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Il ruolo strategico di Russia e Cina in Venezuela: crisi della Dottrina Monroe ed ulteriore passo verso un mondo multipolare?

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La crisi venezuelana dura ormai da molti anni (almeno dal 2013) e colpisce a livello sociale, economico e politico. La presenza di due “Presidenti” ostili l’un l’altro e la mancanza cronica di beni di prima necessità (oltre a molte altre problematiche) attanagliano il paese da troppo tempo e rendono la situazione difficilmente risolvibile, almeno nel breve termine. La motivazione principale sta nel fatto che questa nazione è uno dei “campi di battaglia” delle superpotenze nell’arena mondiale.

 

Da una parte c’è Washington, con l’attuale Presidente Donald Trump che minaccia da tempo un intervento militare e che sta strozzando l’economia di Caracas con delle sanzioni “draconiane”; l’obiettivo finale di questa politica è l’abbattimento dell’attuale classe dirigente bolivariana e l’insediamento di un Governo più “sensibile” alle volontà statunitensi.
Dall’altra parte sono presenti Mosca e Pechino (con il sostegno dell’Avana) che appoggiano economicamente, politicamente e militarmente Maduro, garantendosi così un’ulteriore “breccia” nel giardino di casa degli USA, un alleato ricco di materie prime e ideologicamente affine (soprattutto con la Cina e con Cuba), nonché un ruolo di primo piano con tutti quei paesi che hanno relazioni difficili con Washington.
Il prosieguo e l’eventuale risoluzione della crisi di questo paese latino-americano sono due dei principali indicatori (insieme, ad esempio, all’esito della guerra dei dazi e alla crisi iraniana) per una reale comprensione di come si stiano evolvendo le relazioni internazionali, nonché di quale sia il peso dei principali attori statali e sovranazionali a livello mondiale.

Le superpotenze in Venezuela
È ormai noto che la Russia e la Cina siano due dei principali sponsor dell’attuale Governo Bolivariano. Mosca ha nel Venezuela socialista uno dei principali partner latinoamericani e caraibici e il tentativo di Putin di ritagliarsi un ruolo internazionale sempre maggiore lo obbliga a considerare di importanza strategica il mantenimento del potere, a Caracas, da parte del PSUV (Partito Socialista Unito del Venezuela). La Russia ha, infatti, sviluppato relazioni strategiche con questo paese a partire dalla vittoria di Chàvez.
Legami politici, economici e militari che garantiscono a Caracas un sostegno decisivo nell’ottica dell’emancipazione dal potente vicino nordamericano e alla Russia un’ulteriore presenza nel giardino di casa degli USA (con significativi vantaggi geopolitici e geoeconomici a tutti i livelli).
Alcuni dati a suffragio di queste considerazioni:

  • Per quanto riguarda la cooperazione tecnico-militare, degni di nota sono il tentativo di modernizzazione dell’aeronautica venezuelana tramite il programma Sukhoi, l’acquisto di Caracas dei sistemi antimissile S-300, la presenza dei Tupulev Tu-160 dell’Aviazione Russa (bombardieri anche nucleari) nel paese latino-americano e il sostegno russo alla generale modernizzazione dell’esercito venezuelano. Si parla di circa 11 miliardi di dollari di investimenti venezuelani per l’acquisto di armamenti russi;
  • In ambito energetico, si segnala che l’8% del processo di estrazione e trasformazione del petrolio venezuelano è in mano a joint-venture a partecipazione russa;
  • Il Cremlino ha supportato la ristrutturazione del debito di Caracas per 3,15 miliardi di dollari;
  • La continua condanna, da parte russa, delle politiche statunitensi nei confronti del Venezuela;

Anche Pechino, come Mosca, decidendo di sostenere il Governo Maduro, si è schierata in aperto conflitto con le volontà di Washington. La politica estera di Xi Jinping si muove seguendo delle linee ben precise che contemplano anche una presenza in America Latina. Questo ha portato il paese asiatico a sviluppare un flusso di ricchezza tale verso questa regione che gli ha garantito un importante accesso in quasi tutte le nazioni dell’area, anche quelle più legate agli USA (la base spaziale in Patagonia ne è un esempio lampante). Ovviamente, per affinità ideologiche e per necessità oggettive, il Venezuela è uno dei partner strategici di Pechino. Anche in questo caso, come per la Russia, notiamo un continuo rafforzamento dei legami tra questi due paesi, con Xi Jinping che aumenta la sfera d’influenza cinese nel mondo, amplia la strategia della Belt and Road Iniziative e si presenta sempre più come uno degli attori principali del tanto “agognato” mondo multipolare, mentre Maduro si ritrova un importante alleato nello sviluppo del progetto bolivariano e per il miglioramento delle condizioni economiche del paese.
Alcuni dati a sostegno di tali considerazioni:

