Il prossimo 15 settembre i cittadini tunisini saranno chiamati a scegliere il Presidente della Repubblica per i prossimi cinque anni. Tra i 26 che si presenteranno alle urne la prossima domenica, è presente il nome di Elyes Fakhfakh, ex ministro dell’Economia (2012-2014) ed ex ministro del Turismo (2011-2013), candidato del partito socialdemocratico Ettakatol, che ci ha concesso un’intervista sul suo programma e la sua visione per il futuro della Tunisia.
Lo scorso 25 luglio, l’ex Presidente Bèji Caid Essebsi (BCE) è morto all’età di 92 anni. Essebsi è stato un personaggio chiave nel processo di democratizzazione della Tunisia. Qual è la sua eredità secondo lei? Quali sono i valori più importanti che ha trasmesso? Bisogna mantenere la sua visione per la Tunisia?
Sicuramente la figura di BCE è stata fondamentale nel panorama politico tunisino. È stato molto importante sia per la riuscita della prima fase di transizione, sia nel riequilibrio dell’assetto politico successivo. Non si può dire però che sia stato altrettanto fedele nei confronti della Costituzione: non è stato capace infatti di attuarla pienamente, lasciando che fenomeni che danneggiano il nostro paese, come il nepotismo, prendessero piede nella gestione dello Stato. Ha fatto molto in campo diplomatico per ricostruire l’immagine della Tunisia, ma non è riuscito a dare una Forte spinta ad una riforma efficace dello stato e dei poteri locali al fine di garantire una maggiore stabilità al paese
La Tunisia rappresenta la sola democrazia nel mondo arabo ed il solo paese in cui la primavera araba ha avuto successo, comparandola ad altri paesi che versano ancora in una situazione di caos e nuove dittature. Qual è, secondo lei, la ragione di tale successo? Pensa che la democrazia sia ormai radicata in Tunisia?
Mai dire mai, ci sono sempre dei rischi. Penso che ormai abbiamo passato la fase critica, nonostante le istituzioni restino fragili. Il successo è dovuto alla nostra storia: abbiamo sempre creduto nel pluralismo politico, nei diritti delle donne e nell’unità della nostra nazione. Siamo un popolo colto e unito, non abbiamo divisioni di carattere tribale o religioso. Ci sono stati vari tentativi negli ultimi trent’anni di portare la democrazia in questo paese, che sfortunatamente sono stati vani. La rivoluzione ha dato una nuova spinta e il processo non intende fermarsi.
Il rapporto dei cittadini verso la politica ed i suoi attori sta vivendo un periodo estremamente delicato, anche in Europa. Tra i fenomeni più significativi devono essere sicuramente menzionati la crescita dei movimenti populisti ed un’alta astensione alle urne. Secondo lei, quale sarà la reazione dei tunisini durante queste elezioni?
Ci troviamo di fronte ad una crisi della democrazia rappresentativa. Il popolo in questo momento sta cercando altri mezzi per partecipare alla vita politica del paese: i social media ne sono un chiaro esempio. Sicuramente i populisti stanno alimentando questo processo, cercando di dare risposte semplici a problemi complessi nati durante il periodo della globalizzazione. Nel momento in cui vanno al potere, però, non si rilevano così efficaci, come stiamo vedendo in Europa, rendendo evidente la necessità di un ritorno ad una politica più seria. Penso comunque che la democrazia rappresentativa debba evolversi, se necessario.
Dopo i due mandati post-rivoluzionari, la Tunisia è stata governata da un sistema semi parlamentare. Lo considera un sistema politico efficace considerando i limiti del Presidente della Repubblica e l’instabilità dei gruppi parlamentari, che possono influenzare il lavoro governativo? Sareste favorevole ad un cambio dell’attuale assetto politico?
No, sono completamente favorevole al nostro attuale sistema. Ci sono infatti altre autorità che devono ancora essere ancora create, come prevede la nostra Costituzione: parlo soprattutto dei poteri locali. Manca una stabilità politica, ed è per questo bisogna promulgare una nuova legge elettorale. Fin quando il quadro non sarà completo e la costituzione non sarà attuata in toto, non è possibile dare un giudizio esaustivo.
