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In Nagorno Karabakh a vincere è Baku, ma anche Mosca

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Si è concluso, con un accordo siglato lo scorso 9 novembre, il conflitto tra Armenia e Azerbaijan per il controllo della regione del Nagorno Karabakh.  La decisiva mediazione russa ha condotto al tavolo delle trattative le parti in causa, creando le condizioni per un cessate il fuoco duraturo grazie all’invio di una forza di peacekeeping. Cosa comporta l’accordo? Quali sono le sue conseguenze? 

“Cari compatrioti, sorelle e fratelli , ho preso una decisione molto difficile per me e per tutti noi”, con queste parole ha inizio il discorso del Primo ministro armeno Nikol Pashinyan, che ha comunicato dolorosamente al popolo armeno di aver firmato un accordo di cessate il fuoco con l’Azerbaijan grazie alla mediazione della Russia. Si conclude in questo modo, dopo 44 giorni, il conflitto tra Baku e Yerevan nella regione del Nagorno-Karabakh.“Ho preso questa decisione dopo un’analisi approfondita degli sviluppi militari e dopo aver consultato le persone che conoscono la situazione al fronte”. Dopo il lancio della nuova offensiva azera delle ultime due settimane, che ha condotto alla cattura dei villaggi nella parte meridionale della c.d. Repubblica di Artsakh, era divenuto sempre più insostenibile per l’Armenia contenere l’avanzata dell’esercito di Baku. L’apogeo dell’offensiva delle truppe azere è stato raggiunto con la definitiva capitolazione di Shusha, seconda città per numero di abitanti della regione e baricentro strategico per il controllo del Nagorno Karabakh grazie alla sua posizione geografica rialzata. L’annuncio della presa della città è stato dato dal Presidente azero Aliyev l’8 novembre ed è stato confermato dal Portavoce del Presidente dell’Artsakh, Poghosyan. Grazie al controllo di Shusha, le truppe azere si trovavano a 15 km dalla capitale dell’Artsakh, Stepanakert, ultima roccaforte armena nella regione. Gli oltre quaranta giorni di combattimento hanno visto una netta superiorità aerea azera, raggiunta in particolar modo grazie al contributo fondamentale dei droni turchi Bayraktar TB2 e dei missili israeliani LORA. Questi ultimi sono stati utilizzati per il bombardamento della fondamentale arteria che collegava Shusha con il territorio armeno, isolando di fatto le truppe di Yerevan dal ricevere supporto logistico. L’Azerbaijan è stato il primo ed unico paese al quale Israele ha ufficialmente venduti i missi LORA dopo un accordo siglato nel 2018. I superiori sistemi d’arma azeri hanno anche contribuito a vincere nettamente la battaglia sul piano della narrativa. Il Ministero della Difesa azero ha costantemente inondato i propri canali mediatici di immagini di obiettivi militari armeni bersagliati dai propri sistemi d’arma. I droni TB2, di fattura turca, possiedono infatti videocamere che permettono di riprendere in alta definizione la distruzione del target. Tutto ciò ha contribuito ad alimentare la percezione di un completo dominio militare di Baku.  

L’intervento russo per il cessate il fuoco

La disfatta totale armena è stata tuttavia evitata dall’intervento diplomatico della Russia. Mosca era rimasta per lo più in silenzio fino alla caduta di Shusha, limitandosi all’invio di armi all’esercito armeno e alla mediazione di una tregua umanitaria raggiunta il 9 ottobre, ma subito violata dalle parti. La pressione russa ha condotto armeni e azeri al tavolo delle trattative, siglando un cessate il fuoco altamente vantaggioso per Baku. L’accordo, entrato in vigore alla mezzanotte del 10 novembre, prevede la cessione in mano azera delle regioni di Aghdam, Kelbajar, Lachin e l’exclave di Gazakh, oltre alle porzioni di territorio occupate dall’esercito azero durante il conflitto, inclusa la città di Shusha. Yerevan conserva invece il controllo del corridoio di Lachin, un’area larga 5 km vitale per il mantenimento di una linea di contatto terrestre tra l’Armenia e la capitale della c.d. Repubblica di Artsakh, Stepanakert. Per garantire l’efficacia del cessate il fuoco l’accordo prevede l’invio di una forza di interposizione composta da militari russi, già collocata lungo la linea di contatto in Nagorno Karabakh. Il contingente russo, composto da quasi duemila militari, avrà compiti di peacekeeping per almeno 5 anni, con un’estensione automatica di altri 5 qualora Yerevan o Baku non riterranno altrimenti. Per monitorare il rispetto del cessate il fuoco verrà altresì istituito un centro di controllo, in territorio azero, nel quale saranno presenti anche truppe turche, secondo quanto confermato dal Presidente Aliyev. Per quanto concerne le sorti dei numerosi rifugiati e degli sfollati a seguito del conflitto, l’accordo ne stabilisce il ritorno nei territori del Nagorno Karabakh e nelle aree adiacenti, sotto il controllo dell’ufficio dell’Alto Commissario ONU per i Rifugiati. Il Presidente azero Aliyev ha inoltre affermato che l’accordo prevederà la riapertura di tutti i collegamenti nella regione, con l’Armenia che si impegnerà a fornire dei collegamenti di trasporto di persone e merci dall’Azerbaijan alla Repubblica Autonoma di Nakhchivan. Per la realizzazione di questo punto sarà avviata la costruzione di una infrastruttura che potrebbe potenzialmente permettere lo stabilimento di un collegamento terrestre diretto fra Turchia e Repubblica di Azerbaijan creando de facto un corridoio per il Mar Caspio. 

