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Covid-19Il putinismo ai tempi del Coronavirus

Il putinismo ai tempi del Coronavirus

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Il Covid-19 ha posto tutti i governi di fronte a scelte difficili, mettendo sotto pressione anche le grandi potenze del Sistema Internazionale. Cina, Stati Uniti e Unione Europea sono oggi alle prese con la più grande crisi sanitaria dell’ultimo secolo, in estrema difficoltà tanto sul fronte interno quanto a livello internazionale. Fino ad ora fuori dall’attenzione internazionale, in quanto marginalmente colpita dal virus, la Russia vive una fase di grande complessità, nella quale le dinamiche politiche interne si incrociano con l’emergenza sanitaria, offrendo, ancora una volta, importanti stimoli di riflessione sul sistema di potere russo e il suo leader, Vladimir Putin.  

Le dimensioni del fenomeno 

Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la diffusione del coronavirus in Russia ha visto numeri ancora piuttosto limitati: al 10 aprile 2020, sono stati registrati 11 917 casi, un valore piuttosto ridotto se confrontato ai 143 626 casi italiani o ai 425 889 malati accertati negli Stati Uniti. Contestualmente, il numero di persone decedute per complicanze legate al Covid-19 risulta essere tra i più bassi al mondo, con soli 94 morti al momento attuale. Ancora una volta, il triste confronto con i dati accertati in Occidente non può che lasciare stupiti. Se negli Stati Uniti si registrano 14 665 morti e in Italia il numero delle persone che hanno perso la vita nell’ambito della crisi sanitaria ha superato le 18 000 unità, assestandosi a 18 281, il limitato dato russo non può far altro che stonare, soprattutto se consideriamo l’ingente numero di tamponi effettuati, ovvero più di un milione. 

Pur non essendo ancora presenti analisi sull’evoluzione e diffusione del virus in contesti climatici e demografici singolari come quello russo, in molti hanno avanzato delle perplessità sulla veridicità dei dati provenienti da Mosca. In particolar modo, a risultare poco coerente rispetto ai dati finora raccolti nelle altre aree largamente colpite dal virus è l’incidenza della malattia rispetto al totale dei tamponi effettuati, troppo bassa se confrontata, ad esempio, con i dati raccolti in Italia, Germania o Stati Uniti, come pure le modalità di esecuzione dei tamponi, spesso condotti più volte sugli stessi individui, alterando così l’analisi della diffusione del virus e l’affidabilità del tampone stesso. Inoltre, la distribuzione geografica dei tamponi risulta piuttosto squilibrata, la maggior parte di essi è stata condotta nelle regioni occidentali del paese, le più popolose, ma risulta, almeno attualmente, impossibile comprendere l’effettiva evoluzione del virus soprattutto nelle regioni ad oriente degli Urali, territori dove la scarsa densità abitativa e l’assenza di grandi conglomerati urbani impediscono una presenza capillare dello stato, quindi anche delle autorità sanitarie.  

Malgrado tali elementi di criticità, gli esperti sostengono che la scarsa incidenza del fenomeno non può essere considerata una prova sufficiente dell’inaffidabilità dei dati forniti dalla Russia, soprattutto considerando le precoci misure di chiusura del territorio nazionale al principale focolaio di crisi, ovvero la Cina. Mosca  già il 27 gennaio aveva istituito un’apposita task force per contrastare il Coronavirus e il 30 gennaio scorso fu imposta la chiusura del confine terrestre con la Repubblica Popolare, come pure il divieto di ingresso nel territorio russo per i cittadini cinesi, limitando così le possibilità di esposizione al contagio della popolazione, soprattutto nell’Estremo Oriente, ovvero la regione più esposta alla minaccia proveniente dalla Cina e dove la presenza dello stato si riduce a sussidi e impianti di lavorazione delle materie prime. Ulteriormente, a partire dal 29 marzo, sono state adottate misure di distanziamento sociale in tutto il territorio nazionale, inizialmente nella forma di “una settimana di vacanza con l’obbligo di rimanere in casa” e poi nell’adozione delle misure che ormai conosciamo molto bene di limitazione degli spostamenti individuali, per un periodo di almeno quattro settimane. A fronte di quanto finora esposto, sarebbe estremamente complesso valutare l’andamento del virus in Russia, sia per le ovvie ragioni epidemiologiche, quanto per l’assenza di trasparenza che solitamente caratterizza le procedure di gestione delle emergenze che caratterizza la politica russa.  

