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Imperialismo, armi e sicurezza: dove si inserisce la crisi ucraina nelle relazioni russo-africane

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Mentre l’incubo della guerra scuote nuovamente il cuore dell’Occidente e il sangue dei civili torna a scorrere per le vie d’Europa, l’Africa si trova di fronte a un bivio. La guerra imperialista di Putin risveglia oscuri fantasmi e le recenti attenzioni di Mosca per il continente africano complicano ulteriormente la situazione.

Il nuovo scramble per l’Africa sembra passare anche dall’Ucraina.

La presenza russa in Africa: tra armi, mercenari e interessi economici.

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica gran parte dei legami di Mosca con l’Africa, legittimati dalle dinamiche della Guerra Fredda e da affinità ideologiche, si spezzarono. La nuova centralità strategica dell’Africa, però, ha intensificato l’interesse di Mosca per il continente, soprattutto in seguito alla rinascita economica russa dopo i disastrosi anni di Boris Eltsin e con il rinnovato impegno di Stati Uniti, Unione Europea e Cina nel tessere tele di alleanze nel continente. Ancora oggi, diversi elementi ideologici accomunano le istanze della Russia e di parte dei paesi africani, tra cui l’impegno per scardinare un ordine internazionale fondato sulla supremazia dell’Occidente. L’Africa, in questo contesto, si presta a essere un’arena di scontro privilegiata dove le grandi potenze del XXI secolo sembrano impegnate in un nuovo “scramble”.  Oltre agli interessi di natura economica, con l’Africa che sembra potersi prestare bene a offrire alla Russia nuovi mercati per l’export dei suoi prodotti, soprattutto in seguito all’inclinarsi dei legami con l’Occidente dopo la crisi in Crimea nel 2014, Mosca ha puntato negli anni sulla costruzione di alleanze militari, anche informali, con diversi paesi. La presenza di militari e mercenari russi è ampiamente documentata in varie zone del continente e va a soddisfare un bisogno primario per l’Africa: la sicurezza. Ciò che contraddistingue numerosi paesi africani è, infatti, l’abnorme livello di instabilità, alimentato da insicurezza sociale, corruzione, golpe militari e terrorismo. Mosca ha negli anni offerto all’Africa supporto in questi termini, offrendosi di addestrare le forze di sicurezza del continente e inviando propri uomini o supportando milizie mercenarie, come il Wagner Group. L’interesse primario di Mosca in questo settore è quello di mostrare il fallimento occidentale nel fornire questo bene primario, mostrandosi come un paese amico e pronto a difendere gli interessi degli africani contro il neocolonialismo delle ex-potenze coloniali. Che la geopolitica africana stia cambiando lo dimostra anche il ritiro delle truppe francesi in Mali e la firma di un trattato di cooperazione militare tra il Primo ministro maliano Choguel Maiga e la Russia. Al summit di Sochi del 2019, la Russia si incontrò con ben 50 paesi del continente, sottolineando l’ampia portata del suo coinvolgimento in Africa. Negli ultimi anni, in particolare, ha destato preoccupazione il già citato notevole aumento di mercenari russi coinvolti nelle aree di crisi. Il Wagner Group, ad esempio, è presente in Repubblica Centrafricana già dal 2017, a supporto del presidente Touadéra. Ma la presenza di mercenari russi è stata registrata anche in Libia, Sudan, Mozambico e Mali. L’Africa, inoltre, rappresenta per la Russia un paradiso per la vendita di armi, con il continente che ne importa più della metà da Mosca.  I paesi che beneficiano di più di questo mercato sono l’Algeria, l’Egitto, la Nigeria, il Camerun e la Tanzania. Nonostante le apparenze, la Russia guarda all’Africa con una prospettiva marcatamente imperialista e paternalista. A dividere i paesi africani sulla guerra in Ucraina è proprio il supporto o meno ad una guerra imperialista, portata avanti da una potenza aggressiva che ha dimostrato di poter scardinare un principio sacrosanto per gli africani sin dalle indipendenze: la sovranità territoriale di un paese sovrano

Il voto all’Assemblea Generale dell’ONU e le divisioni africane. 

