Gli eventi verificatisi negli ultimi anni nell’area del Sāḥel hanno avuto un vasto impatto geopolitico su scala regionale e internazionale, a causa della diffusa presenza di fenomeni di instabilità quali povertà, terrorismo, criminalità e all’intervento per interessi economici di numerosi attori internazionali.
Povertà e instabilità
Il Sāḥel è un’area dell’Africa sub-sahariana che comprende diversi Stati africani, tra i principali, per il loro interesse geopolitico, il Mali, il Burkina Faso, il Niger, la Nigeria, e il Ciad. Tutti gli Stati dell’area saheliana si contraddistinguono per alcuni elementi comuni, quali povertà, carestie frequenti, insicurezza, disuguaglianza economica e sociale e scontri armati. Nell’area circa 20 milioni di persone sono in una situazione di insicurezza alimentare, di cui circa il 70% abita in Niger, Nigeria, Mali e Ciad. Ogni anno, nell’area, circa mezzo milione di bambini sotto i 5 anni muore a causa della malnutrizione. In Niger e nella Nigeria settentrionale si concentrano circa il 65% dei bambini malnutriti del Sāḥel. La crisi umanitaria è aggravata dalle frequenti epidemie che colpiscono la popolazione come colera, meningite e febbre gialla. Nella crisi del Sāḥel gioca un ruolo fondamentale la povertà, la diseguaglianza economica, emblematico il caso nigeriano, la marginalizzazione delle minoranze etniche, la diffusa disoccupazione e la dilagante corruzione delle classi politiche, che spingono numeri sempre crescenti di persone a cercare legittimità sociale in attività illegali e violente. A peggiorare la situazione si è aggiunto l’esaurimento delle risorse idriche a causa del processo di sfruttamento dell’uranio da parte di aziende e multinazionali; gli effetti dei cambiamenti climatici, che ha condotto all’aumento del processo di desertificazione dovuto dal riscaldamento globale; il costante aumento di gruppi del terrorismo islamista, favorita dall’assenza dei governi centrali nella gestione degli affari comunitari, sociali ed economici e visti dalle comunità locali come efficace soluzione alla corruzione delle gestioni statali.
L’espansione del terrorismo islamista
Il malcontento popolare abbinato alle vulnerabilità economiche e sociali delle classi meno abbienti, sono il pilastro del reclutamento delle organizzazioni jihadiste. I principali gruppi terroristi dell’area si sono gradualmente inseriti nel complesso scenario saheliano, presentandosi come alternativa plausibile e legittima ai governi centrali. La loro costante crescita è strettamente correlata alla loro capacità di attuare un sistema di welfare alternativo a quello dei diversi governi, tramite l’istruzione, la distribuzione di beni di prima necessità e le opportunità lavorative. Nell’ultimo quinquennio, le organizzazioni jihadiste hanno poi accresciuto la propria legittimità politica, configurandosi come interlocutori privilegiati delle diverse etnie discriminate, grazie al supporto economico fornito ai clan tribali. I gruppi del terrorismo islamista si fortificano sfruttando rivalità locali, etniche, sociali ed economiche, proponendosi come unica possibilità di riscatto. La porosità delle frontiere ha consentito ai diversi gruppi jihadisti di controllare vaste aree territoriali tra i confini dei diversi Stati e controllare senza difficoltà numerose attività criminali quali traffici di esseri umani, di droga, armi e contrabbando di sigarette, farmaci e petrolio. Tra i principali gruppi terroristi islamisti attivi nel Sāḥel vi sono: Boko Haram, affiliato allo Stato Islamico (IS) e che agisce tra Nigeria, Ciad e Niger, il “Gruppo di Sostegno all’Islam e ai Musulmani” (GSIM) guidato da Ayad Ag Ghali, risultato di una fusione tra al-Qā’ida nel Maghreb Islamico (AQMI) e i gruppi terroristi Anṣār al-Dīn, al-Mourabitoun e il Fronte di Liberazione del Macina, lo “Stato Islamico del Gran Sahara” (ISGS) e il “Movimento per l’Unità e la Jihad nell’Africa Occidentale” (MUJAO). Nel tentativo di contrastare l’instabilità della fascia saheliana, diversi attori nazionali e internazionali si sono impegnati in iniziative volte a migliorare il controllo del territorio e neutralizzare i network terroristi. La Francia ha dispiegato, con l’operazione “Barkhane”, 4000 uomini tra Mauritania e Ciad. L’ONU, invece, è in Mali dal 2013 con circa 13 mila caschi blu nell’ambito dell’operazione di peacekeeping MINUSMA. Mauritania, Mali, Niger, Ciad e Burkina Faso hanno lanciato da febbraio 2014, le G5 special force, una forza militare congiunta di 5 mila soldati, sostenuti da tre progetti dell’UE e da operazioni USA. Quest’ultimi impiegano per le missioni di controterrorismo anche aerei spia, droni e contractor. Tutte le operazioni e i progetti elencati sono oggetto di continue critiche, a causa della frequente inefficienza delle loro azioni operative, poco reattive rispetto alle minacce dei movimenti jihadisti, maggiormente preparati, mobili, esperti e padroni del territorio.
