La Shanghai Cooperation Organization (SCO) si è riunita a Samarcanda il 15 e il 16 settembre. Nell’agenda ci sono: la guerra in Ucraina, un maggiore impegno nella promozione della cooperazione tra gli Stati membri, i rapporti sino-russi e il tentativo cinese di corroborare i rapporti con i paesi centrasiatici per uscire dall’atassia che ha colpito la Belt and Road Initiative (BRI).
Il Presidente della Repubblica Popolare Cinese compie il suo primo viaggio dall’inizio del 2020, rimarcando l’importanza che la SCO rappresenta per la proiezione geoeconomica di Pechino. Samarcanda assolve anche un ruolo fortemente simbolico in quanto città pilastro delle antiche vie della seta e che oggi ospita l’incontro multilaterale attraverso il quale Pechino tenta di riabilitare la BRI. Quest’ultima è stata fortemente tacciata negli ultimi anni di immobilismo, critica che è stata rafforzata dal fenomeno pandemico.
Attraverso gli incontri la Cina Popolare ha tentato di dare maggiore enfasi ai progetti infrastrutturali che abbracciano l’Eurasia con l’obiettivo di divenire il pilastro regionale, assolvendo a ruolo dell’Impero del Centro inscritto nel suo stesso nome: “Zhōngguó” che significa appunto “paese centrale”. Gli incontri sono stati poi il vettore attraverso il quale lo stesso Presidente cinese ha voluto corroborare la sua posizione interna in vista del terzo mandato che gli sarà assegnato al ventesimo Congresso del Partito Comunista che si terrà il 16 Ottobre. Come affermato pocanzi, le BRI soffrono di immobilismo, inoltre l’ultimo periodo della Cina è stato caratterizzato da una crescita economica ben lontana dai tassi di crescita precedenti a causa della nuova ondata pandemica a cui Pechino ha deciso di rispondere con serrati lockdown. Inoltre, il Partito Comunista deve vedersela con il potenziale scoppio della bolla immobiliare e con il caso Taiwan. Presi insieme tali fattori possono intralciare il percorso che porterebbe Xi verso un nuovo mandato e minare la relativa stabilità interna, urge quindi riassestare la postura geopolitica di Pechino. La ventiduesima riunione del Consiglio dei Capi di Stato della SCO a Samarcanda ha pertanto tale obiettivo.
In primo luogo, dall’incontro emerge una Cina maggiormente assertiva nella promozione delle sue opere infrastrutturali, se la crescita economia interna rallenta, una maggiore presenza geoeconomica a livello internazionale dovrebbe stimolare la ripresa della domanda e quindi della produzione. Pertanto, le dichiarazioni di Xi Jinping hanno spronato i membri della SCO ad una maggiore cooperazione economica, presentando la Cina quale unico attore interessato allo sviluppo dell’aerea centrasiatica. Pechino ha magnificato la sua presenza nella regione asserendo che è poco interessata agli “approcci di blocco”, strategici ed ideologici, messaggio volto al rivale statunitense. In un articolo pubblicato sul Global Times emerge perfettamente la funzione dell’incontro: contrasto all’accerchiamento della Cina nel continente eurasiatico e nell’Indo-Pacifico operato da Washington. All’interesse strategico statunitense, si legge nell’articolo, Pechino risponde con una politica internazionale che poggia sulla cooperazione vantaggiosa per tutti, sull’uguaglianza tra le nazioni, sull’apertura e l’inclusività, sull’equità e sulla giustizia. Messaggi che hanno sicuramente valore cosmetico nei riguardi della Repubblica Popolare celando gli interessi strategici nell’area centrasiatica.
