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TematicheAfrica SubsaharianaIl Sudan dopo le alluvioni

Il Sudan dopo le alluvioni

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Il 3 settembre il Consiglio di Sicurezza e Difesa del Sudan ha dichiarato uno stato di emergenza nazionale di tre mesi a causa delle devastanti alluvioni che continuano dal 31 agosto. Secondo alcune stime delle Nazioni Unite la calamità naturale avrebbe già causato 100 morti, la distruzione di oltre 111.000 case, un numero totale di 830.000 persone criticamente colpite e 1.87 milioni tra rifugiati e sfollati interni. Gli effetti di questa catastrofe si stanno inevitabilmente ripercuotendo sulle dinamiche geopolitiche del Sudan.

Il cambiamento climatico in Sudan

Pur contribuendo solo per il 5% all’emissione di gas climalteranti nell’atmosfera, l’Africa è il continente più colpito dall’emergenza climatica. Per questo motivo Nisreen ElSaim, la direttrice sudanese del Youth Advisory Group sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite chiede giustizia climatica, cioè la possibilità di sviluppare un piano strategico per il Paese, che permetta di affrontare e prevenire disastri climatici come questi.

La realizzazione di progetti nazionali volti all’adattamento al cambiamento climatico è fin ad ora stata ostacolata principalmente per due motivi. Il primo è la situazione politica ed economica del paese; l’ex Presidente Omar al-Bashir dopo aver governato per 30 anni, è stato spodestato attraverso un colpo di stato militare nell’aprile del 2019. L’attuale governo di transizione sta faticosamente cercando di guidare il Sudan verso una ripresa economica (l’inflazione in Sudan ha un tasso complessivo che supera il 170%, secondo solo a quello del Venezuela). Il secondo motivo è il disinteresse della comunità internazionale; l’UNHCR dichiara di aver ricevuto solo il 38% dei $274,9 milioni necessari per le operazioni Statunitensi in Sudan.

Quando queste due problematiche verranno risolte si potrà evitare il continuo aumento di sfollati interni e rifugiati Sudanesi che rendono il Sudan il terzo paese per numero di emigranti. Una particolare preoccupazione è rivolta al Sud Sudan: vista la situazione fragile del Paese un aumento nel numero dei migranti Sudanesi potrebbe essere motivo della ripresa o esacerbazione dei conflitti interni che sono stati significativi prima delle piogge. È cruciale supportare le comunità sfollate a causa delle alluvioni o della violenza per prevenire ulteriori tensioni.

Relazioni tra Sudan e il Sud Sudan

Il 31 Agosto il primo ministro Sudanese, Adballa Hamdok e il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir hanno firmato un accordo di pace con il Fronte Rivoluzionario Sudanese, una coalizione di cinque gruppi armati, a Juba, la capitale del Sud Sudan. Dopo un anno di negoziati, questo accordo, finalizzato in un ultimo incontro il 2 ottobre, viene firmato anche dai garanti di Ciad, Egitto, Unione Africana, Unione Europea e Nazioni Unite.

Il Sudan è stato lacerato da una moltitudine di conflitti interni tra il governo a maggioranza araba guidato per tre decenni da al-Bashir e i gruppi etnici non-arabi. Le guerre civili continuano dall’indipendenza del Sudan nel 1956, includendo sia la guerra di secessione del Sud Sudan, durata dal 1983 al 2005, e la guerra di Darfur del 2003 che provocò, secondo le Nazioni Unite, almeno 300,000 morti e 2,5 milioni di sfollati.

Questo accordo di pace però viene considerato molto controverso in quanto due potenti gruppi ribelli sono stati esclusi nella firma degli accordi. L’esclusione del Movimento della Liberazione del Sudan e il Movimento di Liberazione del Popolo riflettono le sfide del processo di pace. Questi due gruppi infatti sono i soli gruppi armati del Sudan che hanno una capacità militare significativa. Lo scorso mese però il capo del Movimento di Liberazione del Popolo ha firmato un accordo separato con lo Stato, concordando una tregua finché la costituzione del Sudan non verrà modificata: il Movimento di Liberazione del Popolo chiede uno stato laico e secolare, lo scioglimento della milizia dell’ex-Presidente al-Bashir e la costituzione di un esercito nazionale. Il gruppo ha dichiarato che qualora le richieste non venissero soddisfatte, rivendicheranno autodeterminazione delle aree che controllano nelle province del Blue Nile e del Kordofan del Sud.

