Quali sono gli interessi iraniani in Afghanistan e in che modo possono coincidere nell’evoluzione del rapporto con i talebani? Gli spazi di cooperazione e le sfide si articolano intorno a 4 macro-tematiche: l’interscambio economico e commerciale, la sicurezza dei confini, la questione dei migranti e le problematiche interne alla politica iraniana.
Il massacro di Mazar-e Sharif
L’8 agosto del 1998 i talebani entrano a Mazar-e Sharif – roccaforte della comunità hazara – e, per dirla con le parole di Ahmed Rashid, per due giorni si muovono su e giù per le strette strade della città sparando e uccidendo tutto ciò che si muove. In quello stesso giorno avviene l’assalto al consolato iraniano della città, dove vengono uccisi 8 diplomatici e un giornalista. I Pasdaran iraniani giurano ritorsioni in diretta Tv, l’allora Presidente Rafsanjani durante la preghiera del venerdì all’Università di Teheran promette di vendicare “col sangue” la morte dei “martiri iraniani”, e la folla scandisce con forza lo slogan “morte ai talebani”. 70.000 soldati vengono inviati al confine con l’Afghanistan, in quello che sembrava il prologo di un inevitabile conflitto armato. Solo l’azione di mediazione delle Nazioni Unite riesce a disinnescare tale epilogo.
Nemici naturali
Se si parte da qui, dalla prima esperienza dell’Emirato afghano, non si può far a meno di ricordare come talebani e iraniani fossero due controparti nemiche e naturalmente in conflitto. I talebani, nelle dinamiche dell’area di quel periodo, rappresentavano lo strumento ideale per assolvere una duplice finalità: su un piano regionale contenevano le mire espansioniste dell’Iran, su un piano locale esprimevano gli interessi dei pashtun sunniti sull’etnia hazara sciita. Gli “studenti” erano a tutti gli effetti una minaccia per la sicurezza della Repubblica Islamica, e un impedimento per le politiche regionali di Teheran.
L’operazione degli Stati Uniti del 2001 in Afghanistan cambia le carte in tavola: nel paradosso di ritrovarsi il “Grande Satana” a pochi chilometri dei suoi confini, ma nell’assunto sempre valido del “amicus meus, inimicus inimici mei”, Teheran vede un vantaggio nel rovesciamento del governo dei talebani, appoggia indirettamente le azioni statunitensi e si libera di un acerrimo nemico sul fianco est (sempre gli Stati Uniti, nel proseguo del paradosso della politica mediorientale, libereranno il secondo acerrimo nemico dell’Iran dal suo fianco ovest, nel 2003, col rovesciamento del regime di Saddam Hussein).
L’instabilità afghana come strumento
Da questo momento in poi, però, l’Iran si ritrova a pochi chilometri la prima potenza mondiale, e temendo per l’autoconservazione dell’assetto istituzionale nato dopo la Rivoluzione agisce per sopravvivere: La priorità diventa quella di allontanare le truppe straniere dai propri confini.
In questo contesto l’instabilità della regione, e di conseguenza quella del teatro afgano, è strumentale ad aumentare la percezione del rischio per gli americani e gli alleati, e rendere insostenibile il rapporto costi-benefici della presenza del nemico. Ed è proprio da un’analisi ponderata – e durata un decennio – di questo rapporto, giudicato anno dopo anno sempre più illogico e insostenibile da Washington, che si spiega il ritiro americano dall’Afghanistan. L’instabilità afghana ha quindi giocato un ruolo prioritario nelle tattiche di Teheran utili a raggiungere il principale obiettivo strategico: l’uscita delle truppe straniere, e quindi l’allontanamento di uno dei principali pericoli per la sopravvivenza della Repubblica islamica.
La nuova fase
Con il progressivo disimpegno degli Stati Uniti dalla regione si modificano le strategie di lungo termine di Teheran, che ad oggi ha diverse problematiche da affrontare.
