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Il ritorno di Juan Guaidó e la fase finale del Venezuela

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Il ritorno di Juan Guaidó, l’autoproclamatosi Presidente della Repubblica del Venezuela, è avvenuto il 15 novembre in un comizio tenuto nell’Universidad Central de Caracas davanti agli studenti. La ricomparsa di Guaidó sulla scena politica venezuelana segue il suo spontaneo allontanamento dal Paese dopo la pubblicazione di notizie “scomode”, relative a suoi presunti rapporti con i cartelli narco-colombiani, testimoniate con foto e video. Le ripercussioni anche nel panorama internazionale si inseriscono nella campagna mediatica contro il governo dell’attuale Presidente eletto della Repubblica del Venezuela, Nicolas Maduro.

 

Una crisi istituzionale iniziata quasi un anno fa: il 23 gennaio 2019, infatti, Guaidó stesso, quale Presidente dell’Asemblea Nacionál, si proclamò Presidente della Repubblica ad interim secondo l’articolo 233 della Costituzione bolivariana del Venezuela, emanata durante la presidenza di Hugo Chavez nel 1999.

Il conflitto politico-costituzionale in atto ha un peso molto forte, se si pensa al panorama politico del Venezuela, che rivela come la crisi dell’ultimo anno sia solo la punta dell’iceberg, un iceberg ricco di conflitti politici, conflitti internazionali e guerre economiche.

In questo contesto si può considerare che la ratifica da parte del Parlamento venezuelano del 17 settembre 2019 della proclamazione di Guaidó sia solo un altro tentativo per sovvertire il governo in carica. Un governo che da oltre un anno ha perso la maggioranza nell’Assemblea Nacionál, organo parlamentare, ma che comunque riesce a imporre il suo potere sulle dinamiche del Paese. Come? Attraverso le dinamiche internazionali, che sono collegate al conflitto interno, ma ben chiare: da una parte il blocco dei nuovi partner economici del Venezuela come Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese, dal momento dell’ascesa di Chavez, morto nel 2013, che ha di molto ridimensionato l’influenza statunitense nel Paese, e dall’altra parte i paesi come gli Stati Uniti e alcuni paesi europei, i quali, facendo perno sui problemi economici e sulle questioni relative alla difesa della libertà e della democrazia, vogliono sovvertire il governo in carica e sostituirlo con uno nuovo, al fine di ristabilire l’egemonia storica in campo economico e politico sul Venezuela degli USA e di alcuni Paesi europei.

Perché il Venezuela è cosi importante? Il Venezuela possiede i giacimenti petroliferi e le riserve di gas naturale più grandi al mondo e una posizione geografica ottimale per gli equilibri geopolitici nel continente centro e sudamericano, ed è sempre stato sotto l’influenza statunitense, che gestiva l’estrazione ed il trasporto delle risorse energetiche fino alla fine del XX secolo, fino cioè all’ascesa di Hugo Chavez nel 1998, il quale si oppose a questa influenza.

Quella di Juan Guaidó, quindi, è una minaccia molto forte, tesa a rinforzare dall’interno una opposizione politica al governo in carica, tacciato di illegittimità. Un governo che da anni viene criticato e denunciato per presunti brogli elettorali. La crisi istituzionale non ha accennato a diminuire, nemmeno dopo la scarcerazione del leader del movimento di opposizione Leopoldo López, agli arresti domiciliari dal 2017, considerato il vero ispiratore della crisi in atto.

Un anno, ormai, di manifestazioni, morti e arresti che hanno visto un paese sprofondare in una crisi economica drammatica, con scarsità di beni di prima necessità, pessime condizioni sanitarie ed embarghi economici internazionali. Sarà quindi questa minaccia l’inizio della fine di questa crisi? O resterà un altro vano tentativo di colpire Nicolas Maduro? Quali saranno i vincitori nel panorama internazionale?

La vicenda del Venezuela non è l’unica nel continente latino-americano. L’area sembra vivere una stagione particolarmente complessa, con rivolte popolari contro i governi in carica in Bolivia (dove lo stesso Evo Morales è fuggito in esilio in Messico), in Cile e in Ecuador. Non v’è dubbio che questo è l’obiettivo di Juan Guaidó, quello che lo stesso chiama la “fase finale”, senza ritorno. Una fase che porta due parlamentari italo-venezuelani, rifugiatisi nell’ambasciata italiana a Caracas dal mese di maggio, Mariella Magallanes e Americo De Grazia, a volare a Roma per evitare l’accusa di cospirazione, privati dell’immunità parlamentare. Una crisi che vede come obiettivo il controllo sul Paese per una strategia energetica di controllo sul petrolio, prima fonte energetica mondiale in utilizzo, che permette quindi in ingenti quantità di controllare le sorti dei mercati internazionali, (obiettivo nel controllo del prezzo del petrolio è la nascita dell’OPEC nel 1960, di cui il Venezuela è membro fondatore, che ha portato allo shock petrolifero degli anni ’70). Una strategia morale e democratica per le contestazioni in merito alla illegittimità di carica di Nicolas Maduro che inizia con la carica di Presidente della Repubblica ad interim nel 2013, iniziativa presa anche da Guaidó lo scorso anno, quando costituzionalmente spettava al Presidente dell’Assemblea Nacional, Cabello, che però sostenne quasi violentemente la carica di Maduro che arrivò quindi alle elezioni presidenziali come già Presidente, clima che fa pensare ad un sistema dittatoriale e di repressione, come testimoniano molte organizzazioni internazionali come “Human Rights Watch”.

Un continente in movimento per i molti Paesi in protesta, tensioni e paure per lo svolgimento politico di questi avvenimenti, avranno ripercussioni ben più ampie di quanto ci si aspetti? O saranno solo singoli eventi di un momento storico?

 

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