I vincitori

Non ci possono essere dubbi su chi siano i veri vincitori dopo la firma di questi accordi: Baku e Mosca. L’Azerbaijan è sicuramente il grande trionfatore in questa partita, essendo riuscito non solo a riconquistare gran parte dei territori persi nel ‘93, ma anche ad imporre la propria supremazia militare sulle truppe armene. Con questo accordo Baku ottiene inoltre la possibilità di collegare la Repubblica autonoma di Nakhchivan al proprio territorio, garantendo il ritorno dei profughi azeri e assicurandosi un importante collegamento economico tra le due Repubbliche. A vincere è soprattutto il Presidente Aliyev, il quale è riuscito non solo a cancellare l’onta della perdita del Nagorno Karabakh, ma anche a conquistarne la quasi totalità. Il successo nel conflitto iniziato lo scorso settembre rappresenta la prima vera vittoria militare nella storia dell’Azerbaijan. In questo senso la firma dell’accordo con l’Armenia può essere anche letta come il coronamento di una politica di crescita economica e militare di Baku, che nel corso dei 17 anni di presidenza di Aliyev è stata sempre costante. Il PIL azero è infatti quintuplicato dal 2003, anno di insediamento del Presidente. Baku è stata anche in grado di avviare una solida politica energetica, culminata con la firma dell’accordo intergovernativo sul progetto TANAP con la Turchia, e di stabilizzare la situazione politica interna attraverso la dura repressione del regime. Nel corso di un discorso alla nazione, Aliyev ha sottolineato come gli accordi siglati siano l’immagine della capitolazione dell’Armenia dinanzi all’Azerbaijan, oltre alla rappresentazione della vittoria del multinazionalismo e multiconfessionalismo azero. Il Presidente non ha inoltre mancato di prendersi gioco del PM armeno subito dopo la firma del cessate il fuoco. 

Per quanto riguarda l’altro vincitore, esso non può che essere Mosca, nonostante alcune criticità mostrate nelle relazioni con Yerevan. La Russia è infatti riuscita con un’unica mossa in un fondamentale triplice obiettivo: stabilire una presenza militare diretta nel Nagorno Karabakh; congelare il conflitto fra armeni e azeri nel momento in cui la situazione militare sul campo è stata ritenuta da Putin soddisfacente; ma è anche riuscita nell’obiettivo di delegittimare il PM armeno Pashinyan, considerato dal Cremlino incompatibile con la sua politica estera. 

