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TematicheRussia e Spazio Post-sovieticoIntegrazione o autosufficienza. Il dilemma del Cremlino

Integrazione o autosufficienza. Il dilemma del Cremlino

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Secondo una convinzione a lungo diffusa, la globalizzazione e un mercato integrato guidato dai principi del liberalismo avrebbero agito da fattori di prevenzione e deterrenza del “fenomeno-guerra”. Tuttavia, la guerra in Ucraina ha tragicamente smentito questa convinzione.

Il presente articolo riproduce parzialmente i contenuti di un contributo degli autori per l’edizione del 28 luglio di “Scenari”, inserto di geopolitica del quotidiano “Domani”.

La Russia e la globalizzazione: tentativi e fallimenti

Con la fine della Guerra Fredda, le diverse Amministrazioni statunitensi si sono confrontate ripetutamente con due questioni complementari: come ottenere dalla Russia il riconoscimento del primato globale americano e, contestualmente, come integrarla nei processi di globalizzazione? 

Negli anni Novanta, l’Amministrazione Clinton aveva promosso una vera e propria politica del Russia first, ovvero una scelta di engagement costruttivo verso Mosca finalizzata a perseguire tre obiettivi prioritari: la denuclearizzazione dello spazio postsovietico, la transizione democratica della Russia e il consolidamento di un’economia di mercato. Se il primo obiettivo è stato conseguito con un indubbio successo, gli altri due hanno visto un percorso decisamente altalenante. 

Con l’insediamento dell’Amministrazione Bush, invece, la Casa Bianca ha promosso un approccio cauto alla Russia finalizzato a promuovere obiettivi più limitati ma più facilmente conseguibili. In particolare, il controllo degli armamenti, la creazione di un meccanismo di cooperazione tra Russia e la Nato (il Nato-Russia Council) e il contrasto al terrorismo. Per la loro portata meno ambiziosa, tali obiettivi sono stati conseguiti, sebbene non siano mancate fratture e frizioni sfociate nell’intervento russo in Georgia del 2008

Negli anni dell’Amministrazione Obama, la Casa Bianca tentò un nuovo dialogo con Mosca, ma ancora una volta i timidi risultati del primo mandato furono seguiti da un progressivo irrigidimento delle relazioni nel secondo. Nel secondo mandato di Obama infatti l’intervento russo in Crimea, a seguito di Euromaidan, provocò una profonda frattura nel rapporto tra le due potenze. Tale crisi fu ulteriormente alimentata dalla successiva operazione militare russa in Siria, che dimostrò la volontà russa di tornare a ricoprire un ruolo di primo piano anche al di fuori dello spazio post-sovietico. Infine, il tentativo di Mosca di influenzare le elezioni presidenziali del 2016 portò a un aspro contrasto con Washington, che diede nuovo impeto alla percezione statunitense della Russia come vero e proprio sfidante, insieme alla Cina, dell’ordine liberale. Tali elementi portarono quindi l’Amministrazione Trump a non tentare un reset delle relazioni con Mosca, reso impossibile anche dalla contemporanea esplosione del “Russiagate”, che avrebbe gettato un’ombra su qualsiasi iniziativa di engagement con Mosca. Con uno stile molto diverso, ma con gli stessi obiettivi e percezione delle minacce, l’Amministrazione Biden, infine, ha dato seguito all’azione della presidenza Trump, considerando Mosca e Pechino le principali minacce alla stabilità dell’ordine liberale.

La guerra in Ucraina e le ripercussioni sulla globalizzazione

Se, quindi, da una parte, la globalizzazione non è stata un contrappeso forte abbastanza da prevenire una disputa militare, dall’altra ha conferito maggior influenza economica e politica alla Russia, che non senza difficoltà è riuscita a mantenere il ruolo di importante fornitore di risorse energetiche per l’Occidente, l’Europa in particolare. Davanti al bivio tra la difesa dell’Ucraina e una maggiore integrazione in nome della globalizzazione, l’Amministrazione Biden ha scelto il primo obiettivo, lasciando indietro il secondo. 

Di fronte al tentativo occidentale di contenere piuttosto che incoraggiare l’integrazione della Russia nell’economia globale e alla risposta russa di sottrarsi alla partecipazione ad essa, Mosca ha davanti a sé due strade percorribili. Quella dell’autosufficienza economica e quella di una maggiore integrazione nel mercato non occidentale.

L’autosufficienza privilegia il controllo interno rispetto alla crescita economica derivata dal mercato globale integrato. Dal punto di vista economico comporta la riduzione e la sostituzione delle importazioni per favorire la produzione interna. Dal punto di vista politico, implicherebbe un rafforzamento del potere centrale e di conseguenza ulteriori pressioni e limitazioni all’opposizione. Tuttavia, non è chiaro quanto questo percorso possa essere sostenibile. 

Per quanto riguarda invece la maggiore integrazione nei mercati non occidentali, ciò potrebbe compensare sia il declino delle relazioni con l’Occidente che gli effetti delle sanzioni, grazie a partnership commerciali e alleanze politiche, specialmente con i Paesi dell’Asia. Tuttavia, il potenziale economico di questo tipo di relazioni geopolitiche non è ancora chiaro. 

La Russia, pertanto, è ancora alla ricerca di una risposta coerente al fallimento della globalizzazione sovrana senza rinunciare ai principi su cui si basa. Quale che sia la strada che Mosca sceglierà di perseguire, o se combinerà questi due approcci, come sembra aver iniziato a fare, la globalizzazione assumerà una forma nuova. 

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