Il ruolo dell’intelligence economica nelle relazioni internazionali tra passato, presente e futuro: un concetto in continua evoluzione, con al centro il valore dell’informazione e l’importanza del fattore umano.
La nostra società, in questo nuovo secolo, sta affrontando un cambiamento drastico, una fase di radicale trasformazione con:
- da una parte l’opera dell’intelligenza artificiale e la conseguente rivoluzione dell’essere e della comprensione di noi stessi, al centro della quale c’è l’infosfera, ossia lo spazio informativo dell’epoca digitale che coinvolge tutti gli ambiti della vita, ponendo sfide sconosciute;
- dall’altra la fine del confronto bipolare che ha portato con sé una profonda trasformazione dei sistemi statali e delle logiche di confronto internazionale, in cui gli Stati ritornano ad essere attori primari delle relazioni internazionali, mostrando una dinamicità e una capacità d’adattamento che molti pensavano essersi persa nei meandri dei processi della globalizzazione.
- In questo mondo che, dunque, si sta sempre più evolvendo verso una realtà diversa, in cui mutano gli eventi e i modi d’intendere le relazioni internazionali e la diplomazia, diventa fondamentale, per non soccombere nell’agone planetario, il ruolo dell’intelligence economica e la centralità del fattore umano, nell’agire degli stati.
Il contesto internazionale odierno
Nel contesto internazionale odierno le minacce non sono più quelle di una volta, quelle a cui eravamo abituati, quelle che si potevano concretizzare materialmente e geograficamente in un luogo tangibile e ben definito.
Oggi viviamo nell’era della geografia dell’incertezza, un tempo in cui le sfide sono asimmetriche, in continuo divenire, in perenne mutamento, esse viaggiano sul web, sono rivolte contro l’intero sistema e non mirano solo a colpire bersagli militari o politici, ma interessi commerciali, industriali, scientifici, tecnologici e finanziari.
Questo porta l’intelligence ad accentuare e potenziare il suo target di contrasto economico, onde opportunamente strutturarsi su compiti nuovi, ovvero proteggere non solo l’intero sistema, ma anche gli anelli deboli della filiera produttiva.
Tutto ciò esige un cambio di mentalità, di modi di operare e un aggiornamento continuo, specie a livello di cultura aziendale, richiede, soprattutto, una stretta interazione dell’intelligence economica con il settore privato, con tutte le problematicità che ne possono derivare.
A causa, pertanto, di questa fluidità ed incertezza delle attuali relazioni internazionali, sempre più caratterizzata dalla competizione geoeconomica, lo Stato è tornato, di conseguenza, ad essere un soggetto economico attivo, con il compito di catalizzare le esigenze del settore produttivo nazionale, trovandosi così costretto, attraverso l’agire dei governi, a riformare il suo assetto in modo tale da mantenere la propria competitività all’estero e diventare, all’interno dei propri confini, il garante della stabilità e dello sviluppo sociale.
In questo nuovo ambito s’innesta, dunque, la preziosità dell’intelligence economica, vale a dire di quella branca della geopolitica economica che impone la cooperazione tra il settore pubblico e quello privato, favorendo la visione strategica del sistema-paese.
Essa consiste nella raccolta e nell’elaborazione di tutte quelle informazioni che possono essere rilevanti per il settore economico e sulla base delle quali si possono effettuare delle scelte operative ponderate, costituendo, a tale stregua, uno strumento di potere a disposizione dei paesi in cui la sfera pubblica e quella privata comunicano e si coordinano.
Intelligence economica, un concetto in continua evoluzione
L’intelligence economica è, oggi più che mai, un settore in continua evoluzione, non perfettamente ascrivibile ai canoni accademici, ma che affonda le proprie radici su materie scientifiche assai note, al cui interno il ruolo principale viene svolto dall’analista, inteso quale figura chiamata a realizzare i dettami di questa disciplina, combinando l’azione d’intelligence, storicamente legata alla tradizionale protezione degli interessi politici e militari del Paese, all’azione di analisi ed elaborazione di scenari, tipica invece del contesto scientifico, economico e aziendale.
L’intelligence economica ha avuto come principale elemento propulsore la tutela degli interessi economici, scientifici e industriali, operazione la cui regia può essere interpretata dagli organismi istituzionali, dalle aziende o dalla loro azione coordinata.
In questa cornice, quindi, la sicurezza e la competitività di ogni singola azienda diventano gli assi cartesiani di una più importante equazione della sicurezza e della competitività del Sistema Paese, in modo tale da far sì che intelligence “istituzionale” ed intelligence “aziendale” individuino modalità d’incontro e condivisione di informazioni, nel rispetto della riservatezza e dei propri ruoli, concretizzando la tassativamente non rinunciabile esigenza di fare “Sistema Paese”, unendo gli sforzi di collaborazione tra Stato, aziende, mondo accademico, società civile e singoli individui.
Questa compattezza d’intenti si è resa necessaria perché se nel periodo della Guerra Fredda imperava la geostrategia, oggi le tematiche geoeconomiche rivestono un ruolo sempre più determinante, in quanto questi cambiamenti sono dovuti ad una serie di fenomeni correlati: da una parte, è venuto meno un sistema rigido e onnicomprensivo, quello bipolare segnato dallo scenario dello scontro est-ovest, mentre dall’altra, si è registrata una straordinaria accelerazione dello sviluppo del processo di globalizzazione, che ha reso i sistemi nazionali più interconnessi e in concorrenza.
