aveva incluso nella lista dei politici a cui era impedito partecipare alle elezioni. Pur essendo sunnita, Mutlaq avanza una visione nazionalistica e si oppone alle tendenze federaliste suggerite da curdi e sciiti.

L’Alleanza Nazionale Irachena (ANI) è un’altra coalizione che ha partecipato alle elezioni. Precedentemente comprendeva anche il partito dell’attuale primo ministro al-Maliki, ma, in seguito, questi lasciò la piattaforma, determinando una perdita di popolarità dei restanti partiti. È una coalizione che raggruppa partiti e gruppi di orientamento sciita. Tra i suoi aderenti vi sono il Consiglio Supremo Islamico in Iraq (ISCI), il Movimento Sadrista, il Movimento di Riforma Nazionale, guidato da Ibrahim al-Jaafari, e il Congresso Nazionale Iracheno, il cui leader è Ahmed Chalabi. Tale formazione si presenta come quella più legata agli interessi iraniani, e suscettibile di subire l’influenza di Teheran. Molti sciiti pro-iraniani cercano di indebolire il potere centrale, mostrandosi favorevoli alla creazione di una regione autonoma sciita nel sud del Paese. Questa coalizione ha tentato di fare maggiormente leva sui sentimenti settari, insistendo ad esempio sul processo di de-baathificazione del sistema politico. Il Consiglio Supremo Islamico dell’Iraq ha sofferto, lo scorso agosto, della scomparsa del suo leader Abdul Aziz al-Hakim, sostituito dal figlio di questi, Ammar al-Hakim. Il partito ha adottato di recente una posizione più condiscendente verso la politica di al-Maliki, in termini di riforme e di formazione di un governo centrale forte e non settario. Sembra, tuttavia, uscito indebolito dalla tornata elettorale, lasciando un posto rilevante al movimento di al-Sadr all’interno della coalizione, il quale da solo ha ottenuto 40 seggi. 
I curdi si sono presentati alle elezioni con un fronte unito, comprendente il Partito Democratico Curdo (PDC) , di Masoud Barzani, e l’Unione Patriottica del Kurdistan (UPK), guidato da Jalal Talabani, l’attuale Presidente dell’Iraq. Questa formazione ha ottenuto 43 seggi alle elezioni. Il PDC ha assunto di recente un ruolo dominante nella coalizione, ridimensionando il peso dell’UPK, impegnato, dall’inizio dello scorso anno, in una scissione interna, che ha visto il sorgere del Gorran, che significa “cambiamento”, guidato da Nusherwan Mustafa , il quale accusava l’UPK di corruzione e di immobilismo in merito alle riforme. Quest’ultimo partito ha conquistato da solo 8 seggi. Naturalmente sulle questioni curde rilevanti, le tre formazioni sono unite. Il loro obiettivo si concentra sullo status di Kirkuk e sulla divisione dei redditi petroliferi.

Stando ai risultati elettorali, diffusi il 26 marzo, Iyad Allawi avrebbe vinto le elezioni, aggiudicandosi 91 seggi. Il numero di seggi necessari per la formazione del governo è di 163, sui 325 seggi della Camera dei Rappresentanti. Per questo egli si è messo immediatamente alla ricerca di possibili alleati. Tuttavia, divisioni settarie e influenze esterne potrebbero allungare di parecchio i tempi per la formazione del nuovo governo.
A rallentare questo processo vi è anche la confusione sulle prescrizioni costituzionali a riguardo. Un problema di interpretazione riguardava l’art. 73 della Costituzione irachena in quanto prevedeva genericamente che il leader del partito rientrante nel blocco più grande sia scelto dal presidente iracheno per formare un governo. Restava da vedere, a questo punto, se il termine “blocco” si riferisse ai partiti al momento delle elezioni o piuttosto alla coalizione che si forma una volta che i partiti entrano in parlamento dopo le elezioni. In un caso il mandato sarebbe andato direttamente ad Allawi, in quanto capolista vincitore delle elezioni, nell’altro caso, dopo aver trovato il consenso parlamentare per un governo, il leader del blocco parlamentare così costituito avrebbe ottenuto il mandato per la formazione dell’esecutivo. La Corte Suprema ha deciso di interpretare la norma costituzionale in senso ampio, con la conseguenza che il presidente nomina il leader del maggior raggruppamento parlamentare formatosi in seguito alle elezioni. Ciò ha dato il via alle negoziazioni, che potrebbero alterare, dal punto di vista percettivo, il risultato elettorale, conferendo l’incarico di governo al partito che non è uscito vincitore dalle urne. 
Una opzione possibile per Allawi potrebbe essere la formazione di un governo di unità nazionale con il sostegno di al-Maliki, che di seggi ne ha conquistati 89. Tale ipotesi sembra però improbabile, almeno per il momento, anche in considerazione del fatto che il primo ministro uscente non ha riconosciuto il risultato elettorale, avanzando accuse di brogli e chiedendo il riconteggio delle schede. La sconfitta, seppur di misura, potrebbe indurre al-Maliki a ricercare un accordo con l’ANI, la formazione di cui prima faceva parte, determinando una deviazione verso un governo con forti elementi filo-iraniani e anti-americani. Avendo l’ANI ottenuto 71 seggi, tale alleanza consegnerebbe ad al-Maliki 160 seggi, vicinissimo al traguardo, che a quel punto sarebbe facilmente raggiungibile con il sostegno di qualche gruppo minore.