Il mancato intervento russo in favore dell’Armenia allo scoppio delle ostilità ha permesso all’Azerbaijan di portare avanti la sua offensiva, sostenuta dai sistemi d’arma turco-israeliani e, cosa ancor più grave per Yerevan, ha mostrato quanto Mosca sia poco incline ad intervenire in suo favore. L’Armenia è membro effettivo del CSTO, l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, l’alleanza che racchiude la Federazione russa ed altri 5 stati dello spazio post-sovietico. Nonostante il CSTO non preveda una clausola come l’articolo 5 della NATO, il mancato intervento russo in aiuto di un alleato è sicuramente un forte messaggio agli altri membri del trattato: Mosca ha come priorità la tutela dei propri interessi geopolitici, in questo caso anteposti al suo tradizionale ruolo di protettrice del popolo armeno. Tuttavia, la caduta della città di Shusha e la notizia dell’abbattimento di un elicottero con a bordo tre operatori russi da parte dell’esercito azero hanno di fatto spinto Mosca ad un intervento diretto nel conflitto. Come sottolineato in precedenza, il valore strategico-militare di Shusha ha consentito alla Russia di tracciare una linea rossa su questa città, e l’incidente del Mi-24 abbattuto ha consentito a Putin di esercitare una tale pressione su Baku da impedire alle truppe di Aliyev di continuare l’inarrestabile avanzata verso Stepanakert. Proseguire oltre avrebbe potuto significare un confronto diretto con Mosca. Con questa mossa la Russia si presenta agli occhi degli Armeni come la potenza che ha evitato in extremis la conquista azera di tutta la regione; allo stesso tempo, la libertà di manovra lasciata a Baku nella prima fase del conflitto, ha permesso a Mosca di mantenere intatte le relazioni con un partner strategico come l’Azerbaijan di Aliyev, che si può dire soddisfatto del risultato ottenuto. La firma degli accordi ha inoltre legittimato lo stabilimento di truppe russe nella regione del Nagorno Karabakh, un’ulteriore vittoria per il Cremlino, che aveva proposto questa soluzione già negli anni ‘90 e ancora nel 2015. Un’altra vittoria di Putin è stata sicuramente la delegittimazione del Primo Ministro armeno Pashinyan. La sua elezione è stata il frutto di una rivoluzione di velluto scoppiata nel 2018, che ha condotto l’Armenia ad un graduale allontanamento diplomatico da Mosca. Già nel 2015 il futuro PM armeno aveva dichiarato che “le relazioni russo-armene non si basano su una partnership egualitaria ma piuttosto sulla subordinazione di Yerevan ai diktat di Mosca”. La Russia non ha mai nascosto la sua contrarietà verso il nuovo corso politico avviato dal leader armeno, anche perchè un potenziale scivolamento dell’Armenia verso l’occidente sarebbe stata una gravissima perdita per le aspirazioni russe nel Caucaso meridionale. Con la firma dell’accordo per la cessazione delle ostilità, la Russia è riuscita nel non facile compito di delegittimare completamente Pashinyan di fronte al suo stesso popolo. Il PM armeno è stato infatti immediatamente identificato come il leader che si è piegato dinanzi all’Azerbaijan, colui che ha consegnato a Baku le chiavi del Nagorno Karabakh. 

E la Turchia? Possiamo considerare anche lei una vincitrice in questo conflitto? Il successo dell’Azerbaijan è stato applaudito dalla leadership turca come una propria vittoria. Del resto buona parte del successo militare azero è dipeso dall’impiego di sistemi d’arma di fattura turca, decisivi per soverchiare le forze armene. Ankara ha anche svolto un’importante azione diplomatica nei confronti dei “nostri fratelli azeri turchi” come li ha definiti il Ministro della Difesa turco Hulusi Akar. Occorre sottolineare inoltre come la Turchia sia stata in grado, grazie al suo sostegno all’Azerbaijan, di legittimarsi all’interno di un teatro, quello armeno-azero, fino ad allora appannaggio esclusivo di Mosca, che lo percepisce come il proprio “giardino di casa”. Tuttavia, se i risultati sul campo mostrano quanto la Turchia abbia svolto un ruolo di primissimo piano nel conflitto, altrettanto non può dirsi sul piano diplomatico. La totale assenza di riferimenti ad Ankara all’interno degli accordi è l’indice della volontà russa di estromettere i turchi dal futuro assetto che verrà a crearsi nella regione. Il fatto che sia dovuto intervenire il Presidente Aliyev in persona a chiarire il ruolo della Turchia è indicativo di tutto ciò. Erdogan ha sicuramente messo a segno un importante colpo diplomatico garantendo la vittoria azera, ma il ruolo primario della Russia nella risoluzione del conflitto non è stato mai messo in discussione. Potenzialmente Ankara potrebbe trarre grande vantaggio dall’apertura di un collegamento terrestre tra la Repubblica autonoma di Nakhchivan e l’Azerbaijan, collegamento che permetterebbe la creazione di un corridoio verso il Mar Caspio dalla grande valenza geostrategica. Ma anche in questo caso, la subordinazione della creazione di questo corridoio terrestre al controllo e alla supervisione russa contribuirebbe a diminuire enormemente i potenziali vantaggi turchi. L’altro grande successo messo a segno dalla Turchia riguarda la sua partecipazione nella creazione di un centro congiunto russo-turco per il monitoraggio del cessate il fuoco. Nel corso del suo discorso alla nazione del 10 novembre, il Presidente azero Aliyev ha specificato quanto anche le truppe turche saranno coinvolte nel processo di peacekeeping, senza tuttavia entrare nel merito della questione e limitandosi ad affermare quanto tutto ciò sarebbe stato oggetto di un accordo separato tra Mosca e Ankara. Nella giornata di ieri il Presidente Erdogan ha comunicato di aver firmato un MoU con la Russia con il quale è stato ufficializzato il ruolo delle forze armate turche nella regione: “La Turchia si unirà alle forze di peacekeeping nella regione del Nagorno Karabakh per monitorare l’implementazione dell’accordo con la Russia”. Erdogan ha tenuto a specificare che il centro congiunto russo-turco sarà stabilito “nei territori liberati dall’Azerbaijan”. Tuttavia, pochi minuti dopo, la TASS ha prontamente smentito le parole del Presidente turco. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha infatti fatto notare come non vi sia menzione negli accordi dello schieramento di una forza congiunta russo-turca nel territorio del Karabakh. Peskov ha inoltre specificato come l’area di interazione con Ankara riguarderà esclusivamente il territorio della Repubblica dell’Azerbaijan, ad esclusione dunque dei territori appena riconquistati dagli azeri. Come se ciò non bastasse il portavoce ha ribadito quanto la partecipazione delle truppe turche sarà limitata ad “un semplice centro di osservazione”, ben diverso dal ruolo che svolgeranno i militari russi già schierati nel Karabakh. Nelle prossime ore e nei prossimi giorni sarà probabilmente fatta luce su questi punti rimasti ancora apparentemente irrisolti. Certo è che il successo dell’Azerbaijan è stato già venduto all’opinione pubblica turca come un successo del “popolo turco” contro i vicini armeni, rinforzando l’immagine del Presidente Erdogan davanti ad un elettorato che sperimenta già da mesi sulla propria pelle le conseguenze economiche della politica muscolare di Ankara. La Turchia può essere senza dubbio annoverata fra i vincitori di questo conflitto, anche solo per essere riuscita ad ottenere concessioni in un’area dove da più di due secoli non aveva voce in capitolo, tuttavia i suoi guadagni potrebbero essere molto inferiori rispetto a quanto atteso da Erdogan. 