Di pari passo con questi eventi, i governi si sono trovati a doversi confrontare e competere, non tanto sulla base della loro potenza bellica, soprattutto per quanto riguarda i Paesi più sviluppati, ma della loro forza economica, determinando che, conseguentemente, il peso politico di ciascun attore ha iniziato a dipendere sempre più strettamente da variabili economico-finanziarie, piuttosto che da quelle militari.
Allora se, come appare assodato nell’attuale modernità dei tempi, quello dell’intelligence economica è un concetto in piena trasformazione, che va implementandosi in tutti i Paesi, siano essi industrializzati o in via di sviluppo, con obbiettivi e interessi diversi a seconda di quelle che sono le peculiarità nazionali da tutelare o da promuovere, esso, all’interno di uno Stato non può essere ricondotto alla sola azione dei suoi Servizi d’Informazione, su tematiche economiche e finanziarie, ma deve identificarsi in un sistema integrato, di cui l’informazione è certamente il pilastro portante.
All’interno di questo sistema ci saranno quindi, da un lato, gli attori economici, pubblici e privati, nazionali e locali, che definiscono gli obiettivi a cui collegare la richiesta di informazione, mentre dall’altro, coloro che dovranno utilizzare quell’informazione per prendere le decisioni strategiche, siano esse finalizzate ad un beneficio individuale o ad uno collettivo.
Presupposto fondamentale, affinché sussista e funzioni questo sistema integrato di intelligence economica, è la definizione degli obiettivi comuni e l’allineamento su conoscenze e competenze di condivise e di pari livello, che devono caratterizzare gli attori dell’intelligence economica, aziende come istituzioni, decisori come analisti.
In altre parole, s’intende un dispositivo nazionale d’intelligence economica, che preveda sia la creazione di strutture apposite statali ed aziendali, sia la diffusione di una mentalità e di una cultura d’intelligence più consapevole delle minacce e delle opportunità offerte dall’attuale competizione internazionale.
L’importanza dell’informazione e la centralità del fattore umano
L’informazione economica è sempre stata una delle priorità delle società umane, poiché la catena produttiva, le fonti di materie prime e le minacce che a queste potevano essere rivolte, erano in grado di costituire la causa stessa della vita o della morte di una collettività.
La conoscenza dell’ambiente economico ha rappresentato dunque, in ogni tempo, una fonte di preoccupazione ed ha sempre suscitato la massima attenzione, non solo dell’autorità governativa, ma anche degli attori privati.
Questo tipo di dato può, infatti, modificare direttamente i livelli d’occupazione e di reddito, decretando la sopravvivenza o la scomparsa, non solo di singole aziende, ma anche d’interi comparti industriali.
A questa dialettica è, dunque, inevitabilmente legata “l’informazione” ed il valore della sua qualità, che deve essere sempre capace di supportare le scelte più giuste da parte dei decisori, onde poter essere considerata valida e performante.
Allora, se “l’informazione è potere” ed il suo controllo è da sempre il principale strumento di gestione del mondo, essa diventa, nell’attuale società liquida di Bauman, la merce più preziosa per qualsiasi attività umana, in particolar modo per quella economica e d’intelligence
E qui, pertanto, che incontriamo la vera essenza dell’intelligence economica moderna, quella peculiarità che la contraddistingue maggiormente da tutte le altre forme similari di conoscenza, ovvero che alla fine, la vera forza di queste strutture d’intelligence risiede nella diversità dei suoi appartenenti, nella poliedricità dei talenti che ne fanno parte, in definitiva nelle persone e nella loro brillante capacità di sapersi adattare proficuamente e con rapidità ad ogni possibile contingenza.
Questa visione che anche nell’era cyber, “l’uomo conta” e molto pure, e che la ricerca informativa condotta attraverso di egli rappresenta e rappresenterà, ancora per molto tempo, lo strumento conoscitivo più importante e prezioso, rappresenta l’humus della sfida dell’attuale intelligence economica alla modernità ed in particolare a tutto il cosmo dell’intelligenza artificiale.
Da ultimo ma non per ultimo, l’altra chiave di lettura della profondità di analisi del sistema d’intelligence contemporaneo, tesa a sostenerne la sua competitività internazionale, risiede nell’aver compreso l’esigenza di contrastare, nella formazione delle classi sociali deputate alla guida del paese, l’odierna limitazione nelle figure dedite alla vita pubblica, che consiste nell’avere sempre più “politici”, ossia persone dedite ai problemi contingenti per avere il consenso immediato, e sempre meno “statisti”, costruttori di stati, che affidano le loro scelte al giudizio della storia.
Eppure il processo di globalizzazione ha estremo bisogno dei secondi, di persone capaci di vedere lontano, al di là dell’oggi e delle loro nazioni, e di costruire assetti giuridici che prevengano le crisi economiche e propizino lo sviluppo nell’intero pianeta.
La cultura d’intelligence economica necessita, quindi, di “geostatisti”, ossia di appartenenti alle classi dirigenti le cui scelte devono essere ispirate da una sana realpolitik, ma anche avendo cura che l’itinerario delle loro azioni deve essere altrettanto chiaro sulla traccia della ragione dei molti, come pretende la democrazia, e non dei pochi, come inevitabilmente accade negli autoritarismi.
D’altro canto occorre dire che le “tecniche” non bastano in questo settore, in quanto “people make the difference” o, se si preferisce, quelli tra essi dotati di maggiore coraggio e visione strategica.
I dettati dell’intelligence economica sono importanti, ma i leader e le persone che li applicano lo sono di più: è l’uomo che fa la differenza.