L’inchiesta sull’Impeachment: perché il mandato del presidente Usa è in bilico soltanto ora? La causa più immediata è la telefonata di Trump del 25 luglio 2019 al nuovo presidente ucraino Zelensky anche se i Democratici hanno tentato già per tre volte dal 2017 di ottenere un voto a favore.
La Risoluzione 660 approvata dalla Camera dei Rappresentanti il 31.10.2019 è passata con 232 voti favorevoli e 196 contrari. Due deputati democratici hanno votato contro insieme ai repubblicani, un deputato indipendente ha votato a favore con i democratici. Con essa si autorizza il Comitato per l’Intelligence a fissare le audizioni pubbliche e a produrre un rapporto sul quale dovrà pronunciarsi la Commissione Giustizia, decidendo se ci sono gli estremi per mettere a punto gli articoli per l’impeachment e per mandare Trump a processo nell’aula del Senato. “Il presidente ha tradito ciò su cui ha giurato, e il nostro dovere è quello di difendere la Costituzione”, ha affermato la speaker Nancy Pelosi, terza carica dello Stato, che punta il dito sulle pressioni esercitate da Trump sull’Ucraina per colpire i suoi avversari politici. Dal 2017 si sono succedute, senza esito, altre tre risoluzioni di impeachment contro il Presidente Trump: H.Res. 646 del 06.12.2017, H.Res. 705 del 19.01.2018, H.Res. 498 del 17.07.2019.
La Costituzione e i precedenti
L’Articolo I, Sezione 2, Clausola 5 della Costituzione americana concede alla Camera dei Rappresentanti “il solo potere di impeachment”, e l’Articolo I, Sezione 3, Clausola 6 concede al Senato “l’unico potere di provare tutti gli impeachment”. Nel prendere in considerazione gli articoli di impeachment, la Camera è obbligata a basare qualsiasi accusa sugli standard costituzionali specificati nell’Articolo II, Sezione 4: “Il Presidente, il Vicepresidente e tutti gli ufficiali civili degli Stati Uniti saranno rimossi dall’incarico su Impeachment a causa di, e su condanna per, tradimento, corruzione o altri crimini e misfatti” (“The President, Vice President and all civil Officers of the United States, shall be removed from Office on Impeachment for, and Conviction of, Treason, Bribery, or other high Crimes and Misdemeanors”).
Ci sono solo tre precedenti nella storia degli Stati Uniti d’America: 1) Andrew Johnson finì sotto impeachment il 24 febbraio 1868 con l’accusa di violazione del Tenure of Office Act per aver rimosso il segretario alla guerra Edwin Stanton dall’incarico, Johnson venne però assolto dal Senato; 2) il 6 febbraio 1974 la Camera autorizzò l’avvio dell’inchiesta sullo scandalo Watergate, il 9 agosto Richard Nixon lasciò la presidenza prima che l’Aula votasse per approvare l’impeachment; 3 ) il 19 dicembre 1998 la Camera adottò la stessa richiesta contro Bill Clinton, accusato di aver mentito sulla sua relazione con Monica Lewinski: il 12 febbraio 1999 il presidente democratico fu assolto dal Senato.
La telefonata di Trump del 25 luglio 2019 con il Presidente ucraino Zelenskyj
Il 24 settembre 2019 la Casa Bianca ha declassificato il testo della telefonata intercorsa tra Trump e Zelenskyj il 25 luglio 2019 specificando che si tratta di una trascrizione “non letterale” e che “il documento riporta le note e quanto viene ricordato da parte dello staff cui è affidato il compito di ascoltare e trascrivere la conversazione” (v. p. 1 del documento, a piè di pagina).
L’unico riferimento a Joe Biden è all’inizio della quarta pagina:
“Un’altra cosa, si parla molto del figlio di Biden e del fatto che Biden abbia bloccato le indagini e molta gente vorrebbe capire meglio, quindi se puoi fare qualcosa col Procuratore Generale sarebbe ottimo. Biden è andato in giro a vantarsi di aver bloccato l’indagine quindi se puoi dare una occhiata alla cosa … A me pare orribile”.
Zelenskyj sembra dare per “acquisita” la situazione e pare non rispondere affatto sulla questione. Piuttosto si sofferma in modo approfondito sulle due questioni che Trump aveva esposto prima “dell’altra cosa”: il cosiddetto Russiagate e i rapporti con le rispettive Ambasciate. Certo è che Trump non chiede nuove o ulteriori indagini. Visto che Biden si vanta di averle fatte insabbiare, Donald Trump chiede che venga accertato se sia vero. Se così fosse, sarebbe un vero Ucrainagate. Ma a carico di Biden e di chi ha “costruito” il Governo ucraino di Poroshenko. La telefonata è del 25 luglio 2019. Il 21 luglio si erano tenute le elezioni parlamentari in Ucraina e il partito del presidente Zelenskyj ne era uscito vincitore. Apparentemente, Trump chiama Zelenskyj per congratularsi ma il 25 luglio è pure il giorno successivo all’audizione di Robert Mueller davanti alle Commissioni Giustizia e Intelligence della Camera. Dove l’argomento trattato era il cosiddetto Russiagate.
