L’attuale contesto geopolitico è contraddistinto da sempre maggiore instabilità, complessità e incertezza sull’impiego delle informazioni. La distinzione tra guerra e pace è ancora più velata ed evanescente e gli stessi rapporti tra gli Stati sorgono su logiche che possiamo definire di “amicizia a geometria variabile”, ovvero uno Stato si lega ad un Altro per perseguire un determinato interesse ma poi per altri fini potrebbe diventare un competitor.
La complessità e l’instabilità si riversano anche in mare, che si conferma essere centro di gravità della politica, della strategia e dell’economia dei vari Sistemi Paesi che vogliono rafforzare o costruire la loro presenza nello scenario internazionale. Come aveva intuito, nel 483 a.C., il condottiero greco Temistocle, “chi ha il dominio del mare ha il dominio di tutto”. Quindi al fine di poter sfruttare l’enorme ricchezza che viene prodotta dai commerci marittimi è fondamentale incrementare le capacità sia di utilizzare liberamente il mare e sia di garantirne il libero uso, sempre entro i confini del rispetto della legalità e quindi del diritto internazionale.
Nella nuova strategia della Marina USA, Advanced at Sea, viene ribadito come la “sicurezza e prosperità dipendono dai mari”. Ottenere e mantenere il sea control è alla base di qualsiasi operazione marittima ed è indispensabile raggiungerlo anche mantenendo una superiorità dell’aria sopra il mare con la propria aviazione navale. Importante in tale ambito è la difesa, sorveglianza e controllo dei choke points, definiti anche come nodi di traffico naturali, posizionati lungo rotte marittime indispensabili, che collegano due zone di mare navigabili più ampi e importanti, come gli stretti internazionali.
Per poter assicurare quanto sopra è necessario che le Marine sviluppino il c.d. navy expeditionary role che può essere definito come il “dispiegamento rapido delle forze navali per combattere all’estero, lontano dalle proprie basi con una capacità logistica in grado di agire indipendentemente ed in maniera autosufficiente ed in grado di influenzare gli eventi a terra dal mare”. Dunque, è essenziale che le Marine siano in grado di proiettare potenza al fine di influenzare gli eventi e questo lo si fa anche attraverso la sola minaccia dell’uso dello strumento aeronavale. Di fatto questo è stato il modello mediante il quale le potenze hanno agito per salvaguardare i propri interessi.
Gli USA sono una superpotenza navale, nessuno è, ad oggi, capace di contrastarla in nessuna parte del Globo. Sono in grado di poter operare in più teatri operativi simultaneamente e senza il supporto di alcun assetto alleato. La proiezione di potenza per raggiungere il ruolo expeditionary, lo si ottiene mediante l’impiego di gruppi portaerei (carrier strike group – CSG) che devono avere al loro interno sia la componente combattente (cacciatorpediniere, sommergibili, fregate e unità di assalto anfibio) capace di difendere il gruppo navale e gli altri “carichi paganti” e sia quella logistica (navi rifornitrici e logistiche).
La geopolitica attuale richiede che gli Stati mantengano tale capacità non solo in termini quantitativi ma anche dal punto di vista qualitativo e tecnologico. Questo è il motivo che ha spinto i Paesi Occidentali allo sviluppo di un velivolo di 5^ generazione che sia anche imbarcabile su unità portaerei, nello specifico F-35B, idoneo per acquisire e mantenere la superiorità aerea, sia in mare e sia in ambiente littoral.
Ma i mezzi non sono tutto, ciò che attribuisce un carattere di rilievo è la mentalità degli Equipaggi di essere pronti ad intervenire ed impiegati fuori area in contesti non favorevoli anche con brevissimo preavviso. Ma per arrivare a ciò, è vitale che le forze siano ben addestrate e pronte, costruire un assetto/mezzo non è difficile se si ha know how, ma la cosa più complicata, problematica ed ardua che richiede tempo è la formazione del personale come singoli e successivamente come gruppo/team ed infine Equipaggio.
Guardando quello che accade in Mediterraneo con riferimento al caso libico e all’uso efficace e puntuale dello strumento aeronavale della Turchia per il perseguimento della dottrina Patria Blu senza portaerei, ci si potrebbe chiedere se effettivamente la costituzione di un CSG sia necessario. La risposta questa volta non è legata in senso stretto a tale strumento, bensì al fatto che nessuno si oppone al comportamento ed azioni turche; se vi fosse stato un tentativo di opposizione da parte di qualsiasi Stato terzo, quasi sicuramente non sarebbero bastate le sole unità di superficie senza idonea capacità aerea.
