L’espressione “interesse nazionale”, spesso comparsa in connubio agli aggettivi “strategico”, “operativo”, addirittura “supremo”, è tutt’oggi un’espressione dai contorni sfumati, la cui definizione risulterebbe difficile anche ai più illustri esponenti del livello politico, strategico ed accademico italiano. Difatti, ad oggi, l’Italia non ha mai definito i propri interessi nazionali, e, persino il Libro Bianco 2015, che in tal senso ha rappresentato un turning point (il primo documento di livello strategico del secolo XXI) ancorché non abbia esplicitamente definito i nostri interessi strategici, ne ha quantomeno circoscritto le aree geografiche. Non si conosce esattamente il cosa e il come, ma quanto meno si è stabilito dove intervenire.
Radici storiche e prospettive attuali del problema
La ragione di tale reticenza, della difficoltà di affrontare la problematica e del timoroso tatto con il quale ci si è sempre avvicinati alla materia, affonda le proprie radici nel ventennio fascista. Periodo nel quale l’interesse nazionale è stato perseguito in maniera “a suo modo” esplicita, e associato a scelte di politica estera italiana ufficialmente condannate.
Con tali premesse, potremmo genericamente affermare che l’interesse nazionale riassuma l’insieme delle priorità attinenti la sicurezza e la “sana sopravvivenza” del nostro Paese. Tuttavia oggi abbiamo bisogno di definire in modo più specifico gli interessi nazionali, per orientare tanto i decisori politici, quanto i vertici delle Forze Armate e di Polizia, o forse, ancorché la cosa possa sembrare troppo ambiziosa, potremmo allargarne il concetto sino a includere il comportamento e le scelte del singolo cittadino italiano.
L’assenza di chiari interessi nazionali, e di una politica estera italiana spesso troppo poco decisa, è oggi aggravata dal disimpegno USA che, nel tentativo di ristabilire un equilibrio tra risorse/impegni, evitare un imperial overstretch e contrastare la crisi economica cominciata nel 2007/2008, si focalizza sul contrasto del nuovo competitor Cina. Il retrenchment USA sta creando nell’area geografica d’interesse italiano dei “pericolosi vuoti”, dando la possibilità a Turchia e Russia di intervenire con strumenti militari e politici, e alla Cina con investimenti economici.
La Turchia ha recentemente assunto una posizione più assertiva, a partire dalla Libia e dalla posizione contrapposta alla Francia oltre che alla Grecia nel Mediterraneo orientale. Ankara, la cui politica estera risente chiaramente di pressioni dell’ambiente interno, è probabilmente forte dell’appoggio militare russo e del suo ruolo di secondo maggiore contributor in ambito NATO. Il rischio è che ottenga un eventuale aiuto economico dalla Cina, in cerca di rilanciare il proprio prestigio e ampliare la sfera d’interesse.
La Francia, interessata a ottenere vantaggi economici per la compagnia nazionale Total e minacciata nel suo estero vicino, si schiera esplicitamente contro la Turchia, e un po’ più velatamente contro l’Italia, il cui principale razionale dovrebbe essere quello di tutelare la compagnia nazionale ENI.
Le due compagnie petrolifere condividono un’area di operazioni molto, troppo vicina, e troppo appetibile dal punto di vista strategico.
Purtroppo l’intervento in Libia nel 2011, favorito proprio dalla Francia, oltre a far fallire lo Stato libico ha provocato un effetto domino nell’intera regione, destabilizzando i fragili equilibri che ci aveva lasciato in eredità il vecchio ordine internazionale, garantiti dal debole unipolarismo USA degli ultimi anni.
L’attuale re-distribuzione del potere, dovuta al disimpegno americano, e all’atteggiamento assertivo dei paesi status seeker sopra citati, lascia presagire un ulteriore indebolimento politico delle istituzioni sovranazionali: UE, già debilitata dalla Brexit, e NATO, ormai diventata un contenitore vuoto, almeno secondo la penultima amministrazione Trump.
Un “tentativo di definizione” di interesse nazionale.