Una delle novità apportate dalle riunioni di Samarcanda è l’ingresso a pieno titolo dell’Iran nell’organizzazione, a cui prima partecipava come mero osservatore. L’ingresso corrobora l’allontanamento dell’Iran dall’Occidente, dinamica già emersa durante i negoziati sul JCPOA. per Tehran l’ingresso a pieno membro nella SCO rappresenta la possibilità di sfuggire dalle sanzioni occidentali collaborando con attori diversi dalla leadership occidentale. Ciò tuttavia potrebbe complicare i rapporti che Pechino intrattiene con le monarchie del Golfo da cui dipende dal punto di vista energetico e dal punto di vista geostrategico. Pertanto, eventuali controversie legate alla posizione che la Cina assume nei confronti dell’Iran potrebbero compromettere la relativa facilità con cui Pechino opera nello stretto di Bab el-Mandeb attraverso la base a Gibuti. Sarà pertanto complicato per Pechino rassicurare paesi come l’Arabia Saudita, a cui al momento le assegna un posto nella SCO come dialogue partners, insieme all’Egitto e al Qatar. Tuttavia le complicazioni non insistono solo nel contesto mediorientale, difatti all’interno della SCO troviamo Pakistan ed India, da tempo rivali per la questione del Kashmir; la stessa Pechino si è scontrata con New Delhi nel 2020 per questioni confinarie; Kirghizistan e Tagikistan hanno avuto scontri confinari a cui hanno successivamente provveduto attraverso un cessate il fuoco concordato durante gli incontri di Samarcanda; a questi si aggiungono il conflitto tra Baku e Erevan ed infine la rivalità strategica tra Tehran e Ankara. Se si tiene conto delle rivalità che vertono nella zona centrasiatica, sembrerebbe un’operazione piuttosto ardua tentare di costruire quelle relazioni reciprocamente vantaggiose di cui Pechino ha parlato nelle riunioni. Si deve tener conto inoltre che la ritirata statunitense dall’Afghanistan ha lasciato in mani cinesi uno dei contesti più ardui da gestire e che storicamente ha destabilizzato il Medio Oriente.
Ultima, ma non in ordine di importanza, questione da analizzare è il rapporto sino-russo emerso dal multilaterale. Mosca è arrivata all’incontro nel momento in cui Kiev sta portando avanti l’avanzata nella provincia di Kharkiv; non solo, le sanzioni hanno cominciato a manifestare i primi effetti sulla capacità russa di produrre armamenti attraverso la componentistica che spesso arrivava dall’occidente. Pechino, d’altro canto, continua a mantenere una posizione di ambiguità in riguardo alla guerra in Ucraina. Pur riconoscendo quindi l’avanzata della Nato come un problema – che vive peraltro sulla propria pelle al largo del Mar Cinese Meridionale – non sostiene militarmente l’offensiva russa. La penuria di armamenti ha portato Mosca a dover chiamare in causa i droni iraniani e la produzione di armi della Corea del Nord. Grande assente è quindi Pechino, nonostante qualche giorno prima dell’offensiva, Putin aveva siglato con Xi la “partnership senza limiti”. Mosca, tuttavia, non intende mostrarsi isolata dal mondo, come invece narrano gli occidentali, sottolineando il fatto che agli importanti forum come la SCO partecipa circa il 40% della popolazione mondiale. Il problema che Mosca non vuole però accettare è che la SCO è fortemente a guida cinese, fattore che ci restituisce una Russia sempre più subordinata a Pechino. Elementi che certificano tale tendenza sono ad esempio: la visita di Xi in Kazakistan, dove ha rassicurato Astana per la propria indipendenza, messa in pericolo dalla minoranza russa che abita la zona settentrionale del paese; la capacità con cui Pechino penetra economicamente nelle ex repubbliche sovietiche ed infine la diversa postura che Mosca e Pechino hanno a riguardo delle reciproche problematiche geopolitiche. Mentre Mosca riconosce le ambizioni pechinesi sull’isola di Formosa, Pechino non sostiene l’offensiva russa in Ucraina poiché mette in pericolo uno dei paesi su cui viaggiano le BRI.