Dopo i convenevoli e alcuni riferimenti ai rapporti ucraini con l’Europa e con gli USA, Trump al telefono chiede un favore a Zelenskyj (inizio della terza pagina della trascrizione):
“Mi farebbe piacere se potessi farmi un favore perché il nostro Paese ha avuto problemi e l’Ucraina ne sa molto. Mi piacerebbe che scoprissi cosa è accaduto in questa vicenda che coinvolge l’Ucraina, dicono che la Crowdstrike …”
La frase “fammi un favore”, variamente declinata dal nostro mainstream, non è affatto riferita a Biden, ma alla Crowdstrike, una società americana che si occupa di cyber security, ingaggiata dai Democratici a maggio del 2016 per far fronte ad un attacco informatico sui suoi server ad opera di presunti hacker russi. Il riferimento al cosiddetto Russiagate è quindi chiaramente evidente. Trump continua dicendo:
“Sono successe tante cose, l’intera situazione. Penso che tu abbia ancora attorno le stesse persone. Mi piacerebbe che il Procuratore Generale chiamasse te o i tuoi collaboratori e mi piacerebbe che tu andassi fino in fondo. Avrai visto ieri che l’intera assurdità è finita con lo spettacolo pietoso di un uomo chiamato Robert Mueller, una prova di incompetenza, ma dicono che buona parte abbia avuto inizio in Ucraina. Qualsiasi cosa tu possa fare, è importantissimo che tu la faccia, se questo è possibile”.
Come si fa ad attribuire questa conversazione alla vicenda del figlio di Joe Biden? Ucrainagate? Si, certo. Se dovesse uscire fuori qualcosa anche dall’Ucraina sul Russiagate sarebbe certamente anche Ucrainagate, ma per i Clinton e Obama! L’impeachment contro Trump basato sull’Ucrainagate non ha ragione di essere, semmai lancia altre ombre su Obama e sull’intero Partito Democratico USA. Sarà l’ennesimo boomerang.
Cui prodest?
Non ci sono elementi sufficienti per accusare la Casa Bianca di collusioni con la Russia, né di aver ostacolato la giustizia. È quanto scriveva il Ministro della Giustizia statunitense, William Barr, in una lettera al Congresso, datata 24.03.2019, nella quale sintetizzava le conclusioni del rapporto di chiusura delle indagini sul Russiagate. Nella sua sintesi, il Ministro Barr precisa che Mueller “non esonera” la Casa Bianca dalle accuse di aver ostacolato la giustizia, ma nemmeno porta elementi sufficienti per procedere. Lo stesso rapporto, per la parte riguardante le sospette collusioni della campagna di Trump con la Russia, afferma che non ci sono elementi per avallare quei sospetti. Allora la domanda che dobbiamo porci è una sola: Cui prodest? A chi giova tutto questo? Al cosiddetto “deep state” americano. Con “deep state” si intende quello “stato nello Stato” che, a prescindere da una finta alternanza fra destra e sinistra, determina la vera politica. La prova empirica della sua esistenza è data dal fatto che la politica estera degli USA non differisce se il Presidente è Repubblicano o se è Democratico. L’esempio lampante è dato da Barack Obama. Ha avviato e/o intensificato ben 7 conflitti, eppure ha ottenuto il Nobel per la Pace. Bene (o male, secondo i punti di vista). L’intervento del “deep state” USA in Ucraina è un fatto storicamente accertato dalle intercettazioni telefoniche. Nel febbraio 2014 fece scalpore un’intercettazione telefonica in cui Victoria Nuland, al telefono con un funzionario dell’Ambasciata USA in Ucraina, diceva “Fuck EU”. Ciò che il mainstream non riportò fu il resto della telefonata, ben più significativa. La Nuland stava “creando” il nuovo Governo ucraino e Poroshenko ne doveva essere il Presidente. Un complotto? Si, ma ordito da chi? Dalle stesse persone che il 30.10.2019 si sono incontrate presso la George Mason University per un panel su “U.S. Intelligence and Election Security” dove John E. McLaughlin ha esclamato: “Thank God for the Deep State!”. Ai posteri l’ardua sentenza.