È così profonda e importante la definizione degli interessi nazionali, che spesso, almeno per altri paesi, ha costituito il confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, segnando il limite entro il quale può spingersi la ragion di stato. Molti paesi infatti giustificano la liceità delle proprie scelte politiche e militari, associandole al concetto di benessere dello Stato, più che a giustificazioni etiche o morali. Proviamo quindi a fornire quantomeno una definizione degli interessi di un Paese:
“L’interesse nazionale è l’insieme degli obiettivi, delle ambizioni e delle aspirazioni di uno Stato, definiti all’interno di un’area geografica, esplicitati nelle 4 dimensioni: Politica, Culturale, Economica e Militare” (Cit. Marco Cassetta).
L’ordine delle 4 dimensioni può certamente variare di paese in paese. È indubbio che la dimensione militare possa avere un ruolo più o meno importante, ad esempio, per i paesi che vivono situazioni di conflitti armati esistenti o potenziali. Ciò premesso, risulta di fondamentale importanza definire chiaramente, identificare e dichiarare i propri interessi nazionali, prima ancora di poter ipotizzare una strategia nazionale. Come potrebbe infatti una strategia nazionale essere coerente, se non ha ben chiaro l’end state, gli obiettivi da perseguire?
Il Mediterraneo Allargato
Il Mediterraneo è storicamente sempre stato un luogo di scontro di civiltà differenti per cultura e ideologia. Oggi è un sistema regionale eterogeneo, caratterizzato da governance democratica e stabile ad occidente, contrapposta a stati giovani/instabili ad oriente. L’assetto futuro è dubbio a causa dell’attuale fluidità di distribuzione del potere, della dimensione spaziale in continua mutazione e dell’eccezionale incapacità di produrre aspettative negli attori. Le regioni vicine del Medio Oriente e Africa sono altresì instabili, depauperate da fragilità strutturale ed economica, dal basso grado di istituzionalizzazione e da una governance eteronoma, talvolta imposta dalle potenze occidentali, e avvertita come illegittima.
L’Italia, con il Libro Bianco 2015, ha ridefinito la propria area d’interesse, identificando nell’area euro-mediterranea ed euro-atlantica il proprio spazio d’influenza. Tale approccio ha, in un certo senso, “ritoccato” in senso restrittivo il c.d. “Mediterraneo Allargato”, rappresentando un tentativo di diminuire il livello d’ambizione e ridimensionare impegni politici, militari ed economici.
Oggi più che mai, il Mediterraneo rappresenta un caleidoscopio turbolento di fragili equilibri. Una linea di faglia che segna il confine tra una porzione di mondo caratterizzata da Stati di diritto, distribuzioni di potere omogenee e consolidate al Nord, contro una regione del Sud e del Medio Oriente caratterizzata da attori molto differenti, con interessi relativi spesso contrastanti. Tutto questo è il nostro giardino, il mare su cui si affaccia l’Italia, un mare navigato da attori in cerca di prestigio e potere, attori che oggi sono sempre più assertivi, contano su apparati militari di tutto rispetto, e livelli politici che non solo proteggono e tutelano i rispettivi interessi nazionali, ma in taluni casi, cercano di espanderne i confini. Pertanto, oggi più che mai, è fondamentale che l’Italia ripensi la propria politica estera, attuando una linea strategica chiara che cominci con l’esplicitazione e la conseguente tutela degli interessi nazionali, e recuperi quel rapporto di fiducia tra cittadini e leadership politica.
In sintesi, il fallimento del nuovo ordine internazionale, con il successivo disimpegno USA nel loro Pivot to Asia, ha messo in discussione la stabilità che aveva caratterizzato la regione euro-mediterranea nel post Guerra Fredda. Oggi, i nuovi Stati entrati a gamba tesa nel mare nostrum, dettano la necessità di ridefinire la politica estera italiana cercando di tutelare gli interessi nazionali. A questo si aggiungono le preoccupazioni di politica interna relative principalmente alla questione migratoria e alla crisi economica.
La nuova distribuzione del potere a favore di Cina, Russia, Turchia e Francia pone l’Italia dinanzi ad un trilemma, se non altro su quale dimensione della nostra politica estera vada favorita:
quella atlantista, la dimensione europeista, oppure una dimensione mediterranea?
Ricercare nuovi alleati potrebbe essere una buona soluzione per garantire sicurezza futura in uno scenario profondamente turbolento e conteso, ricercare un ruolo nella possibile joint venture franco-tedesca, evitando il più possibile la perdita di prestigio a livello internazionale che condannerebbe l’Italia a essere esclusa dal gruppo di testa.