All’indomani dell’accordo tra il gruppo del 5+1 e l’Iran, gli osservatori si sono affrettati a ricostruirne gli impatti sul mondo dell’energia. Al netto della sua indubbia portata simbolica, gli effetti della firma vanno soppesati con attenzione.
Se da un lato, infatti, Teheran può finalmente riprendere possesso dei suoi capitali congelati all’estero per effetto delle sanzioni – oltre 100 miliardi di dollari –, dall’altro non è certo che voglia o possa impiegarli per riattivare la filiera energetica. La spesa per il welfare è alta, in un Paese da 80 milioni di abitanti, che ha stretto la cinghia per superare indenne l’isolamento internazionale. Le attività di estrazione e lavorazione di petrolio e gas zoppicano sin dal 2011, con l’abbandono del Paese da parte di molte major globali. Un terzo della produzione da allora si è volatilizzato. Un blocco che ha sicuramente giocato un ruolo di primo piano nel corso delle trattative. L’Iran non può, a differenza di altri Paesi esportatori di materie prime, essere considerato quale rentier state, visto il grado di diversificazione della sua economia: una discreta capacità manifatturiera – produce addirittura automobili – e una forza lavoro qualificata lo rendono un unicum nel Golfo. Ma il peso delle materie prime si sente, eccome: la vendita di idrocarburi sui mercati internazionali corrisponde al 78% delle esportazioni nazionali. La priorità è quindi quella di colmare immediatamente il ritardo tecnologico ed infrastrutturale, ma i vincoli finanziari potrebbero giocare la parte del leone.
Per fare in modo che il ciclo produttivo riparta servono capitali. Che non possono che arrivare, per la grande maggioranza, dall’estero. Ma la congiuntura non è delle migliori, viste le secche in cui si sono arenati i bilanci delle compagnie energetiche. Gravati da ricavi abbattuti dai prezzi del barile sui mercati internazionali, i libri contabili delle compagnie di tutto il mondo sono listati a lutto. La caduta da 119 a 60 dollari al barile ha stravolto la pianificazione strategica degli attori del settore. Portando anche a scelte dolorose, come la riduzione della forza lavorativa e l’abbandono di grandi progetti infrastrutturali. Meno capitali uguale meno progetti: è cruciale capire verso quali opere verranno indirizzati gli investimenti. Sono molte le possibilità che il mercato globale offre ai potenziali finanziatori.
Sul fronte del gas, mentre la Germania negozia bilateralmente con la Russia l’allargamento del gasdotto North Stream, delineando uno scenario molto chiaro per quanto concerne la rotta “Nord”, ancora indefiniti sono gli assetti dei canali meridionali e mediterranei. Azerbaigian e Asia Centrale convoglieranno verso l’Europa centro-meridionale una parte della loro produzione, mentre nel Mediterraneo orientale i nuovi giacimenti di recente scoperta entreranno gradualmente in esercizio, guardando con un sicuro interesse ai mercati europei. Ingenti quantitativi di gas potrebbero dunque diventare disponibili su un mercato la cui domanda è già fiacca. E se tale resterà, è difficile che possa assorbire nuova offerta, vista anche la fascinazione degli europei per le energie rinnovabili, ormai diventate economicamente sostenibili. Un dato che gli iraniani non possono che tenere in considerazione.
Per quanto concerne il petrolio, Teheran, in possesso del 10% delle riserve mondiali, ha fissato obiettivi ambiziosi per il ritorno alla piena capacità produttiva. Una tabella di marcia aggressiva, troppo aggressiva, secondo buona parte degli osservatori internazionali. Anche in questo caso, molto dipenderà dalle scelte degli investitori stranieri, incluse le oil company americane, da tempo assenti dal territorio iraniano. Solo con il loro intervento, il regime potrà davvero raggiungere i 5 milioni di barili al giorno prodotti, come pubblicamente dichiarato da esponenti governativi.
Un altro elemento di complessità aleggia sul futuro dell’industria energetica della Repubblica Islamica. Come più volte sottolineato dai vertici dell’Eni, perché il Paese torni appetibile per gli operatori, il quadro normativo dovrà diventare più favorevole. Le condizioni che Teheran impone alle compagnie straniere sono considerate capestro, e ciò significa che, anche nell’ipotesi in cui il petrolio ed il gas iraniani trovassero degli acquirenti sicuri e stabili, un duro negoziato commerciale si profilerebbe all’orizzonte.
Teheran anela quindi a tornare protagonista sui mercati energetici mondiali, puntando sull’ampia disponibilità di petrolio e gas e su una consolidata tradizione produttiva. Ma le incognite non mancano. Tra quotazioni del barile appiattite su livelli bassi, domanda stagnante e asperità contrattuali, le nubi sul cielo dell’Iran non mancano.