Un’eventuale alleanza di Allawi con i curdi o con altre forze laiche non sarebbe sufficiente alla formazione di un governo, e dovrebbe inevitabilmente passare per la discussione di questioni delicate quali le rivendicazioni curde e la rappresentatività all’interno del governo nazionale. Il quadro è quindi incerto, e si può notare come il ruolo di ago della bilancia, in precedenza giocato dalla formazione curda, è ora assunto in misura maggiore dal movimento di al-Sadr, il quale, assumendo una posizione preminente all’interno della sua coalizione, può determinarne la scelta di campo. Al momento al-Sadr – trasferitosi da un paio di anni a Qom con l’obiettivo di terminare gli studi necessari per diventare Ayatollah – ha dichiarato che non appoggerà un governo del quale non faccia parte la formazione risultata vincitrice delle elezioni; tuttavia non è escluso un ripensamento, soprattutto se ciò si tradurrà nella possibilità di entrare nel governo del Paese. Allawi sembra propenso ad un accordo di questo tipo. Ciononostante, egli dovrebbe tenere in debito conto le possibili incompatibilità che potrebbero emergere, ed il rischio di porre un’ipoteca sul carattere laico e nazionalista della sua formazione.

Il risultato delle negoziazioni sarà determinante per il destino politico dell’Iraq. Da esso può dipendere anche il ritiro statunitense delle forze di combattimento previsto per l’estate di quest’anno, nonché il ritiro completo delle truppe statunitensi dal Paese entro il 2011, come previsto dall’Accordo sullo Stato delle Forze tra Usa e Iraq. Il nuovo governo dovrà, inoltre, impostare i propri rapporti sia con gli Stati Uniti, sia in relazione alla questione iraniana. Washington e Baghdad hanno stipulato un Accordo Quadro Strategico che prevede la cooperazione tra i due Paesi in svariati settori, tra i quali l’istruzione, gli investimenti e il trasferimento tecnologico. L’amministrazione Usa vedrebbe con favore un Iraq stabile, con un’impronta nazionale e resistente alle influenze iraniane. Ciò gli consentirebbe di dirottare le proprie energie nel vicino Afghanistan.
I Paesi arabi, in primis l’Arabia Saudita, sono soddisfatti di questo voto, ritenendolo, nell’ottica di un confronto regionale tra mondo sciita a guida iraniana e paesi arabi a maggioranza sunnita, come una diminuzione dell’influenza di Teheran in Iraq. Un governo dipendente dall’Iran è considerata una minaccia potenziale per i Paesi arabi. L’ipotesi di un governo nazionalista, non settario e non influenzato dall’Iran è auspicata anche dalla Turchia, in quanto i turchi preferiscono mantenere l’integrità dell’Iraq per timore che un’eventuale indipendenza curda possa incidere negativamente sulla loro integrità nazionale. 
L’Iran, d’altro canto, ha profuso molte energie al fine di espandere la propria influenza in territorio iracheno e di mantenere il potere di destabilizzare il Paese, mirando oltremodo a sfruttare la comune appartenenza religiosa – nonostante le differenze dottrinali interne allo sciismo – di una buona parte della popolazione irachena. Chiaramente ciò può anche essere considerato un obiettivo intermedio, da sfruttare in vista di un confronto con gli Stati Uniti sul programma nucleare. Teheran ha offerto aiuti finanziari al governo iracheno e rifornisce l’Iraq di elettricità e petrolio. L’interscambio tra Iran e Iraq arriva a 4 miliardi di dollari, e vi sono prospettive per un suo aumento. I due Paesi hanno sviluppato anche una zona di libero scambio nei pressi di Basra, la quale si approvvigiona di elettricità dall’Iran.

Attualmente, la situazione politica risulta instabile ed il futuro dell’Iraq resta incerto. Alcuni attentati avvenuti nel periodo post-elettorale dimostrano che la tensione all’interno del Paese potrebbe nuovamente salire. Vi sono stati, inoltre, una serie di attacchi terroristici di matrice qaedista, che contribuiscono alla sua destabilizzazione. Tutto ciò avviene mentre le varie formazioni sono impegnate in visite all’estero in cerca di un supporto da spendere a proprio vantaggio nelle negoziazioni interne.

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