Gli interessi geopolitici ed economici
Il Sāḥel, nell’ultimi anni, ha assunto una nuova centralità geopolitica che ha posto le condizioni per un ampio coinvolgimento di attori internazionali. La centralità geopolitica e geoeconomica del Sāḥel ha spinto numerosi Stati a interessarsi ai problemi politici dell’area, Mali e Niger in primis, e a quello dilagante del terrorismo islamista. Il Jihādismo, in forte espansione nella regione, appare però come un potenziale pretesto per permettere a numerosi attori esterni di affermare la propria influenza e guadagnare egemonia sul territorio. L’area saheliana, difatti, è ricca di uranio, petrolio, bauxite, oro, rame, zinco, carbone, legname e salgemma, ed è divenuta di crescente interesse per attori internazionali che hanno sviluppato un contesto di forte competizione globale per l’accesso alle risorse e ai mercati dell’Africa saheliana. Molte società francesi sono presenti nell’area, in particolare nel settore dell’estrazione dell’uranio. La Francia è largamente dipendente dall’energia nucleare e la sua industria nucleare dipende principalmente dall’uranio nel Sāḥel. Tra le tante aziende multinazionali francesi, le più importanti sono l’azienda statale Areva, che esporta dal Niger circa un terzo dell’uranio utilizzato nelle sue centrali, Total, Bolloré, Alstom, e l’Oréal. Anche per gli USA, il Sahel è un’area strategica, poiché una parte importante del greggio raffinato statunitense proviene dalle raffinerie africane. Francia e Stati Uniti dispongono già di diverse basi logistiche e militari per la lotta al terrorismo. Gli USA hanno schierato circa 5000 soldati permanenti in Africa e hanno costruito una nuova piattaforma per droni nella città di Agadez. D’importanza geostrategica ed economica e di notevole impatto geopolitico, per garantirsi l’approvvigionamento di materie prime indispensabili e abbondanti, è la scelta di altri attori internazionali emergenti nello scenario geopolitico ed economico subsahariano e saheliano, come Qatar, Arabia Saudita, Israele, India, Sudafrica, Giappone e Germania, che hanno eroso negli ultimi anni l’influenza esclusiva francese. La Cina, occupa senz’altro una posizione primaria e di rilievo nell’area, basata sulla realizzazione di partnership, accordi commerciali e d’investimento con gli Stati saheliani, oltre che attraverso l’invio di unità militari di protezione del personale civile. Il coinvolgimento di Pechino nelle iniziative di peacekeeping nel Sāḥel va inserito nell’ambito della protezione dei propri interessi economici, commerciali e dei propri investimenti. Tra i progetti principali vi è la raffineria d’idrocarburi di Zinder, in Niger, finanziata dalla China National Petroleum, l’esplorazione tramite l’Azelik Mining Company a Imourarem, in Niger, di miniere di uranio, e importanti investimenti nelle infrastrutture, tra cui la costruzione del secondo ponte sul fiume Niger.