L’instabilità dell’Afghanistan, se prima era un elemento funzionale, oggi preoccupa enormemente le istituzioni iraniane. La forte crisi economica nel paese – esacerbata dalla crisi pandemica e dalle politiche di massima pressione intraprese dall’Amministrazione Trump e dagli alleati nella regione – agisce sulle le azioni di breve periodo che il nuovo governo iraniano deve intraprendere. Vi sono alcune tematiche che caratterizzano i rapporti con i “nuovi Talebani” (così come denominati da alcuni giornali conservatori iraniani), e che devono essere prese in considerazione per provare a tracciare degli scenari futuri nelle interazioni tra i due paesi. Le tematiche in oggetto sono 1) l’interscambio economico e commerciale; 2) la sicurezza dei confini; 3) la questione migranti; 4) problematiche interne all’Iran.
Interscambio commerciale ed interessi economici
Iniziamo col dire che dal 2018 l’Iran è il principale partner commerciale per Kabul: l’Afghanistan rappresenta infatti uno dei principali mercati per le esportazioni iraniane. Le merci iraniane hanno rappresentato un decimo dei beni di consumo nel Paese afghano, e nel 2018 l’export di Teheran arrivava a sfiorare i 3 miliardi di dollari. In un periodo di forti sanzioni economiche e di impedimenti – diretti e indiretti – che rendono impossibile per l’Iran legarsi al sistema economico internazionale, i flussi finanziari dall’Afghanistan rappresentano un valore irrinunciabile per la fragile economia iraniana. Nel mese di agosto si è registrata una rapida interruzione delle importazioni energetiche dell’Afghanistan che ha generato un forte all’arme nelle istituzioni iraniane: inoltre lo stop dei fondi internazionali verso Kabul, che nel corso dell’ultimo decennio hanno nei fatti tenuto in piedi l’economia del Paese, produce un enorme rischio di svalutazione della moneta locale, e conseguenze inevitabili sulle importazioni afghane. Per tali ragioni, oltre al mantenimento di relazioni commerciali, l’Iran deve augurarsi una sorta di pacificazione – o legittimazione – dei talebani con la comunità internazionale se vuole continuare ad avere nel Paese vicino un mercato in grado di assorbire una quota del suo export.
Altra problematica che ha bisogno di un legame diplomatico tra l’Iran e la controparte talebana è quella relativa al bacino idrico del fiume Helmand, in Afghanistan, che sostiene un milione di abitanti anche nella provincia iraniana del Sistan e Baluchistan. L’Iran ha un serio problema con l’approvvigionamento idrico, tanto da essere considerato il 13° Paese nella non meritoria classifica dei “Most Water-Stressed Countries in 2040”. Durante il governo afghano di Ghani, i due Paesi erano giunti ad un accordo per la condivisione del bacino idrico: ad oggi i talebani potrebbero utilizzare la minaccia di chiudere i flussi di approvvigionamento come strumento di pressione per giungere a vantaggiosi accordi economici. Tale rischio obbliga Teheran a tenere aperti i canali diplomatici con l’ex (?) nemico.

La questione della sicurezza dei confini
L’Iran e l’Afghanistan hanno in comune 921 km di confini: tale linea di faglia
attraversa un territorio per lo più arido e disabitato, rendendo tale limes poroso e difficilmente controllabile. Proprio da questo confine entra gran parte del contrabbando dell’oppio diretto verso il territorio europeo (dall’Afghanistan parte circa il 90% delle esportazioni di oppio nel mondo), e tale traffico espone l’Iran a gravi rischi. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’Iran ha il più alto tasso di consumatori di oppio nel mondo – con un consumo che supera del 300% la media globale – e oltre 2 milioni di tossicodipendenti, concentrati soprattutto nelle regioni adiacenti al confine.

