L’incidente di Galwan al confine tra il Ladakh e la Cina nella notte del 15 Giugno ha segnato uno spartiacque nelle relazioni tra Cina e India, ristabilite ufficialmente dopo il conflitto degli anni Sessanta, con la visita del Primo Ministro indiando Rajiv Gandhi nel Dicembre 1988.
L’incidente ha segnato un duro colpo, rompendo un’armonia che durava almeno dal 1975, anno dell’ultimo scontro sanguinoso nella zona. Nonostante i sentimenti di disappunto e di rabbia- dovuti specialmente alla natura barbara dell’incidente- sembra esserci un consenso generale nell’evitare qualsiasi tipo di conflitto.
Nell’ultimo scontro avvenuto nella valle di Galwan nella regione dell’Aksai Chin, cioè il Ladakh controllato dai cinesi ma rivendicato da Delhi, venti soldati indiani sono stati uccisi in uno scontro lungo la linea di controllo tra India e Cina (Line of Actual Control). I dati ufficiali riportano un numero complessivo di venti soldati indiani uccisi, mentre Pechino sorvola sull’effettivo numero delle vittime. La causa ufficiale nell’ultimo scontrosarebbe la costruzione di una strada dagli indiani lungo il fiume Shyok utile per rifornire di uomini e armi le postazioni in caso di conflitto.
All’indomani dell’incidente entrambe le parti si sono affrettate a creare un dialogo sia tramite canali militari che diplomatici per stemperare la tensione lungo il confine. I due ministri degli Esteri, l’indiano Subrahmanyam Jaishankar e il cinese Wang Yi, hanno avuto un colloquio telefonico. Successivamente in una conferenza stampa del 24 giugno, il portavoce del ministero cinese della difesa Nazionale Wu Qian ha attributo all’India l’intera responsabilità degli scontri. Il funzionario ha inoltre ribadito la sovranità della Cina sulla regione della valle di Galwan, e ha affermato che le truppe cinesi sono state costrette ad intervenire in risposta all’avanzare delle truppe indiane e alla costruzione di infrastrutture nella zona già a partire da aprile. La stampa indiana ha invece riferito che i soldati cinesi sono entrati nel territorio indiano in diversi punti occupando centinaia di chilometri quadrati di quello che l’India considera un suo territorio.
La vicenda ha provocato la reazione del popolo indiano già stremato dal lockdown e dalla crisi economica, che ha manifestato per le strade delle città bruciando foto del presidente cinese Xi Jinping, mentre il Ministero dell’Elettronica e dell’Informatica è intervenuto concretamentebloccando 59 tra le migliori app cinesi tra cui Tik Tok e Wechat.
Ma nonostante le accuse reciproche e un malcontento generale, è emersa da entrambe le parti la volontà e la necessità di mantenere delle relazioni stabili. Questo è stato il punto fondamentale delle affermazioni dell’Ambasciatore Cinese in India Sun Weidong durante un incontro organizzato dall’Institute of Chinese Studies di Delhi, in cui ha sottolineato più volte lanecessità di mantenere “pace e tranquillità” fra i due paesi. L’Ambasciatore nel suo discorso ha ripercorso i 70 anni delle relazioni tra Cina e India, ponendo l’enfasi sulla volontà e la necessità di entrambi di continuare su questa linea. Come rappresentate della Cina in India, ha affermato che la ricchezza e la prosperità dei due paesi asiatici può realizzarsi solamente con il mantenimento di relazioni pacifiche che ne consentano la crescita e lo sviluppo. Entrambi i paesi, nonostante le profonde differenze, hanno lavorato duramente sotto la guida dei loro leader per raggiungere importanti risultati e hanno sempre cercato una soluzione attraverso il dialogo e il confronto. L’Ambasciatore ha concluso insistendo sul ripristino dello status quo precedente i contrasti e sottolineando la volontà della Cina nel continuare a sviluppare e far progredire le relazioni tra i due paesi.
Attualmente, dopo ripetuti incontri, i due paesi concordano sulla necessità che una guerra sarebbe controproducente per entrambi e hanno raggiunto un accordo sull’ulteriore disimpegno delle truppe di prima linea nella parte occidentale del confine. Come ha sostenuto l’ex Ambasciatrice Nirupama Rao in un seminario del 22 luglio scorso: “L’India deve essere molto cauta nel fare la prossima mossa. Le implicazioni delle scelte fatte per gestire questa crisi avranno profonde ripercussioni, e quindi emerge la necessità di un pensiero coerente. L’india potrebbe optare per il completo disimpegno con la Cina non solo sul fronte militare e della sicurezza, ma anche sul commercio, sugli investimenti, sulle innovazioni, e in molti altri settori. Ma tradizionalmente per l’India il bilanciamento è al centro dell’azione politica. Quindi è necessario avere un approccio diplomatico e calibrato che porti un futuro più sicuro della guerra o di un conflitto armato.”