La conferenza stampa che si è tenuta il 20 novembre 2019 nel locali del Senato con ospite d’onore Joshua Wong, collegato via Skype da Hong Kong, organizzata dal Partito Radicale e dal Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella” è stata al centro dell’attenzione mediatica nelle scorse settimane. Polemiche che riaprono il dibattito sulla firma del MOU, sui delicati rapporti con la Repubblica Popolare cinese e sulla sempre più intensa proiezione cinese in Italia. “L’ingerenza nella dialettica politica e parlamentare italiana”, come è stato definito dalla Farnesina il commento dell’ambasciatore cinese in Italia, ha trovato unanimi commenti in Parlamento e Senato ma c’è il rischio di ridurre la vicenda a una semplice anticipazione della campagna elettorale.
L’incontro promosso da Adolfo Urso (Fratelli d’Italia), Laura Harth (Partito Radicale) e Giulio Terzi di Sant’Agata era stato pensato per consentire a Joshua Wong, uno dei leader dell’Umbrella Movement di Hong Kong del 2014, di spiegare il punto di vista dei manifestanti che da ormai 6 mesi stanno protestando contro l’amministrazione guidata da Carrie Lam.
Tra il pubblico erano presenti Enrico Aimi (Fi), Andrea Delmastro Delle Vedove (Fdi), Valeria Fedeli (Pd), Fabio Rampelli (Fdi), Lucio Malan (Fi), Federico Mollicone (Fdi), Manuel Vescovi (Lega) e l’ambasciatore di Taiwan in Italia Andrea Sing-Ying Lee. Joshua Wong ha criticato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio per la scarsa attenzione nei confronti delle violazioni dei diritti umani nelle proteste di Hong Kong. Wong ha ricordato come “non ci sono pasti gratis”, in un chiaro riferimento all’MOU recentemente siglato tra l’’Italia e la Repubblica Popolare cinese. I vari oratori hanno sottolineato la necessità di esprimere solidarietà alla popolazione hongkonghese e i pericoli di una proiezione cinese sempre più evidente in Italia. Sia i relatori sia Joshua Wong hanno poi ricordato la presenza dell’ambasciatore taiwanese in sala. Le relazioni tra l’ex colonia britannica e Taiwan sono molto strette da anni, si tratta di un rapporto culturale, economico e di amicizia solido. Secondo autorevoli analisti la crisi di Hong Kong ha mostrato il fallimento del “one country, two system”, una soluzione che era sta proposta da Deng Xiaoping nel 1979 proprio per Taiwan e che è stata recentemente menzionata da Xi Jinping per le gestione della transizione taiwanese verso una riunificazione con Pechino.
L’attenzione mediatica è stata generata dalle reazione dell’ambasciatore della Repubblica Popolare cinese in Italia Li Junhua che ha commentato l’incontro in maniera molto dura. Nella fase conclusiva del comunicato stampa, l’ambasciatore attacca in maniera diretta i politici che hanno partecipato all’incontro: “Alcuni politici italiani hanno ignorato i fatti appena descritti e hanno voluto con determinazione fare la videoconferenza con Joshua Wong, fornendo una piattaforma per un separatista pro-indipendenza di Hong Kong e appoggiando la violenza e il crimine. Si è trattato di un grave errore e di un comportamento irresponsabile per cui siamo fortemente insoddisfatti ed esprimiamo la nostra più ferma opposizione. Vogliamo ribadire che gli affari di Hong Kong appartengono alla politica interna della Cina e nessun paese, organizzazione o singolo ha alcun diritto di interferirvi. Speriamo che le persone coinvolte rispettino la sovranità cinese e si impegnino in azioni che aiutino l’amicizia e la cooperazione tra Italia e Cina e non il contrario.”
Proprio la fase conclusiva riporta delle vere e proprie minacce, con la menzione della cooperazione tra Italia e Cina. Ossia l’ambasciatore sembra voler ricordare alle istituzioni italiane la cruciale importanza del mercato cinese per l’export del nostro paese e le molte iniziative economiche in atto tra Roma e Pechino. La risposta della politica non si è fatta attendere, da tutti gli schieramenti è stata espressa piena solidarietà verso i colleghi che hanno preso parte alla conferenza. Un posizione ovvia, visto che la politica è libera di esprimersi rispetto ad eventi che hanno luogo al di fuori dei confini nazionali e la partecipazione ad un convegno per discutere di dinamiche della politica internazionale non può costituire un elemento di ingerenza nelle questioni interne degli altri stati. Gli osservatori hanno criticato la reazione del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che ha inizialmente preferito rilasciare una nota della Farnesina per intervenire solo dopo richieste esplicite dell’opposizione e della maggioranza sull’argomento. La presa di posizione dell’ambasciata della RPC arriva a pochi giorni dall’incontro con il fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, un’altro episodio che aveva generato molte polemiche.
La proiezione della Cina in Italia sembra essere sempre più invasiva, molti giornalisti ed analisti stanno direttamente collegando questo approccio con la firma del MOU. La principale accusa mossa al precedente governo è stata quella di aver avallato un’atto con forte valenza politica, senza il consenso degli alleati diplomatici. Una difesa postuma del Memorandum appare totalmente inutile, alla luce degli attuali avvenimenti politici, ma è tuttavia necessaria per commentare l’approccio alla politica estera italiana in Cina. Il MOU è stato probabilmente una mossa azzardata da parte del governo giallo verde, o meglio la valenza politica che è stata volutamente disegnata attorno all’accordo ha determinato un posizionamento dell’Italia eccessivamente sbilanciato. Bisogna tuttavia ricordare come quell’accordo era il frutto del lavoro svolto dal precedente governo, attivissimo nella Repubblica Popolare cinese.
In questi giorni la proiezione italiana verso Pechino sembra rientrare nella consueta polarizzazione del dibattito di politica interna. Un approccio che ha di fatto trasformato qualsiasi valutazione sulle relazioni italo cinesi in una sorta di opposizione tra Pro Cina e Anti Cina. Mentre andrebbe riconsiderato l’approccio nei confronti di Pechino negli ultimi venti anni ma soprattutto il nuovo corso della politica cinese, molto più assertiva.
Ci troviamo di fronte a una attivismo cinese in Italia che non ha precedenti, l’attenzione alle vicende politiche del nostro paese è altissimo a Pechino. La “proiezione benevola” della Cina sembra interessare l’Italia in maniera sempre più intensa. La nostra posizione nel mercato cinese è abbastanza fragile, l’export va sempre meglio ma siamo soggetti a possibili ritorsioni in maniera maggiore rispetto ai nostri partner europei. L’eccessiva polarizzazione dei rapporti, l’uso continuo di dinamiche internazionali per fini interni ci ha reso ancora più fragili nei confronti di Pechino. Il delicato rapporto con la Repubblica Popolare cinese dovrebbe essere incluso all’interno di una riflessione più ampia sull’azione di Pechino in altri paesi, Australia e Nuova Zelanda su tutti, e sulla peculiare proiezione cinese nel mondo. Senza creare inutili contrapposizioni tra schieramenti Anti Cina e Pro Cina, ma considerando in maniera prioritaria l’interesse nazionale e la necessità di preservare la sovranità nazionale in temi delicati come quello delle infrastrutture tecnologiche. Senza ricondurre scelte strategiche e dinamiche di politica internazionale a semplici appendici di campagna elettorale.