La gestione dell’emergenza 

L’attuale emergenza sanitaria è stata gestita in modo piuttosto singolare, in quanto, a differenza di quanto è avvenuto ad esempio in Italia, non vi è stata una gradualità nella definizione delle misure anti-contagio, bensì, a fronte di una timida risposta iniziale, il lockdown è arrivato in modo totalmente inaspettato e, soprattutto, per un periodo di tempo piuttosto lungo. Inizialmente infatti, le autorità russe non hanno imposto misure di distanziamento sociale o limitazioni di altra natura alla normale vita dei cittadini, tale che al di fuori della già citata chiusura delle frontiere e dei voli da e per la Cina, non sono state adottate ulteriori misure. Con il passare delle settimane però, nel momento in cui i contagi hanno superato quota 1500, le diverse autorità regionali hanno imposto l’obbligo di rimanere in casa e la conseguente limitazione degli spostamenti come misura volta alla circoscrizione dei contagi. In particolar modo, a spingere all’adozione di misure immediatamente così restrittive è stato il timore che il virus potesse diffondersi nelle regioni occidentali del paese, soprattutto nelle grandi aree urbane come Mosca e San Pietroburgo dove vivono e lavorano milioni di persone. Tale eventualità potrebbe essere una vera e propria catastrofe date le limitate capacità di risposta del sistema sanitario russo, un sistema che, seppur potenziato rispetto alle tragiche condizioni degli anni Novanta, resta ancora incapace di poter rispondere efficacemente ad una crisi sanitaria così lunga e diffusa.  

Oltre alle tempistiche e alle misure adottate, un elemento singolare, per chi osserva la politica interna russa, è stata l’attivazione di soggetti diversi dal governo centrale nella gestione della crisi. Dall’avvento di Vladimir Putin, il Cremlino ci ha abituato ad un forte protagonismo del governo federale, solitamente impegnato su ogni fronte, economico, politico o sociale, pronto a risolvere qualsiasi crisi, attraverso la “verticale del potere” e la “dittatura della legge”, il principio secondo il quale, in tutti i contesti, è infine il governo di Mosca a decidere. In questa crisi, tutto ciò non è finora avvenuto. Tanto le risposte iniziali quanto la definizione del lockdown sono state il risultato dell’azione dei “Soggetti della Federazione” ovvero del complesso di autorità locali (Repubbliche, Oblast, Regioni autonome e Città di importanza federale) alle quali è stata delegata la gestione, almeno fino ad oggi, dell’emergenza, lasciando piuttosto sullo sfondo il Governo di Mikhail Mishustin e, soprattutto, la Presidenza.  

Le ragioni di tale scelta sono molteplici e attengono principalmente alle dinamiche politiche interne che la Russia sta vivendo. La crisi sanitaria è infatti esplosa nel momento in cui il Cremlino si apprestava a varare l’ampio processo di riforma costituzionale annunciato nel gennaio scorso, conseguentemente, al fine di salvaguardare l’approvazione della riforma e il supporto popolare verso la Presidenza, si è ritenuto necessario reagire con forza alla crisi insorgente, attraverso la chiusura dei confini, e lasciare che le realtà locali gestissero l’emergenza autonomamente, mantenendo alta l’attenzione sul processo di riforma della Costituzione. Un processo di riforma che sarebbe stato completato il 22 aprile con un grande appuntamento elettorale attraverso il quale i cittadini russi avrebbero approvato o respinto le riforme già varate dalla Duma, ma che è stato lasciato in sospeso a causa dell’emergenza sanitaria che ha obbligato il Governo a rinviare il voto. Inoltre, l’esplosione della pandemia oltre ad essere un dramma sanitario, sociale ed economico può divenire un vero e proprio boomerang politico, nel momento in cui non fosse gestita in modo inadeguato. Di conseguenza, la delega di tale processo alle autorità locali consentirebbe al Cremlino di svincolarsi dalle eventuali conseguenze negative di una cattiva gestione del fenomeno, facendo così ricadere le eventuali responsabilità sulle autorità regionali. Tale dinamica ha tipicamente caratterizzato i rapporti tra Mosca e i singoli “Soggetti della Federazione” che, nel corso degli anni, sono stati considerati responsabili dei fallimenti nella gestione delle grandi emergenze, come ad esempio la gestione del fenomeno terroristico nei primi anni Duemila o, più recentemente, il contrasto ai vasti incendi scoppiati in Siberia nel corso dell’estate 2019, in entrambi i casi la responsabilità del fallimento è ricaduta sulle autorità locali, svincolando così il Cremlino dai contraccolpi politici degli eventi. 