  • La dichiarazione dell’ambasciatore cinese in Venezuela in occasione del 45° anniversario delle relazioni bilaterali tra i due paesi: “L’amicizia tra Cina e Venezuela costituisce una grande ricchezza. Il quarantacinquesimo anniversario delle relazioni diplomatiche ci porta a un nuovo punto di partenza, in cui entrambe le parti sono disposte ad andare avanti insieme per consolidare e promuovere gli scambi bilaterali e la cooperazione, salvaguardando equità e giustizia”;
  • La firma di una “partnership strategica globale” nel 2014;
  • Il prestito cinese al Venezuela, negli ultimi anni, di circa 60 miliardi di dollari, molti dei quali rimborsati in petrolio;
  • I circa 600 progetti congiunti sviluppati in maniera congiunta dai due paesi, con Pechino che ha guadagnato un accesso privilegiato al mercato venezuelano e ne è il massimo creditore del debito pubblico;
  • I continui avvertimenti cinesi a non interferire negli affari interni dei singoli paesi, con preciso riferimento al Venezuela e ai falchi dell’amministrazione USA che spingono per un intervento armato;
  • Gli investimenti diretti di Pechino a Caracas che ammontano, negli ultimi 15 anni, a circa 21 miliardi di dollari, di cui circa 12,7 nel settore energetico. In generale, l’interscambio tra i due paesi è stato di 6,3 miliardi nel 2017;

Come sottolineato, dunque, Russia e Cina (insieme a Cuba), sebbene per motivazioni non del tutto coincidenti, sono i principali alleati del Venezuela Bolivariano. La loro “fedeltà” a questa posizione lascia presagire altri momenti di duro confronto con gli USA, con questi ultimi decisi a non lasciare niente di intentato per non perdere il ruolo preminente nel panorama latino-americano e caraibico.

L’alba di un nuovo ordine mondiale?
L’ “affaire Venezuela” è, secondo il parere di chi scrive, la dimostrazione che il sistema internazionale sviluppatosi dopo la caduta del Muro di Berlino sta “collassando”. L’unipolarismo a guida USA, considerandolo metaforicamente come un software impenetrabile per circa vent’anni, sta subendo attacchi hacker che lo stanno lentamente erodendo. Oggi stiamo assistendo allo sviluppo di un rinnovato “balance of power”, con la Cina e la Russia che stanno guadagnando terreno sugli Stati Uniti d’America, anche attraverso una maggiore saldatura nelle loro relazioni in tutti i campi (in primis politico ed economico).
Infatti, queste potenze, insieme a quelle a carattere più regionale come India, Iran e appunto Venezuela (tra le altre), stanno reclamando maggiori spazi, nonché conquistando “terreni” fino a pochi anni fa impensabili.
La situazione venezuelana può essere considerata l’esempio più lampante delle difficoltà statunitensi nell’arginare lo sviluppo di questo possibile “nuovo ordine mondiale”, con la Dottrina Monroe del 1826 che non sembrerebbe più in grado di garantire la supremazia di Washington nel “suo” continente.
In base a tutto questo, il futuro delle relazioni internazionali non potrà prescindere da almeno due considerazioni fondamentali:

  • L’accettazione di un Sistema Internazionale multipolare, con modelli di sviluppo diversi ma capaci di dialogare e rispettarsi a vicenda, nell’osservanza del principio dell’autodeterminazione dei popoli e della non interferenza;
  • La riforma dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che rispecchi la “nuova realtà”, decisamente diversa da quella di settant’anni fa, ma anche di soli venti anni fa. In particolar modo, è necessaria una riforma del Consiglio di Sicurezza che contempli almeno i seguenti punti:
  1. consistente allargamento dei membri, permanenti e non), essendo arrivati a quota 193 stati facenti parte delle Nazioni Unite (l’ultimo aumento dei membri non permanenti del CdS si registrò nel 1963)
  2. migliore suddivisione dei posti tra i membri (nonché una diversa ripartizione del potere di veto), in quanto alcune regioni del mondo sono abbondantemente sottorappresentate nonostante la loro significativa importanza nello scacchiere geopolitico

Il prosieguo di questo clima ostile, con lo sviluppo di una “terza guerra mondiale a pezzi” (definizione di Papa Francesco), sia militare che economico-finanziaria, che sta portando il globo verso una situazione sempre più pericolosa, in cui il fantasma di una guerra atomica “definitiva” per l’umanità non accenna a scomparire.

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