Le tensioni sono aggravate dalla crisi economica sudanese, soprattutto dopo l’indipendenza del Sud Sudan che ha privato il Sudan di tre quarti delle riserve di petrolio precedentemente in suo possesso. In questo ambiente politico, già provato dalla pandemia, le alluvioni incrementano ulteriormente il livello di tensione tra i gruppi in quanto le questioni irrisolte vengono posticipate per l’emergenza climatica. La preoccupazione degli ufficiali di stato consiste anche nel fatto che l’insoddisfazione delle tantissime persone che a causa delle alluvioni vivono in situazioni ancora più precarie aumenti, diventando motivo di nuovi episodi di violenza.

Normalizzazione delle relazioni Sudan-Israele?

A livello internazionale il Sudan ha recentemente ristabilito le relazioni con gli Stati Uniti. Infatti, è uno degli Stati Arabi, oltre agli Emirati Arabi e Bahrain, disposto a firmare un accordo di normalizzazione con Israele.

Mentre in agosto, quando il Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo aveva sollevato la questione di possibili relazioni tra Sudan e Israele durante una visita a Khartoum, il Primo Ministro sudanese aveva affermato che la decisione sarebbe stata rimandata dopo il 2022, anno della fine del governo di transizione. Storicamente il Sudan, un Paese a maggioranza musulmano, supporta il popolo palestinese. Tanto che nel 1967 la storica Lega Araba si trovò proprio a Khartoum per discutere come comportarsi dopo la Guerra dei Sei Giorni, nella quale Israele invase la West Bank, la striscia di Gaza e Gerusalemme Est. La conferenza finì con una risoluzione denominata “I tre no”: no alla pace con Israele, no alla legittimità di Israele e no alle negoziazioni. Inoltre, le relazioni tra il Sudan e gli Stati Uniti (e con i proxy Israele) si esacerbarono ulteriormente negli anni ‘90 quando il Sudan ospitò Osama bin Laden. Lo Stato venne designato “uno sponsor del terrorismo” anche perché si credeva che aiutasse l’Iran a provvedere armi ai militanti Palestinesi nella striscia di Gaza. 

Nell’ultima settimana di Settembre 2020 però, dopo un mese dall’inizio delle alluvioni, gli ufficiali Sudanesi, Israeliani, Americani e Emiratini si sono incontrati per finalizzare alcuni punti riguardo alla normalizzazione delle relazioni Israele-Sudan. In cambio di ciò, il Sudan richiede agli Stati Uniti più di $3 miliardi per l’assistenza umanitaria, in aggiunta ad un sostegno economico di tre anni sia da parte degli Stati Uniti che degli Emirati Arabi al fine di far riprendere il Paese dalla crisi economica. Inoltre, specificatamente per i danni riguardanti le devastanti alluvioni, il Sudan richiedeimportazioni di petrolio e grano che ammontano ad un valore di $1,2 miliardi.

Tuttavia, per ottenere i finanziamenti è necessario che tutta la comunità internazionale riallacci i rapporti con il Sudan. Questo, come il raggiungimento di una più alta percentuale di aiuti da parte degli U.S.A. attraverso le Nazioni Unite, sarebbe possibile se il Sudan venisse rimosso dalla lista statunitense degli “Stati sponsor dei terroristi”. Questo punto degli accordi interessa particolarmente Israele il quale fa pressione sugli Stati Uniti per una pacificazione con Khartoum; questa infatti sarebbe una vittoria simbolica per Israele.

L’accordo però non tratta del conflitto Israelo-Palestinese: ciò crea delle divisioni profonde nel governo di transizione, costituito da una parte civile ed una militare. Gli ufficiali militari vorrebbero che l’accordo si firmasse velocemente per ricevere gli aiuti perché temono che gli incentivi offerti in questi accordi vengano ritirati dopo le elezioni statunitensi. Mentre la parte civile del governo mantiene un’opinione che rispecchia i sentimenti del popolo.

In conclusione, la crisi climatica che sta interessando il Sudan ha inevitabilmente effetti anche sulle relazioni internazionali del Paese. Il Sudan in questo momento necessita di un incremento della cooperazione regionale e internazionale per poter costruire una governance capace di strutturare una risposta concreta al cambiamento climatico. Un aumento nel numero dei rifugiati climatici creerebbe un insostenibile fardello sulla situazione già fragile del Sudan. L’accordo di pace con il Sud Sudan, anche se pone ancora delle sfide nella pratica, è segno che il governo di transizione si sta impegnando verso la risoluzione delle tensioni tra i due Paesi. Inoltre, il Sudan per quanto storicamente contrario ad Israele e quindi in aperta opposizione con gli USA, ora si trova vincolato a riappacificare i rapporti proprio a causa di queste due emergenze pandemica e climatica che stanno peggiorando la situazione del Paese e potrebbero avere delle conseguenze negative anche a livello regionale.

Neila Zannier,
Geopolitica.info

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