Ne oldu Pashinyan?

“E ora Pashinyan?”. Con questa espressione il Presidente Aliyev si è rivolto con scherno al Primo Ministro azero nel corso del suo messaggio alla nazione, la stessa domanda che con molta probabilità gli staranno rivolgendo anche i cittadini armeni. L’Armenia e il suo governo sono infatti i grandi sconfitti di questo conflitto. Yerevan non ha solo perso il controllo della quasi totalità della c.d. Repubblica di Artsakh, ma ha anche implicitamente capitolato dinanzi ai rivali azeri. Il controllo di questa regione va infatti ben oltre i fattori politici poiché per il popolo armeno il Karabakh è parte integrante del proprio patrimonio etnico e culturale. Subito dopo l’annuncio del Primo Ministro Pashinyan in Armenia è scoppiato il caos. Una folla inferocita si è riversata per le vie di Yerevan chiedendo a gran voce la testa del leader armeno, accusandolo di aver tradito la causa del Nagorno Karabakh. La rabbia dei manifestanti si è scatenata contro le istituzioni governative: la folla ha preso d’assalto il palazzo del governo e occupato il Parlamento vandalizzandone gli interni. Un gruppo di rivoltosi ha anche fatto irruzione nell’abitazione del Primo Ministro, trovandolo vuoto. Il Presidente della Repubblica Sarkissian ha preso le distanze dalla decisione di Pashinyan, affermando di non essere stato interpellato nella decisione di firmare il cessate il fuoco. Anche l’opposizione interna si è espressa contrariamente alle azioni del PM armeno, chiedendone le dimissioni immediate e sottolineando come l’accordo sia il frutto della decisione di un singolo e non della popolazione. Pashinyan è tornato a parlare nel corso di una diretta Facebook, spiegando che la decisione è stata anche frutto della richiesta da parte dell’esercito, le cui risorse per continuare il conflitto erano ormai esaurite. Ieri mattina 17 partiti di opposizione hanno creato un “Comitato di salvezza nazionale” e chiesto a gran voce le dimissioni di Pashinyan come preludio per la formazione di un governo ad interim. La caduta del governo potrebbe potenzialmente spianare la strada alla Russia, che potrebbe imporre un “proprio” candidato per la posizione di Primo ministro. In conclusione, rimane ancora incerto il dibattito sulle sorti dell’Armenia. Quando la rabbia della popolazione nei confronti del governo sarà scemata, quale sarà la sua immagine della Russia? Potenza che ha evitato in maniera provvidenziale la caduta del Nagorno Karabakh in mano azera, oppure paese che ha tradito la causa armena evitando di intervenire in aiuto di Yerevan allo scoppio del conflitto?

Nicolò Rascaglia,
Geopolitica.info

Thomas Bastianelli,
Geopolitica.info

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