Attualmente il governo centrale svolge principalmente una funzione di raccordo tra le diverse autorità coinvolte, in quanto è chiaro che la crisi si estenderà nel tempo ed avrà pesanti ripercussioni economiche. In particolar modo, il Primo Ministro Mishustin è stato posto a capo di un Consiglio di Coordinamento, istituito lo scorso 14 marzo e composto da rappresentanti delle istituzioni come pure del mondo imprenditoriale e bancario, al fine di creare un organo in grado di programmare le misure economiche da adottare per far fronte alla crisi, una crisi il cui imprevedibile impatto è stato stimato in una contrazione del PIL del 4.8% da Bloomberg, senza tener conto dell’andamento piuttosto incerto del prezzo del petrolio. Contestualmente Sergey Sobyanin, il potente sindaco di Mosca artefice della rinascita, durante gli ultimi anni, della città e delle repressioni delle proteste della scorsa estate, è stato posto a capo di un apposito sottogruppo del Consiglio di Stato, l’organo che riunisce le autorità federali e quelle locali, al fine di coordinare le misure di assistenza e distanziamento sociale da adottare in tutte le regioni. In questo contesto quindi, Vladimir Putin è stato finora piuttosto silente, rivolgendosi alla nazione solo in tre occasioni e visitando, un’unica volta, un ospedale appositamente costruito per far fronte al Covid-19 nell’area di Mosca, lasciando quindi la gestione quotidiana della crisi al Governo e alle autorità locali. Secondo alcuni osservatori, l’attuale modalità di gestione della crisi potrebbe essere considerata un banco di prova per il sistema russo, un sistema che dovrebbe dimostrarsi in grado di provvedere all’emergenza indipendentemente dalla figura di Vladimir Putin, che, negli ultimi mesi, si è dedicato maggiormente all’evoluzione del proprio ruolo nella politica russa piuttosto che alle risposte da predisporre nei confronti dell’emergenza.  

Ulteriormente, il Cremlino ha preferito salvaguardare i propri obiettivi di politica estera, lasciando così la gestione quotidiana dell’emergenza alle autorità locali e al Governo. L’attuale crisi sanitaria ha infatti offerto l’opportunità alla Russia di porsi come partner credibile nella lotta al virus, offrendo aiuti e assistenza agli stati più colpiti, Italia in primis, in un momento in cui i tradizionali centri di poteri in Occidente, Bruxelles e Washington tra tutti, sembravano piuttosto restii ad intervenire. Così facendo, pur andando contro il parere di una parte del proprio elettorato che non vedeva con favore l’invio di aiuti all’estero in un momento delicato per lo stato, il Cremlino ha provato, il tempo ci dirà con quali risultati, a giocare la sua partita nel contesto europeo dove il Covid-19 si interseca con le relazioni con la NATO, i rapporti con i grandi stati dell’UE e, ovviamente, le sanzioni economiche.  

Il Coronavirus in Russia si muove, alla pari di quanto avviene per le altre grandi potenze, in un contesto politico ben preciso, le cui logiche non possono che prevalere rispetto all’emergenza sanitaria. Pur mostrando ancora numeri piuttosto limitati, un’eventuale esplosione dell’emergenza su vasta scala potrebbe mettere fortemente sotto pressione non solo il sistema sanitario russo, ma anche e soprattutto l’intero sistema politico, in un contesto in sommovimento a causa del processo di riforma costituzionale concluso nelle scorse settimane e di una diffusa incertezza relativa al futuro dell’economia russa, indebolita dal fluttuante andamento del prezzo del petrolio e dalle prospettive non rosee nel prossimo futuro determinate dai contraccolpi economici del Covid-19. 

Lorenzo Riggi,
Geopolitica.info

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