Gli USA impiegano i CSG in giro per il mondo, quasi in maniera permanente, proprio perché è un mezzo di dissuasione, deterrenza e pressione per far sentire una presenza forte nei confronti dei nuovi competitor che vorrebbero espandere le zone di influenza, a tal proposito basti pensare alle forze dispiegate in Medio Oriente e nell’Indo-Pacifico. Un esempio principe dell’importanza del carattere combattente delle expeditionary operation è dato dalle lezioni apprese nel corso della Guerra delle Falkland. Innanzitutto, preme evidenziare come la sfida logistica sia stato un elemento importante che i britannici hanno dovuto affrontare e superare testando la sostenibilità delle operazioni in un teatro operativo a circa 8.000 miglia dalla Gran Bretagna con l’impiego di una piccolissima base terrestre collocata presso Ascension Islands (a metà distanza). Da ciò ne sono derivate anche altre considerazioni legate alla mancanza di sufficienti unità ausiliare, problema sopperito mediante l’impiego di unità mercantili.
Un requisito, sicuramente determinante, è stato l’impiego della portaerei che ha confermato la necessità di avere assetti aerei imbarcati per proiettare potenza, sia in ruolo difensivo che offensivo. Oggi più che mai, come già accennato precedentemente, dal punto di vista concettuale avere mezzi idonei e tecnologicamente avanzati permette una superiorità sull’avversario per garantirsi la vittoria.
Ulteriore elemento da tenere in considerazione è la capacità della flagship del CSG di avere a bordo un Comando complesso in grado di gestire le operazioni nella loro interezza attraverso un consolidato e robusto C4I. È da ciò deriva il concetto di sea-basing che è una capacità che consente alle forze navali di sfruttare lo spazio di manovra del mare e fornire una proiezione di potenza anche senza la dipendenza e affidamento da basi terrestri per deterrenza, supporto ad alleati/coalizioni, sicurezza cooperativa. In sostanza le navi sono basi marittime per sistemi d’attacco (missili da crociera di attacco terrestre), nonché per sensori e armi di difesa contro missili balistici alle dipendenze di un Comandante in mare, presente sulla scena d’azione ed in grado di seguirne gli sviluppi in real time, con tutte le articolazioni di staff necessarie per poter prendere le decisioni migliori.
Il ruolo expeditionary delle Marine non è legato solo ad aspetti di warfighting ma anche a quelli legati a proiettare influenza. Poche potenze al mondo hanno capacità di costituire, manutenere, addestrare e impiegare gruppi portaerei da combattimento; il dislocare tali CSG in determinate aree sono segnali notevoli poiché sono straordinariamente utili come strumenti per la condotta della politica estera. In base alla natura degli obiettivi e interessi da perseguire, la naval diplomacy può essere utilizzata in modo sia competitivo, collaborativo o in una combinazione dei due.
Sono proprio le caratteristiche di versatilità, mobilità nonché di resilienza di tali assetti che ne conferiscono l’influenza politica e diplomatica indispensabili nelle relazioni internazionali. Un dislocamento preventivo degli assetti aeronavali può anche prevenire i conflitti e promuovere, sviluppare e mantenere relazioni stabili tra gli Stati e incoraggiarne la cooperazione e l’eventuale conciliazione nella gestione degli affari internazionali. L’aspetto della cooperazione è importante e fa parte del c.d. soft power e può essere visto come una dimostrazione dell’intento di un “progetto internazionale” di influenza di uno Stato verso una determinata zona del globo. Avere zone prospere dove vi sono scambi commerciali e interdipendenza è vantaggioso per tutti. Ma questo è un processo lento e graduale che richiede un determinato tempo, impegno e perseveranza e per funzionare in maniera efficace ed efficiente è fondamentale che partecipino tutte le leve del potere nazionale, ovvero il Sistema Paese nel complesso.
In conclusione, gli Stati per poter contare realmente nel contesto internazionale è essenziale che sviluppino una capacità su mare di tipo expeditionary idonea alla gestione delle crisi e atta a supportare la politica estera dello Stato per incrementarne l’influenza con il soft power. Il retrenchment USA, l’ascesa della Cina, la nuova assertività russa sta creando nuove dinamiche anche su mare, che rimane uno spazio da controllare per garantire la prosperità del proprio Paese. Il Mediterraneo, di fatto, non ha mai perso di importanza e anche se le attenzioni si spostano verso l’Indo-Pacifico, rimane un mare dove circolano beni per i Paesi Europei, tra cui 3 appartenenti al G7. Pertanto, diviene sempre più necessario per l’Europa che il proprio “estero vicino” sia stabile e direttamente sotto la propria sfera di influenza, quindi nasce l’esigenza di sviluppare una difesa comune che sia in grado di tutelare gli interessi dell’UE. Allo stesso tempo, non bisogna lasciare l’alleato USA da solo nell’Indo-Pacifico e quindi è fondamentale supportare i CSG USA con assetti NATO, che presentano un grado di integrazione elevatissimo, per evitare che la Cina espanda in maniera spropositata la propria influenza.