Altro rischio per la sicurezza iraniana è quello rappresentato dalle milizie dell’Isis-K, che vedono nella regione transnazionale del Khorasan il loro spazio d’azione. La regione del Khorasan attraversa importanti aree del territorio iraniano, e il rafforzamento di tale milizia rappresenta per l’Iran una minaccia concreta. L’Isis-K ha assunto una postura fortemente violenta nei confronti dei talebani, e diversi analisti descrivono tale processo come il tentativo per l’IS di riaffermarsi come brand nella galassia del jihadismo internazionale. Un Afghanistan instabile, con un governo non in grado di controllare l’intero territorio, facilita la crescita dell’organizzazione terroristica: i leader talebani e iraniani hanno quindi un interesse in comune nella stabilizzazione del Paese e nel contrasto a tale minaccia.
La costola afghana dello Stato Islamico rappresenta un grave pericolo anche per la comunità hazara: l’Iran si aspetta un’onda di violenza settaria – sulla falsa riga di quanto accaduto nella prima esperienza dell’Emirato islamico – e di conseguenza potrebbe utilizzare la Brigata Fatemiyoun – passata alle cronache recenti per l’apporto militare fornito nel puntellare Assad in Siria – come proxy nelle aree occidentali dell’Afghanistan.
La questione migranti
Altro spazio di cooperazione obbligata tra talebani e governo iraniano è rappresentato dal tema dei migranti. L’Iran al momento ospita circa 780.000 rifugiati afgani registrati e 2,3 milioni senza documenti: la maggior parte di loro vive nelle grandi città come Teheran e Isfahan. Come scritto in precedenza, la porosità del confine tra i due Paesi ha da sempre facilitato i flussi migratori: durante l’avanzata dei talebani della scorsa estate, i valichi di frontiera sono stati abbandonati dai soldati dell’esercito nazionale, e conseguentemente decine di migliaia di persone sono riuscite a fuggire in Iran.
Con l’aumentare della crisi economica a seguito della pandemia, il sentimento di rifiuto da parte della popolazione iraniana nei confronti dei rifugiati afgani è aumentato. Per tali ragioni esponenti del governo si sono affrettati a dichiarare che prevedono di costruire campi di rifugiati ai confini con l’Afghanistan, impedendo che i nuovi flussi dovuti all’avvento dei talebani possano raggiungere il centro del Paese. Una ulteriore spesa per le fragili finanze iraniane che probabilmente non sarà accettata di buon grado dai cittadini, e un rischio per la sicurezza della Repubblica Islamica che teme l’infiltrazione dei terroristi dello Stato islamico del Khorasan nascosti tra i rifugiati.
Va sottolineato, però, che anche i talebani non hanno alcun vantaggio nel continuare ad osservare l’emorragia della popolazione: da un punto di vista simbolico è una disfatta per la loro propaganda, e abbiamo pertanto sentito diversi appelli ufficiali che chiedono agli afghani di dar fiducia al nuovo Emirato. Al contempo l’utilizzo dei rifugiati come “arma” è certamente uno strumento che i talebani hanno per mettere pressione all’Iran in future sedi negoziali.
Problematiche interne
I terreni di potenziale cooperazione tra i governi esistono, ma sono altrettante le sfide per l’Iran in questo nuovo corso dello scenario afghano. Sfide che vengono per la maggior parte da problematiche interne allo stesso Iran.
Teheran dal 1979 ha plasmato la propria narrazione definendosi come il Paese faro degli sciiti nel mondo e custode della loro sicurezza. L’intera politica regionale, persino la sua dottrina militare, si è basata sui legami che intercorrevano con le comunità sciite nel Medio Oriente: legittimare pubblicamente chi nel recente passato si è macchiato di violenze nei confronti di una delle più importante comunità sciite nel mondo (quella degli hazara) rischia di compromettere la rispettabilità dell’Iran. Ancor di più in caso il nuovo governo talebano – e alcune testimonianze sembrano confermare tale tendenza – prendesse nuovamente di mira gli hazara, o li escludesse totalmente dalla vita politica e sociale dell’Emirato.La vittoria di Raisi alle scorse elezioni presidenziali si è basata sulla promozione dell’”Asse della Resistenza” e sul forte legame con le Guardie Rivoluzionarie: rimane difficile capire in che modo il nuovo governo, e l’ala militare più intransigente, possano giostrarsi in questo complicato esercizio di equilibrismo geopolitico.