Coltivare le relazioni tra popoli attraverso le istituzioni parlamentari. Questa l’idea che spinse il Sen. Vittorino Colombo a fondare – nel 1970 – l’Associazione parlamentare “Amici della Cina”. A più di cinquant’anni dalla sua istituzione, l’associazione creata dall’allora parlamentare della Democrazia Cristiana non si rivolge più verso uno stato per decenni ai margini della comunità internazionale ma verso uno dei principali attori revisionisti del panorama globale. Per capirne di più, ne abbiamo parlato con l’On. Vinicio Peluffo, deputato del Partito Democratico e presidente di “Amici per la Cina”
- On. Peluffo, la ringraziamo per aver accettato il nostro invito. Quest’anno ricorrono i 53 anni dalla fondazione dell’Associazione parlamentare Amici della Cina, una delle più longeve associazioni di amicizia parlamentare d’Italia. Lei ha ricoperto diverse cariche all’interno di quest’organizzazione, non da ultima quella di presidente. Potrebbe dirci di più in merito alle ragioni della sua fondazione?
L’Associazione è nata su iniziativa del Sen. Vittorino Colombo che volle dare una forma concreta all’idea di sviluppare la “diplomazia dei popoli”, applicandola ai rapporti tra Italia e Cina di cui era profondo conoscitore e indiscusso protagonista. Seguendo questa ispirazione l’Associazione è stata fondata nel corso della VII Legislatura ed è stata ininterrottamente presente fino ad oggi, raccogliendo anche nell’attuale legislatura le adesioni dei parlamentari provenienti da tutti i gruppi politici. È la più longeva Associazione di iniziativa parlamentare e rappresenta un elemento di continuità e un punto di riferimento nella promozione della reciproca conoscenza tra i due Paesi.
- Lo scenario internazionale si è marcatamente modificato in questi cinquant’anni, così come le stesse relazioni tra l’Italia e la Cina. In che modo l’Associazione è riuscita a mantenere fede al proprio mandato originario?
L’Associazione mantiene fede, innanzitutto, al principio ispiratore di perseguire la reciproca conoscenza tra i popoli attraverso il dialogo, l’ascolto, la promozione dello scambio istituzionale e culturale. Abbiamo sempre favorito l’allargamento della “superficie di contatto” tra i due Paesi, nella convinzione che le ragioni dell’interesse nazionale si rafforzino nel dialogo e nello stimolare la reciproca apertura. L’insegnamento di Vittorino Colombo risiede anche nella centralità dei rapporti diretti, delle relazioni umane che possono diventare elemento chiave per poter superare incomprensioni, per poter sviluppare quella amichevole franchezza così utile, anche nei momenti di maggior frizione, a individuare gli elementi controversi e come poterli superare.
- In un recente studio dell’Osservatorio Economico del MAECI, viene rilevato come – ad oggi – la Cina rappresenti il 10º mercato di esportazione per il made in Italy. Ritiene che l’attività svolta nei decenni dall’Associazione abbia facilitato la diffusione della conoscenza delle eccellenze italiane nel mercato cinese?
L’Associazione si muove su un piano istituzionale per favorire la reciproca conoscenza innanzitutto tra i rappresentati nelle istituzioni, in primis i parlamentari, puntando ad offrire occasioni di scambio allargato anche alle rappresentanze territoriali attraverso visite, progetti di cooperazione e gemellaggi. La collaborazione istituzionale consente di sviluppare progetti di partenariato in vari campi, innanzitutto quello culturale, che contribuiscono a creare un terreno fertile per ulteriori sviluppi che attengono all’iniziativa dei soggetti interessati e vedono l’accompagnamento dei soggetti pubblici e privati che operano in questo settore.
- In precedenza ci ha anticipato come tra le attività dell’Associazione rientrino anche incontri e missioni diplomatiche con gli omologhi cinesi. Alla luce di questi scambi culturali, secondo lei, in che modo viene percepito il nostro paese in Cina?
In Cina è profondo il rispetto per la cultura millenaria italiana ed è apprezzata la capacità di ascolto e di interazione. Una delle figure più spesso ricordate dalle elites cinesi è quella di Matteo Ricci, il gesuita italiano che seppe “indossare i panni” della profonda conoscenza della cultura cinese. Un sentimento molto diffuso è rappresentato anche dalla curiosità per la capacità italiana di saper coniugare radici storiche profonde con la propensione all’innovazione, alla ricerca costante di interpretare la contemporaneità.
- Concludiamo quest’intervista con quello che potremmo definire come un ipotetico messaggio in bottiglia per il futuro. Quale ruolo si auspica possano giocare le relazioni culturali di amicizia in quello che viene definito dagli studiosi come il ritorno della competizione tra le grandi potenze?
Come scriveva 50 anni fa il senatore Vittorino Colombo: “le differenze di fede politica e religiosa non devono impedire ai popoli e agli Stati di ritrovarsi insieme per sviluppare un discorso di fratellanza, di amicizia, di reciproco aiuto, animati dal desiderio imperioso di costruire una società universale pacifica e laboriosa.” Sono convinto che si tratti di parole non soltanto attuali ma che indichino, anche in un tempo come quello che ci è dato di vivere, la strada in qualche modo obbligata per evitare che la competizione diventi conflitto.