Concentriamoci ora su un altro tema: i problemi sociali della Tunisia. Il paese ha un alto tasso di disoccupazione rapportandolo ai suoi paesi vicini, circa il 15%, soprattutto tra i giovani. Cosa propone per invertire questa tendenza all’interno di un contesto economico difficile caratterizzato da un alto valore del debito pubblico (80%)?
Crescita. Non dobbiamo far altro se non rilanciare la crescita. Lo Stato non deve più essere uno spettatore ma deve agire attraverso investimenti strutturali per rilanciare l’economia di questo paese. Prendendo atto che siamo nel mezzo di una quarta rivoluzione industriale, all’interno del mio programma ho inserito una specifica sezione sui futuri investimenti sul piano tecnologico, sostenibile ed ecologico. Dobbiamo essere attori in questa rivoluzione, migliorando sul piano dell’occupazione, della ricerca, e soprattutto incrementando settori chiave come la sanità e l’educazione. Lo Stato deve farsi carico delle spese e rilanciare l’occupazione. Abbiamo molti giovani tra i 15 ed i 29 anni che non studiano né lavorano, a cui spesso non rimane altra scelta di andare via e cercare altre opportunità, principalmente in Europa. Dobbiamo dare una seconda opportunità a queste persone.
Sul piano della sicurezza: dopo gli attentati terroristici del 27 giugno 2019, l’attenzione dei media internazionali sulla sicurezza tunisina è aumentata considerevolmente. Cosa fare nell’immediato per garantire stabilità e sicurezza nel paese per i prossimi anni, considerando anche la minaccia terroristica proveniente dall’Algeria e dalla Libia e soprattutto il ritorno dei cd. foreign fighters dall’Iraq, dalla Libia e dalla Siria?
Ci stiamo confrontando tutti i giorni con la minaccia terroristica, ma abbiamo guadagnato molta esperienza negli ultimi anni: siamo in grado di prevedere e anticipare eventuali pericoli. Dal 2010 infatti, i nostri investimenti sul piano militare e securitario sono triplicati. Gli strumenti di tutela, soprattutto alle frontiere, sono migliorati enormemente e ritengo che questa sia la strada da percorrere. Come valore aggiunto inoltre, il popolo è unito contro la minaccia terrorista. Dovremmo investire di più nelle forze di polizia: è per questo, infatti, che ho proposto la creazione di una nuova Agenzia per la sicurezza che sia più moderna ed efficace.
La Tunisia può giocare un ruolo fondamentale all’interno del conflitto libico, nel quale ci sono due leader molto diversi (Serraj e Haftar) che si stanno contrastando. Chi potrebbe essere il migliore alleato della Tunisia e dei suoi interessi?
La Tunisia deve cercare di pacificare gli animi tra le varie fazioni. Abbiamo una lunga storia con la Libia, un buon rapporto con questo vicino ed esperienza nella gestione dei conflitti. È necessario rispettare la volontà del popolo libico, cercando comunque di aiutarli in questa difficile fase di transizione grazie all’azione della società civile, dello Stato e di altri enti. Non penso sia utile pendere per una parte piuttosto che per un’altra, quello che invece dovremmo fare è riuscire ad elaborare un piano di negoziazione efficace, soprattutto sul piano internazionale ed europeo. Essendo un nostro vicino, il nostro futuro è interconnesso: la prosperità della Libia è la prosperità della Tunisia.
Qual è la sua posizione sul trattato di libero scambio con l’Unione Europea (Accord de Libre Échange Complet et Approfondi-ALECA)?
Manca un elemento fondamentale in questo accordo, cosa che ho già fatto presente a Bruxelles: una visione per il Mediterraneo. Questa regione, formata da i paesi del nord, europei, e quelli del sud, africani, deve avere una visione comune per i prossimi 40-50 anni sul piano dello sviluppo, della disparità dei salari e su quello demografico, un problema che sarà sempre più pressante. Dobbiamo impostare un vero dialogo sul futuro del Mediterraneo, e oggi siamo molto lontani dall’avere una visione comune.