Se Kenya, Ghana e Gabon (paesi attualmente membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite) hanno sin da subito criticato la linea di Mosca in Ucraina, la situazione all’interno dell’Assemblea Generale (AG) si è dimostrata più complessa. Il voto all’Assemblea Generale del 2 marzo ha rispecchiato la varietà degli interessi in gioco. Oltre ai legami militari, infatti, l’Africa rischia di risentire enormemente della crisi da un punto di vista economico, soprattutto in materia di energia e prodotti agricoli. Questo in parte aiuta a capire perché un terzo dei paesi africani all’ONU si sia astenuto dalla votazione. Da un lato, una schiera di paesi ha più o meno esplicitamente condannato l’aggressione come atto di guerra contro un paese sovrano e il suo popolo, mentre, dall’altro lato, interessi militari ed economici, connessi alla prospettiva di un nuovo ordine internazionale, hanno portato alcuni paesi, come il Sudan e la Guinea, a sostenere la brutale aggressione di Putin. Se si tiene conto dell’astensione della Cina, inoltre, emerge quanto il voto all’AG rispecchi i diversi scacchieri sul continente africano. Molti paesi, infatti, oltre che legati a Mosca, sono sempre più parte della rete del Dragone, trascinati dunque anche da Pechino verso un’interpretazione anti-occidentale delle relazioni internazionali. Sembra, comunque, che l’Occidente possa trarre una lezione da questa votazione, soprattutto attuando un mea culpa nei confronti dell’atteggiamento avuto verso l’Africa, in termini di sicurezza, neocolonialismo e immigrazione. La Nigeria, ad esempio, pur avendo votato a favore di una condanna dell’aggressione, ha sottolineato molto marcatamente il trattamento riservato agli africani che fuggono dal conflitto, mettendo in luce le ipocrisie dell’Europa accanto alla guerra scatenata da Putin.  

L’invasione russa ha comunque posto una sfida alla comunità internazionale, provocando una sorta di crisi di identità in paesi come il Sud Africa che, come noto, si è astenuto. 

Due posizioni controverse: Sud Africa ed Eritrea. 

Se nelle ultime ore, con un comunicato, il Sud Africa sembra finalmente aver preso una posizione netta condannando la guerra in Ucraina, in un primo momento Pretoria ha tentennato, suscitando anche diverse proteste nel paese, soprattutto in seguito all’astensione. Pretoria ha dovuto far fronte a una sorta di crisi di identità in quanto ha svolto, sin dal 1994, un ruolo primario nella promozione della cooperazione South-South, del multilateralismo e di un rinnovamento delle istituzioni internazionali. Sulla base di questi ideali, Pretoria è stata negli anni anche una sostenitrice del diritto della Repubblica Islamica d’Iran a sviluppare energia nucleare, suscitando anche in quel contesto diverse critiche dall’Occidente. Se l’astensione nel voto all’AG sembra ricadere coerentemente in questa linea, allo stesso tempo il Sud Africa si è fatto da sempre difensore del diritto inalienabile di ogni popolo a scegliere liberamente il proprio destino, sulla base dell’esperienza della lotta contro l’apartheid

Il voto contrario dell’Eritrea, invece, è stato giustificato come una condanna dello strumento delle sanzioni, definendole illegali e controproducenti. 

Conclusioni. 

Il quadro emerso in seguito alla votazione all’AG ha mostrato come l’universo africano sia variegato anche in termini di interessi e prospettive future. Il recente scramble che vede Stati Uniti, Unione Europea, Cina, Russia ma anche Turchia e paesi del Golfo Persico, impegnati nello spartirsi alleanze e nell’ampliare le influenze nel continente ha portato l’Africa a un bivio. I paesi del continente sono, infatti, di fronte a una scelta volta a delineare le dinamiche future che caratterizzeranno il continente. Da un lato, un Occidente che si trascina dietro una mentalità ancora largamente coloniale, dall’altro una guerra imperialista che riesuma vecchi fantasmi. 

Visto il voto all’AG, il futuro della corsa all’Africa nel XXI secolo passa anche dall’Ucraina.

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